Rossano-02/08/2017:Estesa presenza di pubblico, alla presentazione del nuovo libro di Franco Emilio Carlino sul Codex
COMUNICATO STAMPA
Estesa presenza di pubblico, alla presentazione del nuovo libro di Franco Emilio Carlino sul Codex
A fare da cornice scenografica il meraviglioso Chiostro del Museo Diocesano di Rossano
ROSSANO 2 agosto 2017
Martedì 1° Agosto u.s. nella splendida cornice scenografica del “Chiostro del Museo Diocesano e del Codex”, in Rossano Centro Storico, alla presenza di un numeroso pubblico, è stato presentato il nuovo libro di Franco Emilio Carlino dal titolo: Il Codex Purpureus Rossanensis Patrimonio dell’UNESCO nella Bibliografia. Da Bisanzio allo scrigno del Museo Diocesano di Rossano e della Letteratura mondiale.
A fare gli onori di casa don Pino Straface, Direttore del Museo Diocesano e del Codex, che ha portato ai presenti i saluti di S.E. mons. G. Satriano, Arcivescovo di Rossano-Cariati e ringraziato l’autore per l’interessante opera sul Codex, oggi punto di riferimento per quanti intendono approfondirne il tema e per aver dedicato la stessa alla Città di Rossano e a mons. Ciro Santoro, primo Direttore del Museo Diocesano. I lavori sono stati ottimamente coordinati dalla Vice Direttrice del Museo Dott.ssa Cecilia Perri. È intervenuta Serena Flotta, Assessore alla Cultura del Comune di Rossano che ha portato anche i saluti di Stefano Mascaro Sindaco della Città e dell’Amministrazione Comunale. L’editore Ivan Porto ha portato invece i saluti della casa Editrice Imago Artis cui ha fatto seguito la Relazione del prof. Mario Falanga, storico e prefatore dell’opera che nella sua dissertazione ha inteso sottolineare come “Franco Carlino stupisce sempre per la sua vena letteraria, generosa e sensibile, su temi storici di rilevante interesse. Il suo oggetto di studio è ora il Codex Purpureus Rossanensis, straordinario codice di lusso, monumento storico di valore internazionale e prodotto altissimo di civiltà religiosa, letteraria e artistica. […] Il libro dello storico Carlino, […] è una di quelle tessere, sintesi di amore per il proprio territorio e per i suoi beni, attestazione di ricerca costante e virtuosa, segno d´instancabile approfondimento di temi e problemi di pregio internazionale, e, infine, motivo di speranza per nuove ricerche sempre più affascinanti. Il libro si compone di due parti. Nella prima, intitolata Cenni storici preliminari e cronologici, l´Autore si sofferma su temi e problemi di intensa complessità: origine e provenienza del manoscritto, aspetti di conservazione museale, posizioni culturali di esperti e studiosi, nuove scoperte sul colore “purpureo” del codice. […] Molto interessante è il paragrafo dedicato, sempre nella prima parte, a quanto è stato scritto sul Codice da studiosi ed esperti; si tratta di studi monografici che, considerati in sé, sono molto validi, e tuttavia presentano un medesimo limite: il mancato approccio pluridisciplinare. […] Pagine originali, oltre che molto interessanti, -ha continuato il prof. Falanga- sono dedicate da Carlino al “mistero sul colore porpora dell´Evangeliario” finalmente svelato. […] Concludono la prima parte del libro, le utilissime Note storico-cronologiche dell´evangeliario, in cui è tracciata la storia del Codex, dal secolo di probabile esecuzione sino ai nostri giorni, che vedono il manoscritto purpureo restaurato con perizia d’arte, e restituito all´amorosa cura della Chiesa di Rossano nonché alla universale ammirazione. Alle Note storico-cronologiche seguono alcune pagine di rilievo estratte un´importante pubblicazione degli anni ´70, Il Codice purpureo di Rossano, autore Ciro Santoro, figura di spicco del clero diocesano e primo direttore del “Museo diocesano di arte sacra”.
