Trebisacce-03/12/2015:L’uomo: un’entità unica che vive la nascita del Salvatore Gesù (di Pino Cozzo)

 

buon-natale

 

L’uomo: un’entità unica che vive la nascita del Salvatore Gesù

di Pino Cozzo

 

Ciascuna persona costituisce una realtà determinata, un essere unico ed irripetibile, un mondo a sé stante, il cui movimento e la cui peculiarità è data dalla sua capacità dinamica ed intrinseca, dal fatto che ogni individuo si ripropone in una continua serie di attività o gesti che lo caratterizzano in maniera irripetibile. Lo svolgimento di tali capacità e forze esprime uno status naturale di cui ognuno è dotato che spinge dall’esterno e imprimono in lui un obbligo e una vocazione per la completa espressione di sé. Perché ciò si possa concretare ed esprimere compiutamente, è necessario che ogni azione sia consapevole e volontaria e non siano mascherate, invece, stati di alienazione, egoismo o individualismo, per raggiungere scopi più alti. La volontarietà dell’egoismo, l’esercizio, cioè, delle forze naturali e personali di ciascuno, fa di un individuo il creatore di sé stesso e lo accumuna all’essere Supremo. Nessuno può superare i limiti della natura e quindi realizzarsi o estendersi al di là delle proprie possibilità. L’egoismo genera la piena manifestazione delle forze presenti in un individuo, quindi l’autoelevazione dell’io, che rende ciascuno il padrone unico di tali forze, proprietario del corpo e della mente che costituiscono gli strumenti del suo agire, della sua volontà e della sua attività. Realizzare e decidere liberamente di sé fa di ogni persona un essere esclusivo, e l’io che possiede solo sé stesso non ha alcuno scopo davanti da perseguire, perché è tutto presente qui ed ora e non ha bisogno di inseguire la sua immagine o la sua destinazione inserendola nel futuro. Solo chi non si possiede nel presente cerca il futuro e tende al miglioramento ed al perfezionamento della sua personalità, vivendo senza padroni e spendendo il patrimonio e la proprietà di cui è creatore. Nell’attesa, nell’avvento, qual è il periodo liturgico che stiamo in pienezza vivendo, Gesù ci annuncia che il Padre, nella sua definitiva e completa manifestazione, si mette a fianco degli oppressi, degli emarginati, dei lontani, degli ultimi, e comincia a liberarli e riscattarli. Rendendo tangibile il suo dire, il Maestro va incontro alle folle e dà loro nutrimento materiale e spirituale, affascina con le parole, fornisce il pane, si commuove di fronte agli ammalati, si fa prossimo ai bambini, alle donne, ai lebbrosi, ai peccatori che sono segnati, tende la mano a chiunque sia umiliato dal peccato e dal disprezzo altrui. Gesù proclama beati gli ultimi della società, perché sono i primi destinatari del Regno, e, proprio perché sono bisognosi, Egli, nel suo amore infinito, gratuito e misericordioso, va loro incontro e li chiama ad essere suoi fratelli e discepoli, conferendo loro quella dignità che nessuna circostanza o persona può annullare o diminuire. Anzi, una situazione fallimentare può costituire un vantaggio, perché i poveri e i sofferenti già sperimentano la loro debolezza e i loro dolori, e sono, quindi,  disponibili  a farsi salvare da Dio. Gesù stesso è povero e umiliato, si fa ultimo degli ultimi, è perseguitato e crocifisso, ma esulta nel Signore e loda il Padre, gioisce con Lui e per Lui. E Gesù, con le sue parole, il suo esempio e il suo incoraggiamento, scuote gli animi, ridimensiona la presunzione e l’arroganza, ma non giustifica il pessimismo, perché un cristiano non può pensare in maniera negativa, non può essere imbronciato o triste, deve, invece, manifestare la propria gioia nel dare l’annuncio della nascita del Salvatore e gridarlo a tutto il mondo, perché con essa si compie il disegno divino di salvezza dell’uomo. Il fascino e la bellezza “della buona notizia” non teme paragoni, fa uscire dalle sicurezze illusorie ed effimere, e scaccia le paure, spesso infondate, attrae la nostra attenzione su aspetti più seri ed edificanti, carichi di belle promesse e di gioiose prospettive. Sul lago di Tiberiade, i pescatori lasciano tutti i loro averi e seguono Gesù, senza indugio. Quanti di noi, oggi, sarebbero o sono disposti a fare altrettanto, quanti lascerebbero i loro affetti e i loro effetti e partirebbero per una destinazione ignota e per un futuro sconosciuto? Pochi, forse nessuno. Ma Gesù, oggi, non ci chiede nemmeno questo, perché conosce le nostre debolezze e le nostre incertezze. Ci chiede “solo” di essere coerenti con il nostro status di cristiani, già seguaci di Cristo, di dare dimostrazione di essere stati battezzati e cresimati, di essere fortificati nel corpo e soprattutto nello spirito, per essere testimoni nel nostro tempo di eventi straordinari di bellezza e bontà, di serietà ed abnegazione, di amore e di felicità, perché tutti credano nel cammino da seguire, per giungere alla patria eterna, al cospetto del bello eterno, nella pace e nella serenità che non conosce limiti di spazio e di tempo.