Trebisacce-05/10/2012: L’intervento di Ciccio Frangone all’inaugurazione della Piazzetta al Generale Dalla Chiesa
Buongiorno a tutti. Gratitudine, rispetto e onore, mi permettono di relazionare su una cerimonia, la cui solennità e la motivazione, mi invitano prima a ringraziare i presenti per la testimonianza data, e poi per il nome al quale viene intitolata questa piazzetta, antistante alla caserma dei carabinieri; a un difensore della libertà e della democrazia, e per le quali, a solo 59 anni è stato ucciso: il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa. Dedicare una piazzetta al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, è un gesto di stima e di memoria storica, tra i più alti, che una comunità possa esprimere, e oggi Trebisacce lo fa, anche per merito del costante impegno e desiderio espressi da tutti gli elementi della caserma dei Carabinieri di Trebisacce. La richiesta è stata accolta e portata in Consiglio dall’assessore al turismo e spettacolo, Dino Vitola. Tutti i consiglieri hanno approvato con interesse la proposta e con grande sensibilità e disponibilità da parte del sindaco, avvocato Franco Mundo. Con fierezza e soddisfazione, oggi la nostra Trebisacce scrive una pagina storica e indimenticabile negli annali della sua vita sociale.
Quel doloroso giorno, per tutti noi italiani, precisamente il 3 di settembre del 1982, io mi trovavo presso l’Ufficio Stampa del Ministero delle Poste, con il ministro Remo Gaspari. Erano quasi le dieci di sera; ero di turno. Le agenzie di stampa bruciavano per le notizie che si accavallavano. Sapemmo dell’efferato delitto. E nello scorrere la lettura delle agenzie, apprendemmo la vita istituzionale di questo coraggioso carabiniere generale.
Il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, era un figlio dell’Arma. Cresce nel solco della giustizia e della ragione di Stato. Il generale Dalla Chiesa, era un uomo dal carattere forte, severo, autoritario e irremovibile, ma dalla grande affettuosità, come lo definiva il figlio, Nando. Amava i suoi carabinieri e aveva un debole per i carabinieri congedati; li riteneva i figli legittimi di una grande famiglia. Nel maggio del 1981 precisamente il 16 di Dicembre é promosso Vice Comandante Generale dell’Arma, la massima carica per un ufficiale dei Carabinieri. E nel 1982, su proposta del ministro degli Interni Virginio Rognoni, e appoggiato dal presidente del Consiglio dei Ministri, Giovanni Spadolini e tutto il Consiglio dei Ministri, é nominato prefetto di Palermo. Fu scelto per le importanti operazioni compiute nel combattere sia la mafia, che i brigatisti. Il governo e tutti gli uomini politici impegnati nella difesa della democrazia, identificarono in lui, l’unico e capace di debellare il cancro sociale della Sicilia: la mafia. Aveva arrestato, durante il sequestro di Aldo Moro due dei padri storici del brigatismo: Renato Curcio e Alberto Franceschini. E riportò alla luce le memorie dello statista Aldo Moro, scritte durante la prigionia. E proprio per la sua lealtà incondizionata allo Stato e per l’inflessibilità morale, ne facevano un fedele e autorevole servitore delle istituzioni. Ma soprattutto prevaleva la sua competenza professionale, già sperimentata con successo nella lotta al terrorismo, alle Brigate Rosse. E il 30 di Aprile del 1982, dopo l’uccisione del segretario politico del PCI, Pio La Torre, fu mandato a Palermo.
Dalla Chiesa in volo verso Palermo scrive ai figli: «Miei cari ragazzi, le circostanze hanno condotto il Governo nazionale a far sì che io uscissi dalle file attive dell’Arma e della sua massima carica, prima ancora che i tempi previsti giungessero alla loro scadenza. Se da un lato sono onorato, scrive sempre il generale Dalla Chiesa, di tanta fiducia – che in qualche modo tocca anche la “nostra” famiglia –, dall’altro avverto, nel trauma spirituale del delicato momento, una somma di sentimenti che, nel loro intimo tumultuare, non fanno che ripropormi, prepotente e cara, l’immagine stupenda di mamma! (…). Vi scrivo da 7-8.000 metri d’altezza, in cielo, mentre l’aereo mi portava veloce verso Palermo; dietro mi lasciavo, con gli alamari, la giornata di Pastrengo (…)
Vi voglio bene, tanto. E in questo momento vi chiedo di essermi vicino
Vi abbraccio forte, forte, il vostro papà>>.