La seconda parte del lavoro di Franco Carlino è il vero obiettivo della sua opera: la trascrizione dell´amplissima bibliografia sul Codex. […] Alla sezione bibliografica seguono le tavole miniate dell´Evangeliario, ciascuna ben descritta e valutata sul versante della critica d´arte. Completano il lavoro brevi note sui primi studiosi del Codex e un utile Indice onomastico e degli Autori, un Indice delle case editrici, editori tipografie e stamperie, un Indice toponomastico, un Indice delle cose notevoli, quindi l´Indice generale e la Bibliografia dell´Autore. […].
Le conclusioni affidate all’Autore hanno consentito allo stesso di muoversi con alcune considerazioni generali nei contenuti e nell’impostazione metodologica del libro presentando ai presenti alcuni elementi di novità in esso racchiusi.
Conclusioni dell’Autore.
“Prima di tutto un chiarimento di fondo. Il presente libro pur essendo già pronto sin da ottobre 2016, vede ufficialmente la luce solo oggi, per motivi organizzativi.
La frase ricorrente in questo ultimo anno è stata: tutti parlano o hanno da dire del Codex. Dopo gli ultimi eventi che lo hanno riguardato, per il suo necessario restauro, effettivamente, a parlare del Codex e a riconoscerlo come vero tesoro di Rossano sono in tanti. Ciò vuol dire che si sono recuperati maggiore interesse e attenzione, nei confronti di questo gioiello dell’arte bizantina, rarissimo per la sua importanza, anche da parte di quanti nel tempo si sono sentiti in qualche modo lontani. Ora patrimonio dell’UNESCO è gelosamente custodito in questo Museo Diocesano e del Codex, orgoglio dell’intera città, del territorio e della Calabria. Parlarne non può che essere considerato positivo perché allarga il dibattito, gli orizzonti e sprigiona nuove energie a favore di questo bene prezioso, oggi più che mai toccasana e volano di sviluppo della città e del territorio. Tutti nei rispettivi ruoli siamo chiamati ad essere vicini al Codex, senza farne oggetto di divisione ma facendo rete, gestendone sapientemente ed efficacemente il suo valore come bene comune, come opportunità per avviare un nuovo ‘Rinascimento’ del territorio che si deve concretizzare con iniziative improntate al suo progresso capaci di scuotere tutte le enormi e rilevanti potenzialità in esso presenti e delle quali siamo portatori, come le risorse storiche, ambientali, paesaggistiche, agricole, turistiche, culturali e identitarie. Questa è la sfida che abbiamo davanti e che sta solo a noi portarla a compimento.
Nell’ambito letterario, che è lo scopo del presente lavoro, il Rossanensis si avvale di contributi critici ampi e approfonditi emersi nel decorso di circa due secoli nei quali si è capitalizzata una autorevole bibliografia critica, dovuta a famosi studiosi di Codici, storici dell’arte e cultori di storia della cultura e della civiltà bizantina.
Desiderando, per ciò che mi è stato possibile, offrire un modesto contributo al dibattito in atto, nell’anno del Codex, nel quale questo scritto si colloca, mi sono posto alcuni interrogativi ai quali ho cercato di dare, prima di tutto a me stesso, risposte semplici, come farebbe chiunque di fronte a un tema che non conosce. Risposte il più possibile convincenti per i giovani che sono poi quelli ai quali deve essere riferito come questo bene prezioso, da loro ereditato, deve essere orgogliosamente considerato e tutelato anche come memoria storica della comunità, lasciando, invece, agli studiosi e agli specialisti il compito di fornire risposte ai numerosi aspetti ancora non sufficientemente chiari e aperti a nuove ipotesi illustrative circa il luogo di origine, la cronologia nella sua datazione, il procedimento usato per realizzarlo, il suo rinvenimento e come questo inestimabile bene arrivò a Rossano. Da questo insieme di cose nasce il presente volume dedicato alla Città di Rossano e del Codex, nel ricordo di un ritorno tanto atteso della “più fulgida stella libraria della Calabria” e a mons. Ciro Santoro (che non ho avuto la fortuna di conoscere), primo direttore del Museo Diocesano, per averne negli anni preservato gelosamente l’integrità e fatto conoscere, al vasto pubblico, la sua universalità. Un volume che raccoglie anche il suo pensiero e al quale va in questo momento credo il nostro deferente saluto e la nostra riconoscenza.
