Trebisacce-20/05/2015:Il mercato globale ( di Pino Cozzo)
Il mercato globale
di Pino Cozzo
Lo slogan “tutto può essere prodotto, ovunque e da chiunque” è il simbolo di una tipologia di mercato in cui ogni azienda produttrice decide liberamente dove investire, come produrre e a quale target commerciale indirizzare il bene. Le barriere rappresentate dalle frontiere degli Stati sono state abbattute unicamente a vantaggio dei Paesi più industrializzati e forti, le cui imprese, moltiplicando i loro luoghi di produzione, hanno sfruttato i bassi salari della manovalanza, gli scarsi oneri sociali e l’assenza dei sindacati, nonché il lavoro dei minori, che è largamente e ovviamente diffuso nei Paesi meno abbienti. E’ questo in sintesi il concetto di globalizzazione, che indica un’unica grande economia, che abbraccia tutto il globo, in cui le imprese sono tra di loro intrecciate e integrate, per offrire una vasta possibilità di diffusione dei beni, ma anche per impinguare le casse dei produttori. La libertà degli scambi e il loro potenziamento hanno decisamente influenzato l’ambiente in cui viviamo, poiché insieme con le merci viaggiano anche le idee e le esperienze, e da esse trae profitto l’umanità. Il mercato globale ha omogeneizzato i gusti e le richieste, poiché vengono veicolati dai mass media e sempre più da internet, dagli i-phone e da whatsapp, che fanno circolare in tempo reale immagini, tendenze e gusti in tutto il mondo. A questa uniformità, si contrappone la diversità di interessi economici delle grandi multinazionali che controllano i mercati, muovono le merci e guidano gli acquisti, e le aziende più piccole che, se va bene, devono accontentarsi delle briciole. E’ ciò che nel piccolo accade quotidianamente nei nostri paesi e, in particolare, a Trebisacce, dove le grandi catene di distribuzione stanno fagocitando le piccole realtà commerciali, dimenticando che i negozi sostengono il tessuto cittadino, lo alimentano, lo vivacizzano, tanto più di fronte all’avanzare compatto di mega centri commerciali costruiti alle porte delle città. Dunque, se non vogliamo perdere i nostri centri, è tempo di investire maggiormente sul commercio, mai come ora penalizzato dalla crisi e dalla concorrenza dei big, e, quando si abbassa definitivamente una saracinesca o si spegne un’insegna, è un pezzo del paese che scompare. I grandi centri commerciali, principali beneficiari della liberalizzazione degli orari del commercio, stanno generando sul nostro territorio rilevanti cadute negative sull’occupazione e sugli stili di vita di una popolazione sempre più condizionata da logiche economiche incomprensibili. Da una parte, le lavoratrici ed i lavoratori dei grandi centri commerciali devono subire turni di lavoro inconciliabili con le esigenze familiari, mentre i lavoratori legati al piccolo commercio ed in particolar modo quelli dei negozi dei centri storici, ogni giorno devono fare i conti con le chiusure dei negozi nei quali hanno lavorato per anni. Si potrebbero allora avanzare delle proposte, senza grosse pretese, con l’intento di fornire degli input da cui trarre qualche spunto positivo. I Comuni dovrebbero promuovere iniziative che portino i produttori a vendere direttamente ai consumatori, saltando quella grande distribuzione che ha solo l’effetto di ricaricare in modo esagerato i prezzi. Quindi, spazio ai prodotti locali e alla qualità. In tal modo, probabilmente, si creerebbero le condizioni per implementare posti di lavoro. I piccoli negozi potrebbero essere di grande aiuto, commercializzando proprio i prodotti del territorio ed evitando gli acquisti dai grossisti. Altro elemento importante, potrebbe essere il sostegno all’organizzazione di gruppi di acquisto, cioè di libere associazioni di consumatori che si mettono insieme per acquistare prodotti direttamente dai produttori. L’elevato numero di prodotti richiesti potrebbe far scendere i prezzi. Piccoli negozi e gruppi di acquisto sono realtà diverse che possono svolgere una funzione complementare, senza farsi concorrenza, perché rispondono ad idee e bisogni diversi. I negozi, ad esempio, potrebbero più facilmente ospitare distributori di prodotti alla spina, cioè senza imballaggio, i cui impianti potrebbero essere sostenuti proprio dai Comuni: sarebbe la strada per non fare rifiuti, andando oltre il concetto della raccolta differenziata, con forti risparmi sui costi per la collettività. In un momento di crisi come l’attuale, dove si riducono i redditi, in particolare di dipendenti e pensionati, servirebbe moltissimo poter risparmiare. A tutto questo, ovviamente, va aggiunta una visione di rete collettiva reale. Cioè, bisogna che i soggetti interessati, Comuni, piccoli commercianti, produttori e consumatori, lavorino con una logica d’insieme. Ai Comuni spetterebbe il compito di fare da coordinamento delle iniziative, di dare il sostegno pubblico e di attivare la necessaria promozione, fatta di informazione, sperimentazione, manifestazioni e insegnamento nelle scuole. Al consumatore, il compito di riorganizzare le proprie abitudini cercando qualità, prodotti di stagione e sostenibilità ecologica. Ai piccoli commercianti, il compito di provare a rinnovare le loro attività, ampliando gli orari e provando ad investire. Sarebbero dei tentativi, ma perche non provare?