Acri-12/02/2015: Doppio in-canto (recensione di Vanni Clodomiro)
Giulia Aloia – Angelo Minerva, Doppio in-canto,
Tabula fati, Chieti 2014.
di Vanni Clodomiro
Si tratta di una raccolta in versi, che ha una sua originalità, nel senso che è scritta da due autori che, come vedremo, hanno deciso di distendersi in una sorta di botta e risposta: infatti, al componimento dell’una segue quello dell’altro, in modo sostanzialmente sistematico.
Tutti sanno che niente esiste di più personale della poesia. Eppure, in questo caso, il libro è opera di due persone, le quali, evidentemente legate da temi comuni, hanno deciso di scrivere due, per così dire, gruppi di poesie, regolarmente firmate da ciascuno, in cui si possono rinvenire i motivi ispiratori che presiedono al lavoro di Giulia Aloia e Angelo Minerva.
Anzitutto, bisogna sottolineare che i due danno la sensazione di non essere alla prima esperienza poetica, in quanto mostrano già una notevole capacità di indagine sul mondo dei sentimenti, suffragata peraltro da un concreto retroterra culturale.
Accanto alla presenza di raffinati contenuti sentimentali, si può affermare di trovarsi di fronte ad un generale impianto di tutto rispetto, sia dal punto di vista stilistico, sia anche dal punto di vista poetico in senso stretto, anche se, in verità, qualche piccolo preziosismo linguistico si sarebbe potuto evitare, per conferire maggiore leggerezza e immediatezza all’espressione. Tuttavia, sembra doveroso sottolineare la particolare attitudine degli autori ai ritmi densi, brevi, e sempre incalzanti: nulla, o quasi, è concesso al superfluo: tutto è essenziale, e ciò conferisce al lavoro un complessivo aspetto piacevole e una discreta capacità di mantenere costantemente desta l’attenzione del lettore.
L’originalità di questi componimenti dovrebbe essere ricercata, non nella novità dei temi trattati – la vita su tutto –, quanto piuttosto nel modo come essi sono affrontati, illustrati e intensamente vissuti. Che poi è il vero senso della poesia. Risalta dunque in primo piano l’amore per la vita, sebbene con la talora sconsolata visione di un mondo che va sfumando, fino a perdersi del tutto.
Anche la natura ne è avvolta, in forme così delicate e lievi, che ci richiamano alla mente Leopardi, però con una differenza di sostanza: che qui essa si avverte come totalmente immersa in quell’amore, mentre per Leopardi le cose sono diverse. Egli, pur innamorato di quella natura dal volto “tra bello e terribile”, non si sentiva da essa corrisposto; anzi, era convinto “che maggior disavventura” di quella di imbattersi nella Natura non gli “potesse sopraggiungere”.
Giulia, invece, opera una felice frammistione di natura e vita: all’uomo, nei suoi difficili sogni, viene in soccorso una mano, che è la vita, e che lo aiuta a risorgere nel chiarore, dopo l’oscurità del tramonto. Tramonto e alba sono infatti i simboli della vita stessa.
In Angelo, la visione è diversa: il tramonto “è vita consunta, acqua palustre che non disseta..” e l’alba rimane solo il ricordo di un sogno amato e dimenticato. Pertanto, in Giulia a noi sembra di scorgere un inno alla vita, mentre per Angelo l’alba e la vita sono pura fugacità.
Senonché anche Giulia, poi, sembra ripiegare su se stessa, quando afferma che la vita può anche risultare una specie di “arcobaleno senza colori”, incapace di “permettere al deserto la nascita di un fiore”, che sarebbe il simbolo della gioia e della felicità. Bisogna comunque porre l’attenzione sul fatto che la malinconia e la tristezza, pur presenti nei due, non riescono mai a prendere veramente il sopravvento.
Come si vede, man mano che si procede nella lettura, si scopre dunque qualche contraddizione – che è poi il vero succo dell’umana esistenza – alla quale Giulia non si sottrae. E Angelo rincara la dose: “il ponte invisibile tra sé e il mondo / crolla silenziosamente / senza lasciare macerie”.
Sovrintende nei due – e questo ci sembra il legame fondamentale che li ha indotti a scrivere insieme il libro – un senso di mistica religiosità (“l’errore dell’uomo è quello di non credere davvero nell’immortalità”), che rende gradevole al lettore l’impianto generale dell’opera. Tema importante appare inevitabilmente la ricerca della felicità, che poi è l’eterno anelito dell’umana specie: una felicità che, nel momento in cui sembra raggiunta, in realtà si allontana e si perde nell’oscurità. Ne rimane soltanto una “scia sparente”. Tuttavia, bisogna allontanare le irrazionali paure e riprendere a sperare, a creare, giacché nella creatività “ringiovanisce la bellezza che tiene in vita il mondo”.
Insomma, questi componimenti, che possiamo senza timori definire poesie vere, rappresentano una sorta di alternanza tra gioie e delusioni, tra malinconia e speranza. Su tutto, risaltano comunque le emozioni; le emozioni dell’uomo che prova attrazione per l’invisibile, accarezzando la solitudine, fino ad immergervisi del tutto.
Domanda fondamentale è: “E poi?”. Ebbene, la risposta non può esser data, non è alla portata dell’uomo, e non ce ne sarebbe neanche il tempo, perché il tempo finisce: niente dura per sempre.
Dunque, per concludere questa nostra sommaria analisi, possiamo dire che traspare, qua e là, il sogno di una società di uomini liberi e buoni, a cui forse solo una leggera follia potrebbe dare forma e contenuto; e la corposa fantasia creatrice dei due ce la lascia solo intravvedere con frequenti e imprevedibili evocazioni.
Il tumulto di pensieri sensazioni emozioni, la cui testimonianza è rappresentata dalle innumerevoli verità sentimentali, riesce di non sempre facile lettura, anche se comunque piena di fascino.
Ad ogni modo, il tutto, tranne che in poche occasioni, non è per un pubblico comune: piuttosto, pensiamo possa rivolgersi ad una platea di fini intenditori. E qui sta, forse, il limite del libro. Tuttavia, ad un occhio attento, il linguaggio – sempre creativo – appare come parte integrante di un filo conduttore, che è fatto, ripetiamo, dei sentimenti vivi e pressanti del proprio vissuto: un filo, sia pure allucinato e trasognante, che si percepisce sempre più nelle cose evocate.
Pensiamo si possa affermare che questo breve lavoro debba essere avvertito dal lettore come frutto di quelli che si potrebbero definire gli impeti momentanei dell’animo, che, anche se individuati nei dettagli, rimangono tuttavia senza tempo e senza spazio, e sempre profondamente umani e sofferti, al punto che risultano come l’inizio di un cammino poetico non ancora concluso, ma vivo e proteso verso il futuro.