Ricercando nel vasto panorama degli argomenti riguardanti il Codex mi resi conto che tra le diverse pubblicazioni quella a mancare era proprio una Bibliografia del Codex. Pertanto, questa, mia proposta rappresenta il principale elemento di novità. Un volume esclusivamente a carattere bibliografico nel quale, oltre ai tanti contenuti già ricordati da Mario Falanga nella sua impeccabile e raffinata esposizione, sono raccolte e catalogate ben 675 opere di cui 622 monografie, molte delle quali scritte dai maggiori esponenti della letteratura mondiale, e 53 pubblicazioni tra guide, pieghevoli e opuscoli riguardanti il Codex, che occupano uno spazio che va dalla sua conoscenza fino ai giorni nostri. Un lungo percorso nella letteratura mondiale che da Bisanzio porta allo scrigno del nostro Museo Diocesano, una ricerca bibliografica le cui finalità sono: un utile strumento per approfondire gli studi sull’Evangeliario rossanese e avvicinare chiunque alla conoscenza di questa nostra preziosità, anche quelli, che come me, del Codex ne avevano sentito parlare solo perché si trovava a Rossano.
Uno studio che mi ha consentito di cogliere e registrare anche uno straordinario, ampio e diverso aspetto dell’Evangeliario, fatto dai diversi pareri di ricercatori, studiosi, esperti, cultori, di fama internazionale, nazionale e di alcuni autori locali, che continuano ad alimentare proficuamente un dibattito sempre fluido e ancora in atto, oggetto di confronto con non poche e divergenti dissertazioni. L’altro elemento di novità del libro sono alcune pagine contenenti brevi note biografiche sui primi studiosi del Codex tra i quali Craufurd Tait Ramage, Cesare Malpica, Oscar Von Gebhardt, Adolfo Von Harnack e William Sanday, corredate dalle loro fotografie. Dicevo trattasi di novità perché di questi autori se ne è sempre sentito parlare ma credo molti non conoscono i loro volti che ho rintracciato e pubblicato per gentile concessione di alcune Gallerie e Archivi internazionali. Riguardo al Ramage, precettore dei figli del console inglese a Napoli, mi preme osservare che, quanto lo stesso ci racconta nel suo diario di viaggio del 1828, confluito nel libro della Howell 1868 dal titolo The Nooks and by-wais of Calabria ossia Angoli e scorciatoie d’Italia. Vagabondaggi alla ricerca di antichi resti e moderne superstizioni, oggi è oggetto di dibattito e confronto anche da parte di molti autori locali. Le problematiche che emergono, però, credo vadano certamente approfondite, poiché il rapporto del Ramage, è vero che sposterebbe l’assicella della probabile esistenza del Codice di ben 17 anni prima rispetto alla notizia fornita dal Malpica (1845), nei volumi Dal Sebeto al Faro e nel 1846 in La Toscana, l’Umbria e la Magna Grecia, ma di fatto la notizia del Ramage è resa pubblica, per quanto se conosce solo nel 1868, cioè 23 anni dopo e quando la notizia ad opera del Malpica era già nota.
Nel libro sono presenti alcune note tecniche sui materiali riguardanti la colorazione porpora dell’Evangelario che per quanto riguarda il nostro manoscritto, non è stata realizzata, -come sin qui ritenuto- con la secrezione di un mollusco, noto come gasteropode murice, ma con un colorante altrettanto raro di origine vegetale ricavato dall’oricello. Le note si richiamano ovviamente ai risultati delle indagini interdisciplinari sul Codice dal punto di vista storico, artistico, codicologico, paleografico, biologico, chimico, fisico e tecnologico e delle analisi spettroscopiche eseguite dall’Istituto di restauro confluite nella relazione di Marina Bicchieri, responsabile del laboratorio di Chimica dell’Istituto. Infine, l’altra novità, che il libro si pregia di custodire sono le opinioni di una stampa molto specializzata sul libro del Codex di don Ciro Santoro risalenti al 1974-75, forse a molti poco note, recuperate ad integrazione del presente studio bibliografico, e di questo devo ringraziare Mario Falanga. Novità, e vado a concludere, che mi offre l’occasione, al di là della mia modesta dedica, di chiudere questo mio saluto ricordando la figura di don Ciro Santoro con i meriti che autorevoli studiosi gli hanno tributato per la sua prima pubblicazione sul Codex.
