Trebisacce-12/04/2017:Autonomia e didattica (di Pino Cozzo)
Autonomia e didattica
di Pino Cozzo
I provvedimenti normativi sull’autonomia hanno avuto un impatto positivo sul terreno della didattica, cioè sul processso centrale dell’organizzazione scolastica? L’impatto è stato molto più organizzativo, quindi strumentale, che educativo o didattico. L’innovazione tutto sommato più tangibile è stata quella del Ptof, che nelle pratiche ha avuto sì di frequente un significato prevalentemente ritualistico, ma in una certa misura ha indotto le scuole, o più realisticamente le minoranze attive nelle scuole, a porsi un problema identitario (di identità istituzionale) e a ragionare in termini sistemici e di strategie. Si può dire che la retorica dell’autonomia ed anche, più nello specifico, l’introduzione del progetto d’istituto abbiano innescato un processo di apprendimento da parte dei dirigenti e di nuclei di docenti attivi che ha favorito l’ingresso di una cultura di governance, organizzativa ed anche didattica, fino ad ora pressoché assente. Un effetto simile stanno avendo oggi il discorso e le pratiche che si sviluppano, con una certa sfasatura temporale rispetto all’onda dei Ptof, attorno al tema della valutazione. Per il resto, è pensabile che si debba riconoscere che l’autonomia didattica – nel senso della sperimentazione di nuovi contenuti, metodi e forme organizzative dell’insegnamento – esistesse già, in una certa misura, prima dell’autonomia, e non vi siano evidenze empiriche che abbiano permesso di fare passi avanti sostanziali dopo l’autonomia. O meglio, se sviluppo vi è stato delle pratiche di innovazione, si ha l’impressione che ciò sia avvenuto non senza alcune derive. La norma sulla libertà di gestione del monte-ore sembra aver avuto un’applicazione limitata, e limitatamente innovativa, per le rigidità esistenti sul piano della gestione delle risorse umane e finanziarie. Infatti, inserire contenuti disciplinari nuovi nei curricoli – ad esempio l’insegnamento della musica o delle scienze economiche e sociali – significava dover assumere nuovi docenti con costi insopportabili per le magre finanze degli istituti. Limitarsi a redistribuire il monte-ore fra le materie esistenti significava rischiare la sotto-utilizzazione di una parte del personale docente e magari la sovra-utilizzazione di un’altra parte. Più facile realizzare, in forma di team-teaching, delle esperienze di insegnamento inter-disciplinare, una pratica che, peraltro, già preesisteva all’avvento dell’autonomia. Di fatto, quindi, l’innovazione didattica, come inserimento di nuovi contenuti, saperi ed esperienze, si è sviluppata nell’area extra-curricolare piuttosto che in quella curricolare, ed è stata addizionale ed accessoria e non, come sarebbe stato meglio che fosse, sostitutiva e costitutiva. Il progettificio della scuola del pomeriggio si è accompagnato alla stasi della scuola del mattino, con l’effetto talora positivo dell’arricchimento di interessi e motivazioni negli alunni, ma anche quello negativo di indurre a trascurare le nostre strutturali debolezze nelle “core subjects”, quali risultano clamorosamente dalle indagini P.I.S.A., alle quali, peraltro, le pseudo-riforme degli ultimi anni hanno dato il colpo di grazia, con la riduzione delle ore di lezione. Le ragioni dello scarso impatto della riforma dell’autonomia sulla didattica sono, peraltro, varie. Possono essere chiamati in causa la scarsa preparazione e propensione all’innovazione di molti insegnanti, l’insufficiente spinta proveniente dai dirigenti, talora più gestori o burocrati che leader educativi, l’eccessivo turn-over del personale che impedisce di radicare le pratiche innovative e di qualità, specie nelle aree marginali che ne avrebbero più bisogno, il lassismo didattico e valutativo diffuso e favorito da meccanismi nefasti come quello, oggi finalmente rimesso in discussione, dei debiti formativi. Ma non va dimenticato il ruolo distorcente e scoraggiante esercitato dalla politica scolastica. Questa, per un verso, non si stancava di proclamare ai quattro venti la sua dedizione alla causa dell’autonomia, ma, per un altro verso, la negava, ponendo tutta l’enfasi sulle miracolose “riforme dei cicli”, che si succedevano al ritmo delle legislature e dell’alternanza delle coalizioni di governo. Ciò ha generato uno spostamento di attenzione e un senso di incertezza e di saturazione da parte di dirigenti ed insegnanti, fenomeni che non potevano non incidere negativamente sui processi di riforma dal basso della didattica.