Montecassino-13/11/2016:La Divina Commedia in calabrese trionfa
EVENTI/ Un’originale rilettura del Sacro Poema
La Divina Commedia in calabrese trionfa
all’Abbazia di Montecassino
Nello spazio maestoso e sacrale della Sala San Benedetto dell’Abbazia di Montecassino, un esempio universale della Grande Bellezza, il suono magico della tammorra di Ugo Maiorano ha risuonato mirabile e possente, alle ore 17 dell’ultimo giovedì di ottobre. Nessuno lo immaginerebbe, ma è l’inizio di un’originale Lezione-spettacolo dal titolo “Paolo e Francesca in una traduzione della Commedia in calabrese”, incastonata nel prestigioso programma del Festival ANTICOntemporaneo, brillantemente diretto da Massimo Arcangeli, docente dell’Università di Cagliari e collaboratore della Treccani. La performance si incentra sull’analisi della traduzione di Salvatore Scervini della Commedia dantesca, pubblicata in una raffinata edizione da Aracne Editrice nel 2015, con il magistrale apparato critico di Pina Basile e con la rigorosa e autorevole Prefazione di Massimo Arcangeli. Pina Basile, Presidente della Società “Dante Alighieri” di Salerno, ha perfettamente lumeggiato la panoramica sulle traduzioni della Divina Commedia nell’Ottocento e su Salvatore Scervini. Il traduttore delle tre cantiche dantesche in dialetto calabrese è un intellettuale del passato, nato ad Acri (Cosenza) nel 1847 e ivi morto nel 1925: è il primo in Calabria e il secondo in Italia, dopo il veneziano Giuseppe Cappelli, a compiere quest’Opera sublime, cui dà il triplice di ’U Nfiernu, ’U Prigatoriu e ’U Paravisu. La professoressa Basile ha presentato il personaggio Scervini: autodidatta, sensibile e riflessivo, vive in mezzo al popolo, del cui dialetto conosce i segreti più nascosti. Infatti, nei canti della Commedia è la gente calabra che piange e soffre, spera e ride. Sintomatico è che nella lingua di Dante, aperta ad accogliere vocaboli delle varie parti d’Italia, si riscontrano ben 59 corrispondenze con il patrimonio lessicale del dialetto della Calabria. La Basile apre con l’incipit del canto e squaderna i passi più suggestivi del canto in calabrese, rimarcando il carattere fortemente realistico della scrittura scerviniana, che finalizza la “u”, tipica del dialetto calabrese, a rendere l’aspetto cupo e funereo della tragica storia d’amore di Paolo e Francesca. A questa rigorosa interpretazione fa da pendant la fine esegesi di Franco Salerno, autore del commento dantesco Il Labirinto e l’Ordine, che dà l’avvio ad una carrellata delle scene principali del V canto dell’Inferno come una serie di flash cinematografici. Dante è presentato come un regista, che si avvale ora del campo lungo (quando fa vedere l’insieme dei lussuriosi) ora del primo piano (quando parla Francesca). Procede così la Lezione-spettacolo, assumendo la dimensione di un originale esempio di comunicazione 3.0, che è quella che (Jerry Yang docet) connette e mescola saperi e linguaggi diversi. Franco Salerno collega il “cinema della mente” di Dante alla prospettiva temporale del canto, per la quale Francesca prefigura e condensa tutti i lussuriosi del passato e del presente. La bocca (dettaglio cinematografico) è protagonista: fu il bacio sulla bocca di Ginevra a innescare il bacio sulla bocca di Francesca. E così, lo scorrere dell’Evento mescola esegesi del testo e traduzione in dialetto calabrese, il linguaggio del cinema e quello della musica. Musica, che, dopo l’assegnazione a Bob Dylan del Premio Nobel, è stata consacrata come arte tout court allo stesso livello della Letteratura. Ugo Maiorano, accompagnato alla chitarra da Francesco Avallone, commenta gli interventi dei due relatori, affascinando gli spettatori con il suo repertorio di canzoni popolari calabresi, da Lu cardillu a Ammor ‘ammore, che m’ he’ fatto fare! a ‘Nu juornu Lanzillotto, canto quest’ultimo di sorprendente raffinatezza musicale, in quanto Maiorano è riuscito a musicare l’endecasillabo di Scervini servendosi del ritmo della tarantella calabrese. In visibilio il qualificatissimo pubblico, costituito da S. E. Donato Ogliari, abate di Montecassino, da docenti universitari, giornalisti, scrittori e studenti.
Paola Nigro