Si tratta innanzitutto di una lettera pastorale di Mons. A. Cantisani insieme ad alcune valutazioni riportate da Civiltà Cattolica a cura del gesuita padre Giovanni Rulli, da Felix Ravenna a cura del prof. Giuseppe Bovini Ordinario di Archeologia Cristiana nell’Università di Bologna e Direttore dell’Istituto di Antichità Ravennati e Bizantine, della prof.ssa Fernanda De Maffei, Ordinaria di Storia dell’arte bizantina all’Università di Roma e del Bollettino di Grottaferrata che a suo tempo confermarono come l’opera che molti anni fa fu portata all’attenzione del mondo da mons. Santoro si collocava nel risveglio di una cultura calabrese contemporanea e tutto ciò contestualmente veniva sostenuto da personaggi di primo piano come il prof. Giuseppe Bernini della Pontificia Università Gregoriana, da P. Carlo M. Martini, Rettore del Pontificio Istituto Biblico di Roma, da Lamberto Donati de L’Osservatore Romano. Insomma Mons. Cirò Santoro con la sua iniziale pubblicazione sul Codex si meritò il plauso di una stampa specialistica che non mancò di definire il suo lavoro un taglio divulgativo che presupponeva studi scientifici approfonditi. Tra le diverse e positive note voglio ancora menzionare quelle di Avvenire Milano, di Antonio Cannizzo in Rassegna di Teologia, del prof. Antonio Garzya, dell’Università di Napoli, del prof. Giuseppe Schirò Direttore Istituto di Studi Bizantini e neoellenici dell’Università di Roma, del prof. Elpidio Mioni, Direttore dell’Istituto di studi bizantini e neogreci all’Università di Padova e tante altre recensioni apparse su: Il Mattino, Napoli, La Gazzetta del Mezzogiorno, Bari, La Scala, Noci, Gazzetta del Sud, Messina, Giornale di Calabria, Cosenza, Nuova Rossano, Rossano, Il Popolano, Corigliano, La vedetta, Castrovillari, Parola di Vita, Cosenza, La Voce del Santuario di Paola, Paola, Calabria Letterario, Longobardi, RAI, Cosenza, Gazzettino Calabrese.
Alla fine di questo mio studio ne ho potuto dedurre che fornire risposte sui diversi quesiti proposti ancora oggi dopo tanti secoli non è facile perché le relative risposte indugiano ad arrivare restando cinte dal mistero, pertanto, tuttora le discussioni sulle diverse questioni rimangono aperte, anche perché la mancanza di informazioni sicure e di documenti a riguardo alimentano sempre più nuove ipotesi e supposizioni, legittimamente consentite, ma che non favoriscono la verità.
Chiudo con due citazioni che credo siano quanto mai opportune e nelle quali mi riconosco pienamente, anche perché sono convinto che gli studi sul Codex continueranno a darci ulteriori sorprese tra le quali quella di essere più antico di quanto noi oggi pensiamo.
La prima quella della giornalista Cynthia Cutuli che nel suo libro Pagine di Calabria, edito dalla Rubbettino, ci dice che […] Nessuno potrà mai dire di chi era quella mano felice che ci ha lasciato questo capolavoro, né potremmo mai sapere se abitava a Bisanzio oppure a Cesarea di Palestina. […] Dobbiamo contentarci di guardare e ammirare, consapevoli che siamo di fronte ad un capolavoro che nel mondo ha pochissimi esempi. L’unica considerazione che possiamo fare è che quel monaco amanuense ha copiato da un testo ancora più antico perché ci sono delle ripetizioni che si possono considerare degli errori di copiatura […].
La seconda quella del Prof. Giuseppe Schirò, Direttore Istituto di Studi Bizantini e Neoellenici, Università di Roma, che a riguardo in una lettera del 31-5-1975 così scriveva a don Cirò Santoro.
“La sua pubblicazione è pregevolissima e merita ogni rispetto. Lei modestamente ha dichiarato di aver voluto fare opera di mediazione tra gli studiosi di codici e il pubblico che legge il giornale.
Nel caso specifico dirò che il medio limite da Lei scelto è il più saggio: non per amore alla sentenza aristotelica, ma perché di fronte a un monumento simile di cui non si conoscono le precise origini, diffondersi, aggiungere ipotesi ad ipotesi è quanto di più dannoso si possa fare per la soluzione della problematica proposta dal codice purpureo”.