Trebisacce-12/10/2015:Shakuhachi. Il flauto di bambù giapponese. (di Walter Astorino)

Shakuhachi. Il flauto di bambù giapponese.

di Walter Astorino

 

Riportiamo il testo e le fotografie relative all’intervento sullo Shakuhachi, dell’11 ottobre 2015, nell’ambito della manifestazione:

 

GIAPPONE! Incontro con arte e cultura giapponesi.

 

A cura dell’Hacklab Cosenza e dell’Associazione Culturale NipponiCS

presso il B-Side, Commenda di Rende.

 

Programma interventi:

10.45 Apertura lavori e presentazione di NipponiCS

11.00 Bonsai tra storia, arte e cultura – Ass. Lympha Nigra

15.00 Lavorare con il Giappone, il caso NTT data – Giorgio Scarpelli

15.30 Lo Shakuhachi, flauto della tradizione giapponese – Walter Astorino e Yuumi Katayama 

16.00 Iaikempo e Jujutsu – Marco Massarotto

17.00 Shodo – Ottaviano Fuoco

Area cinematografica:

11:00-13:00, “Linda Linda Linda”.

14:00-16:30, “Memorie di una geisha”.

17:00-19:30, “Storia della principessa splendente”.

Banchetti e mercatino.

 

Testo dell’intervento:

 

SALUTI

 

Salutiamo e ringraziamo gli amici dell’associazione culturale NipponiCS, e l’Hacklab di Cosenza, e in particolare Vincenzo Bruno e Vincenzo Aggazio, che ci hanno dato l’opportunità di entrare in contatto con questa realtà e con queste persone che nutrono interesse e passione per il Giappone. Un ringraziamento va inoltre al B-Side che ci ospita.

 

Parleremo dello shakuhachi, proponendo un’esposizione divulgativa, nell’intendo di suscitare interesse verso questo strumento e allo stesso tempo di allontanare qualche sottile strato della nebbia che ci separa dal Giappone.

 

COSA È LO SHAKUHACHI

 

Lo shakuhachi è il flauto di bambù giapponese, un flauto diritto. Si tratta di uno strumento a fiato, più precisamente un aerofono labiale. Il Giappone possiamo dire che è la terra dei flauti, perché oltre allo shakuhachi tradizionale, produce i flauti moderni più diffusi, gli Yamaha, e probabilmente i migliori al mondo, i mitici Muramatsu.

 

COSA SIGNIFICA SHAKUHACHI

 

Il nome shakuhachi indica una misura di lunghezza. Lo shaku è un’antica unità di misura giapponese, che corrisponde circa 30,3 cm, +/- un piede inglese. Hachi significa 8, numero sacro, quindi, se la matematica non è un opinione, il flauto di bambù giapponese dovrebbe misurare quasi 2 metri e mezzo! Non è così. In realtà sarebbe matematicamente corretto chiamare lo strumento Ichi shaku hachi sun in quanto il numero 8 si riferisce ai sun, il sottomultiplo decimale dello shaku, che misura 3,03 cm. Quindi uno Shakuhachi tipo, misura uno shaku e 8 sun, cioè 30,3 cm + 8×3.03 (24,24) = 54,54 cm. Qualcosa di simile avviene tuttora nel Regno delle due Sicilie con la zampogna (da sinfònia, perché polifonico a bordone), che nel nord-est calabro lucano assume il nome di “suoni”, e normalmente viene indicato con il numero seguito dall’unità di misura, i “palmi” borbonici, di circa 25 cm. È normale fra i nostri suonatori tradizionali dire: “suono con la 3 palmi e mezzo”, e in maniera similmente pre-moderna, in Giappone, si suona con 1 shaku e 8 sun. Lo shakuhachi è uno strumento monofonico, a differenza della zampogna, e che inoltre è uno strumento ad ancia, ma c’è un altro punto di similitudine fra i 2 strumenti, cioè la difficoltà nella creazione del suono, che è lo scoglio da oltrepassare per iniziare a suonarlo. Gli interessati alla zampogna e alla chitarra battente, possono fare una ricerca su iTunes, digitando: Walter Astorino.

 

LE ORIGINI DELLO SHAKUHACHI

 

Lo shakuhachi fu introdotto in Giappone dalla Cina, probabilmente fra il VII e l’VIIIsecolo e venne utilizzato per la musica gagaku (di corte) e per usi liturgici. In Cina esiste tuttora un flauto di bambù piuttosto simile, lo Xiao, che ha una imboccatura differente e 6 o 8 buchi, che vedremo nei filmati di supporto a confronto con lo shakuhachi.

 

LE TIPOLOGIE DI SHAKUHACHI

 

Ci sono essenzialmente 2 tipi di shakuhachi, il primo più minimalista-liturgico, lo ji-nashi, meno rifinito, usato dai monaci, e il secondo, più mondano, lo ji-ari. Riguardo a quale dei 2 tipi possa essere superiore, alcuni ritengono che il ji-nashi, senza interventi di lucidatura e meno levigato sui nodi, sia più “naturale”, ma una simile presunta “naturalità” la riscontriamo per certi versi anche negli shakuhachi in PVC, anche se la timbrica del flauto in plastica è peggiore. Accanto alla dimensione media di 54,54 cm ne esistono altre, per un totale di 10 misure.

