Lungro-25/05/2013:Nobilitiamoci”: lo smarrimento dell’ancestrale significato del lavoro nell’
“Nobilitiamoci”: lo smarrimento dell’ancestrale significato del lavoro nell’
Italia berlusconiana
È ormai prassi consolidata attribuire a Charles Darwin la frase “il lavoro
nobilita l’uomo e lo rende libero”, anche se non vi è prova di questa citazione
tra gli scritti di colui che cambiò il modo di pensare e di pensar-si. Sarebbe
utile soffermarsi sull’attualità di questa frase e sulla sua spinta propulsiva
che dovrebbe animare il dibattito politico italiano, soprattutto a sinistra.
Chi ha studiato i classici, sa che l’aspetto semantico della parola “lavoro” è
imprescindibile in ogni ragionamento sulle tematiche ad essa collegate. Ed è un
aspetto più che mai attuale.
Ci ha messo secoli, l’umanità, per liberare il labor dal suo primitivo
collegamento con la fatica fine a sé stessa: solo con la Riforma protestante (e
definitivamente con la teorizzazione marxiana) il lavoro assume un’accezione
eudaimonistica, in quanto esso puo’ addirittura piacere a chi lo compie.
Bisogna tornare un attimo indietro. Così scrive Cicerone :
Interest aliquid inter laborem et dolorem. Sunt finitima omnino sed tamen
differt aliquid. Labor est functio qaedam vel animi vel corporis gravioris
operis et muneris; dolor autem motus asper in corpore alienus a sensibus. Haec
duo Graeci illi, quorum copiosior est lingua quam nostra, uno nomine appellant.
itaque industrios homines illi studiosos vel potius amantis doloris appellant,
nos commodius laboriosos: aliud est enimlaborare, aliud dolere.
Labor, dunque, è soltanto l’attuazione di un compito gravoso, mentre dolor è
una sensazione, un’emozione che non fa parte del nostro universo sensoriale.
Ecco il punto nevralgico dell’attualità di questa riflessione sul significato
del lavoro: il solco che delimita la fatica degli italiani d’oggi nel cercare,
mantenere e difendere il lavoro, dal dolore collegato a queste preoccupazioni
che turbano le nostre esistenze.
Concentriamoci sulla fascia giovanile. Gli istituti di ricerca italiani
definiscono una buona parte dei giovani 15-29 anni come NEET, “Not in
Education, Employment or Training” (il 21,2 % nel 2009). Sono persone che non
studiano e non cercano lavoro.
Appare subito aberrante come nelle riflessioni di sociologi e psicologi non
compaia la rottura del patto inter-generazionale, ormai diventato un luogo
delle idee, un vello d’oro che gli Argonauti moderni non sanno più dove
cercare.
Anzi, ancor più perverso è il meccanismo infernale per cui è sottaciuto il
dato incontrovertibile dell’impoverimento dell’attuale generazione di giovani
rispetto alle precedenti. La scala verso il progresso e l’avanzamento economico
si è spezzata ed è pleonastico accennare alla scomparsa dell’ “ascensore
sociale”: per la prima volta, i figli non stanno meglio dei loro padri, che a
loro volta stavano meglio della generazione precedente.
Si cita spesso la legge Biagi, omettendo che il giuslavorista fu ucciso un
anno prima dell’approvazione della legge. Peccato che nessuno citi la
legislazione ab ovo, la causa prima della miriade di tipologie contrattuali di
lavoro oggi presenti in Italia: il “pacchetto Treu”, presentato nel 1995 dall’
allora ministro del lavoro del governo Dini. Fu l’entrata in scena del lavoro
interinale, una tipologia di effettuazione dell’attività lavorativa con
carattere temporaneo.
La difficoltà da parte del centro-sinistra di criticare aspramente le
picconate allo Statuto dei Lavoratori e alle conquiste sociali del secolo
scorso derivano proprio da questo peccato originale. Lo smantellamento del
welfare cominciò proprio dalla parte sbagliata, obbligando con una sorta di
moral suasion i dirigenti attuali del PD a non sconfessare le legislazioni
precedenti.
Quale potrebbe essere la distanza maggiore tra Monti ed un giovane disoccupato
italiano? Sicuramente, sulla crescita economica, i due “antagonisti” avrebbero
di che battersi, in singolar tenzone: l’austerità ormai è diventata un mantra
catartico da somministrare quotidianamente alla stirpe italiota, senza nessuna
prospettiva futura.
Il ragazzo disoccupato di un piccolo paese, ai confini dell’impero, gradirebbe
almeno una profondità di veduta, una direzione su cui svolgere lo sguardo in
questi tempi bui.
E qui si incardina perfettamente il riverbero della mancata analisi e lettura
della società da parte della sinistra europea. “Alba Dorata”, Chrisì Avghì, il
partito d’estrema destra greco professa il motto “il lavoro ai greci” e l’
uscita dall’euro; Front National, in Francia, ha ottenuto un 18% proprio sui
temi dell’insicurezza e della disoccupazione; lo stesso dicasi nei Paesi dell’
Est Europa.
In Italia, sebbene all’interno delle forze parlamentari ci siano stati dei
distinguo sulla riforma del lavoro, soltanto alcune compagini stanno
intercettando il malcontento dei disoccupati, soprattutto il Movimento 5
Stelle. E viste le enormi contraddizioni presenti nel Movimento, SEL dovrebbe
rivedere la “tara” con cui si analizzano le aspettative che arrivano dai
territori e dalle intelligenze, singole e associative.
Questo potrebbe essere il punto di partenza per SEL e la sinistra italiana: il
ricollegamento con le coscienze ed i turbamenti legati alla disoccupazione
giovanile. Nell’ultima campagna elettorale, quelle per le amministrative, i
temi legati all’occupazione e alla crisi sociale sono entrati in campo
prepotentemente, a volte sovvertendo l’ordine della discussione tipica di una
votazione di carattere locale. Intercettare il consenso parte anche dalla
dialettica quotidiana e dalle strategie per creare occupazione.
Occorre un nuovo disegno sul lavoro e per il lavoro. Per “nobilitarci” ed
elevarci moralmente. Tutti quanti.
Gianfranco Castiglia
coordinatore SEL LUNGRO
gianfrancocastiglia@gmail.com