Roma-25/05/2018: Da Cesare
DA CESARE
Alcuni anni fa mi capitava di avere dei cantieri di ristrutturazione nel centro di Roma, e, nelle pause pranzo, mi piaceva frequentare un certo localino dove si gustavano gli ottimi piatti della cucina tipica romana: Da Cesare.
Cesare era il padre di Antonio; il primo stava in cucina con la madre, il figlio in sala. Tradizionale conduzione famigliare.
Col tempo si era stabilita una certa reciproca simpatia.
Un giorno, Antonio, con fare stranamente imbarazzato, si avvicinò al mio tavolo con un incartamento sotto al braccio, in parte pudicamente velato dal tovagliolo di servizio: “Scusa archité, ce conoscemo da tempo ormai… Sai quanto te stimo…Pure papà e mamma…Pensavo…Insomma ho scritto un romanzo…e, magari tu…je potevi dà n’occhiata…un parere…”.
“Ma certo Antonio, volentieri, ce l’hai qua vedo, dammi, dammi, lo leggerò con calma a casa, con grande piacere.”.
Il corposo malloppo fu depositato con delicatezza a bordo tavolo.
Con occhio allenato riuscii a leggere, anche al contrario: “Un amore impossibile”.
Avvicinai il dattiloscritto a fianco piatto e, mentre Antonio riusciva a servire ai tavoli rivolto, come un girasole, sempre verso di me, aprii a pagina 1: “In un giorno di maggio, mi sono svegliato, e dopo essermi lavato e vestito, sono uscito in strada. Era una splendida giornata di primavera, gli uccelli cantavano sugli alberi fioriti, ed il sole splendeva nel cielo azzurro…”.
Mi si formò un tremendo nodo allo stomaco: stroncare sinceramente l’opera letteraria avrebbe significato rinunciare per sempre ai miei rilassanti pranzetti in quel posto.
D’un tratto, ai piatti fumanti e profumati portati in giro da Antonio spuntarono delle ali; e carbonare, amatriciane, e caci e pepe s’innalzarono in volo per la sala, ruotando in stormo vorticoso, come a cercare una qualche uscita, una via di fuga.
A terra, cotolette di abbacchio a scottadito, improvvisamente dotate di zampette di ranocchia, saltellavano in ordinata fila indiana verso di fuori.
E le paste e facioli! Trasformate come in biglie di vetro, rotolavano inesorabilmente verso la strada polverosa ed assolata.
Un ruscelletto di buon vinello della vigna di Cesare, dopo essere sciacquato in cascatella sui gradini del locale, gorgogliava sui sanpietrini in falsopiano, fino ad impantanarsi alla base delle maestose colonne del Pantheon.
Un vento, furioso ed improvviso, trascinava via dalla cucina freschi mazzetti di rucola, succulenti finocchi al pinzimonio e tenere e croccanti foglie di carciofi alla giudia…
Allora, con perfida calma, da quella carogna che sono, misi fine improvvisa a quell’incubo catastrofico, alzai lo sguardo sornione verso l’Antonio, e strizzando vergognosamente l’occhio sinistro, ed assentendo vigliaccamente, gli feci capire che: “Chi ben comincia, è alla metà dell’opera.”.
P.S. Nomi e titolazioni diversi dal reale (non sia mai dovessi ripassare di lì).
Maurizio Silenzi Viselli