Giunto a Palermo, appese la divisa di carabiniere e indossò gli abiti civili. Non passarono che cento giorni; infatti, fu chiamato il prefetto dei cento giorni. E in quei pochi giorni, riuscì a comporre una “nuova mappa della mafia”, con particolare attenzione ai rapporti che legavano Cosa Nostra e la politica. Era la seconda volta che tornava in Sicilia nella sua carriera, e doveva fermare la mafia, quella sanguinaria, degli omicidi eccellenti, del sangue versato sui marciapiedi. Anche Dalla Chiesa sapeva che la mafia non perdona. E su di essa diceva: <<Ci stiamo studiando, stiamo muovendo le prime pedine. La mafia è cauta, lenta, ti misura, ti ascolta, ti verifica alla distanza. Un altro non se ne accorgerebbe, ma io questo mondo lo conosco. Chiunque rimane isolato può essere ucciso, cancellato come un corpo estraneo>>. Era quasi un presagio.
Un venerdì, del 3 settembre del 1982, la moglie, crocerossina bionda con gli occhi azzurri, che gli sorrideva devota, lo aveva chiamato perché si tenesse pronto, per prelevarlo e andare a cena in un ristorante di Mondello. Non aveva pattuglia di scorta. Come del resto era sua abitudine.
“Erano le 21e15, quando giunti in via Isidoro Carini a Palermo, sopraggiungono due auto (una Bmw 518 e una 131), si affiancano alla A112, e spararono colpi su colpi. Il generale tenta con il suo corpo di far scudo alla moglie: è tutto inutile perché Emmanuela Setti Carraro, colpita al torace e al capo, muore subito, lui qualche secondo dopo, con la testa china sul parabrezza. Sui loro corpi trenta proiettili, alcuni anche al viso. La macchina si schianta contro il muro, all’angolo di via Carini. Mentre accade tutto ciò, l’agente Domenico Russo, il carabiniere di scorta prova a reagire, ma si prende più di una pistolettata da un tizio che lo affianca a bordo di una moto Suzuki. Anche l’Alfetta va a sbattere e prende fuoco”.
Non sta a me narrare le gesta di questo martire, perché tale è, e mi auguro che un giorno sia elevato agli onori degli altari. E’ già tra i personaggi illustri, che hanno reso indistruttibili le regole della sovranità popolare. E hanno difeso la nostra democrazia e i suoi valori, e che con i loro esempi di fedeltà alle istituzioni, hanno insegnato che, per la loro difesa, il sacrificio della propria vita, non sarà mai sterile. Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa è un modello di ricchezza morale, di onestà e di lealtà civile che va ricordato e tramandato come linfa vitale alle future generazioni. E a voi bambini che sarete i germogli del domani, questa pagina di storia, anche se triste, possa esservi di esempio per il vostro futuro ricco di libertà e di rispetto comune.
Con umiltà e commozione, e con gli occhi della mente rivolti al Cristo che lo ha già accanto a Lui, vi leggo la motivazione della medaglia d’oro.
“Già strenuo combattente, quale altissimo Ufficiale dell’Arma dei Carabinieri, della criminalità organizzata, assumeva anche l’incarico, come Prefetto della Repubblica, di respingere la sfida lanciata allo Stato Democratico dalle organizzazioni mafiose, costituenti una gravissima minaccia per il Paese. Barbaramente trucidato in un vile e proditorio agguato, tesogli con efferata ferocia, sublimava con il proprio sacrificio una vita dedicata, con eccelso senso del dovere, al servizio delle Istituzioni, vittima dell’odio implacabile e della violenza di quanti voleva combattere“.
E poiché aveva altissimo il senso dello Stato, ai giovani carabinieri diceva: “Ciò che un giovane deve avere, per vestire la divisa dell’Arma: “ Consapevolezza che tutto viene proiettato nella difesa dello Stato, nelle istituzioni e di quella stessa collettività da cui lui proviene”.
E trenta anni dopo, e credo per sempre, queste restano parole di speranza, sopravvissute anche al sangue di chi le pronunciava. La sua altissima testimonianza e la sua grandezza morale devono continuare a costituire un modello per tutti. E a voi giovanissimi studenti, che vivete il presente allagato di futuro, quando transiterete per questa piazzetta, o sostiate su queste panchine, discutendo di storia o di problemi contemporanei, guardate con ammirazione la stele, dalla quale trasuda il messaggio di un carabiniere generale, ucciso per difendere la vostra, la nostra indipendenza, e il sacrificio della propria vita è stato compiuto per apprezzare i valori della libertà e della convivenza civile, e per produrre domani cambiamenti, e creare finalmente una società più giusta e più umana. E allora, tutti noi oggi proprio per rendere omaggio e riconoscimento non solo con l’intitolazione della piazzetta, a questo testimone della fedeltà nei secoli alla Patria, al Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ma a tutti i carabinieri caduti per la difesa della giustizia e per la sicurezza di tutti, gridiamo in coro: EVVIVA I CARABININIERI D’ITALIA, EVVIVA I NOSTRI CARABINIERI DI TREBISACCE.
Ciccio Frangone