Trebisacce-20/05/2015:La lingua come convenzione sociale (di Pino Cozzo)

La lingua come convenzione sociale

di Pino Cozzo

Sono ben determinate le leggi che regolano il funzionamento del codice linguistico in un comunità di parlanti, in modo tale che ognuno possa decifrare un messaggio e produrlo. Esso è tanto più originale, e quindi pregno di informazione, quanto più è ricco il gioco delle combinazioni, in funzione di una determinata situazione o del tipo di esperienza personale. La segmentazione di una frase in unità minime significative consente, specie nello studio di una lingua straniera, di suddividere le difficoltà e di assumere più facilmente i vari tipi di combinazioni. Tali unità, intese come associazione di significato significante, sono dette “monemi”. La comunicazione avviene per mezzo di  un certo numero di fonemi variamente combinabili in monemi, il cui gioco consente la produzione di un numero illimitato di  costruzioni significative, già realizzate dall’esperienza linguistica si una comunità di parlanti, o virtualmente riproducibili con gli elementi di un sistema non ancora utilizzati nella pratica quotidiana. In questo “puzzle”, le combinazioni sono talmente numerose che, in teoria, ogni individuo potrebbe crearsi una lingua assolutamente diversa da quella utilizzata, e, paradossalmente, si potrebbe, pur rispettando le regole interne al sistema, formare un linguaggio talmente originale a non essere compreso dagli interlocutori cui la lingua-comuniucazione è diretta. Più generalmente, la lingua non consente il passaggio di un’informazione, quando la chiave interpretativa non è in possesso del destinatario: è il caso dei linguaggi criptati. E’ vero che si percepisce un messaggio più facilmente, se viene espresso in termini accessibili, o comunque non così ostici che la maggior parte dei decodificatori possa captare la comunicazione; ma è altrettanto vero che la qualità dell’informazione dipende da come e quanto un termine si oppone ad altri più o meno ricchi di significazione, in cui i singoli elementi acquistano il loro valore dalle posizioni particolari degli uni rispetto ad altri. La lingua, dunque, non è una nomenclatura né un repertorio di parole. Ad ogni parola non corrisponde sempre una cosa designata. Se così fosse, il problema dell’apprendimento di una lingua straniera sarebbe notevolmente semplificato: la differenza tra le lingue si limiterebbe ad una indicazione di referenti. E’ vero, invece, che un medesimo significante può avere più significati in una stessa lingua, e che due termini, presi in lingue molto vicine come origine, non hanno lo stesso valore, proprio perché la realtà espressa dalle singole lingue è diversamente distribuita. Ma la vera caratteristica del linguaggio umano è la sua articolazione in parole successive, laddove gli animali emettono suoni praticamente in analizzabili, se non dal punto di vista della naturale etologica predisposizione. I “segni” sono socialmente determinati e stabiliscono l’ambito della validità del sistema semico. Esso è valido solo nel contesto in cui viene adoperato. L’ambito più ampio è costituito dall’intera comunità linguistica, mentre quello più ristretto è rappresentato dal singolo individuo. Tra la comunità e il singolo, ci sono centinaia di altre formazioni, che si intersecano tra loro nelle forme più svariate, poiché ciascun parlante è contemporaneamente membro di più comunità (famiglia, scuola, posto di lavoro, cerchia di amici, luoghi frequentati, centri sociali). Non esistono due individui che usano lo stesso lessico o che usano il lessico allo stesso modo: ad ogni modo, per comprendersi, devono porre sullo stesso piano il significante e il significato. La duplice funzione della lingua, comunicativa e cogitativa, la pone nella duplice veste di sistema di segni con i quali si trasmettono segnali ad altri, e concettuale, con la quale l’uomo pensa usando un sistema di segni collettivo e pensa come essere collettivo. L’astrazione appartiene all’essenza stessa della lingua, e, senza di essa, una lingua non può esistere.