 

L’USO DELLO SHAKUHACHI

 

Il flauto di bambù è uno strumento a uso e abuso sia sacro che profano. In ambito liturgico abbiamo il repertorio honkyoku (brani nati sullo shakuhachi), e in ambito profano il repertorio gaikyoku (brani trascritti per lo shakuhachi). Particolarmente degno di nota è l’uso che ne fanno fin dal XII secolo i monaci mendicanti, i Komuso, (monaci del nulla Ko-vuoto, Mu-nulla) con la particolare paglietta a sipario sulla testa, della scuola zen Fuke. Nell’esecuzione, piuttosto che concentrarsi sull’esercizio estetico, lo strumento è considerato un attrezzo religioso attraverso il quale il “vuoto illuminante” viene raggiunto con la pratica dello suizen (soffio zen) nella recita di preghiere mantra-musicali. Il praticante sviluppa, così il kisoku (respiro spirituale) fino a entrare in risonanza al bambù, ovvero il tettei (assoluto). È per la presenza fra i Komuso di numerosi ronin (samurai senza padrone), che lo shakuhachi diventa anche uno strumento da combattimento, attorno al 1600, un periodo in cui le armi furono vietate, nel contesto delle guerre feudali. Tali tecniche marziali furono poi proibite dalla dinastia Meiji, con lo scopo di occidentalizzare il paese. Lo shakuhachi, anche se non si fuma, è comunque una grossa canna: con il suo suono ineffabile e per certi versi lisergico, in occidente può facilmente prestarsi a equivoche e fricchettone trasposizioni di etnocentrismo nelle sue sfumature sociali, spirituali o biologiche. Un po’ paradossalmente, questo strumento per secoli usato nella corte imperiale, nelle arti di guerra e nei rituali religiosi, nella nostra contemporaneità occidentale è spesso oggetto di interesse da parte degli ambienti radical chic.

 

LA TECNICA DELLO SHAKUHACHI

 

Lo shakuhachi presenta 5 fori, di cui uno posteriore. Per motivi religiosi, la canna di bambù deve avere 7 fra anelli radicali e nodi, a simboleggiare i 7 Buddha dormienti. Lo strumento viene retto con la mano destra in basso, fra pollice e medio, e la sinistra in alto. Le dita otturano i fori completamente o parzialmente. Del primo foro si occupa l’anulare della mano destra, del secondo l’indice della mano destra, del terzo l’anulare della mano sinistra, del quarto l’indice della mano sinistra e del quinto il pollice della mano sinistra. L’impostazione delle labbra è fondamentale, perché è dalle labbra che nascerà il suono. Metà dell’aria viene soffiata nello strumento e metà fuori. Si pratica la respirazione tanden kokyu, dirigendo l’energia in un punto posto sotto l’ombelico (tanden). Le posizioni per suonare sono: zasō (seduto alla giapponese), isusō (seduto su uno sgabello), rissō (in piedi). Tranne che in rari casi, i suonatori di shakuhachi non sono affetti da distonia cervicale, né da mioclonie o spasmi neurologici di altra natura, ma scuotono il capo durante l’esecuzione perché questi movimenti fanno parte della tecnica di modulazione melodica. La tecnica è complessa, e coinvolge più o meno tutto il corpo, in particolare la bocca, il viso, il collo, il diaframma e gli addominali. Questa fisicità esecutiva sarà stata causa o effetto delle meditazioni zen dei monaci?

 

Le 2 scuole principali sono la Kinko e la Tozan. Lo strumento si struttura attorno a una pentatonica:

 

Re (ro) / Fa (tsu) / Sol (re) / La (chi) / Do (ri).  (Kinko riū).

Re (ro) / Fa (tsu) / Sol (re) / La (chi) / Do (ha). (Tozan riū).

Re (fu) / Fa (ho) / Sol (u) / La (e) / Do (ya). (Myōan riū, solo flauto liturgico, senza altri strumenti).

 

In realtà, con il coinvolgimento fisico di tutto il corpo dell’esecutore, lo shakuhachi, è uno strumento dotato di tonalità molto liquide, in grado di lavorare cromaticamente e anche negli intervalli di tono. Queste caratteristiche di plasticità tonale, sono fondamentali per una cultura come quella zen, che cerca il bello nelle espressioni della natura, magari addomesticandola come nei giardini, ma evitando di intervenire in maniera eclatantemente artefatta. Potremmo quasi parlare di arte “preterintenzionale”, come dire: “è bello, ma non l’ho fatto apposta”. Il sibilo dolce e “arioso”, onomatopeicamente “ffflautato”, ricorda l’onomatopeico “ffrruscio” del vento fra le “ffrrasche”, e quindi la modulazione deve essere morbidamente spalmata fra i toni, piuttosto che rigidamente centrata. Con la tecnica muraiki, tramite l’emissione forzata dell’aria si ottiene un suono indefinito e suggestivo, con la  kusabibuki un suono decrescente, con la sasabuki crescente, con la kobuki decrescente prima e crescente poi, mentre con la tamane si ottiene un tremolo muovendo la lingua, a differenza del tremolo korone prodotto con le dita. Un approccio alla modulazione, meccanicamente diverso ma simile nei risultati, lo riscontriamo anche in alcuni cordofoni dell’estremo oriente, per esempio nei secolari repertori classici dei 2 liuti piriformi, la Biwa giapponese e la Pipa cinese. Anche in questi repertori l’uso delle pentatoniche va dai glissati in stile Clapton dei Cream (la Biwa conserva dei numinosi arcaismi epico-melodici, nell’interazione con la voce narrante), ai parossismi psico-eclettici di Hendrix (quest’ultimo in particolare per la Pipa cinese). Rifà capolino la contro-cultura occidentale: sarà un caso?

 

Walter Astorino

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