Amendolara-30/05/2018:Il cocchio alato del tempo, un romanzo di Salvatore La Moglie
Rubrica letteraria a cura di Salvatore La Moglie
Il cocchio alato del tempo, un romanzo di Salvatore La Moglie
Qui di seguito pubblichiamo il secondo capitolo del romanzo di Salvatore La Moglie. Facciamo notare, con soddisfazione, che il primo capitolo ha ottenuto quasi 1600 visite. Buona lettura.
II
«Educa il tuo spirito con lo studio, non smettere mai di imparare: senza cultura la vita è quasi l’immagine della morte».
Catone il Censore
«Lo scopo del nostro studio consiste nel farci migliori e più saggi».
Seneca
«La vita deve essere una continua educazione».
Flaubert
Ero felice, tanto felice. A volte basta così poco. Stavo per conoscere mio padre. Non lo avevo mai veramente conosciuto. È incredibile come nella stessa famiglia ci si possa conoscere così poco. Ed è incredibile come spesso i rapporti tra consanguinei siano basati sui silenzi e sulle cose non dette. Sembra che un dialogo, un colloquio sia impossibile. Come se le parole fossero pietre. Si ha quasi paura di parlare, come se con le parole potremmo farci del male. È vero: le parole sono pericolose. Le parole sono mine vaganti e forse per questo Dostoevskij diceva che il silenzio è bello e il taciturno è sempre più bello di chi parla. Potere della parola! Una parola, una frase e un uomo può trovarsi subito all’altro mondo. «Datemi una frase e vi impiccherò un uomo», parola di Richelieu. Le parole sono assassine, le parole possono uccidere. La parola è azione, può condurre all’azione. Cosa fa «l’onesto Jago» nell’“Otello” di Shakespeare se non parlare e condurre (attraverso la sola parola!) l’ingenuo e accecato Moro di Venezia all’assassino dell’amata Desdemona? Magia e potere della parola! La lingua può mietere vittime, più tagliente com’è della falce.
Eppure, la parola è tutto. Cosa sarebbe l’uomo senza la possibilità di comunicare, di esprimersi? Il logos è alla base dell’uomo e della civiltà. Non vi sarebbe civiltà senza logos. Non ci sarebbero i libri, non ci sarebbe la storia e non ci sarebbe la letteratura. Non ci sarebbe niente. Ci sarebbe solo un mondo di animali, di bestie. Un mondo senza passato e senza futuro, un mondo calato in un eterno presente. Sarebbe un mondo migliore? E, allora, sarebbe l’uomo a renderlo quello che è?
Erano tante le cose di cui volevo parlare con mio padre. Volevo parlare della vita e della morte; dell’amore e dell’odio; della verità e della menzogna; del bene e del male; della felicità e dell’infelicità; della guerra e della pace; dell’intelligenza e della stupidità; della gioia e della malinconia; della socievolezza e della solitudine; del desiderio e dell’apatia; dell’umiltà e dell’arroganza; della prepotenza e della sottomissione; del potere di pochi e della subalternità di tanti; della follia e della saggezza; dei vizi e delle virtù; del ricco e del povero; del nano e del gigante; del bello e del brutto e di altro ancora.
Volevo parlare di questo mondo che mi appariva, sotto molti aspetti, così messo male, così malcreato da non sembrare opera di un Dio buono e misericordioso. Un mondo alla rovescia, tutto da rifare: ecco come mi appariva il mondo. E non ci vivevo bene perché troppo contraddittorio, troppo complicato, troppo diverso da me, da come ero fatto io. Non puoi adattarti al mondo, alla realtà in cui vivi se non ti identifichi e non ti riconosci in loro. Il disadattamento, il sentimento di estraniazione e di alienazione nascono dalla non identificazione, dalla non appartenenza. Se sei diverso dal mondo in cui sei calato, in cui sei «buttato» come puoi riconoscerti in esso? Come puoi appartenergli?
Vi confesso che gli ultimi mesi prima di laurearmi furono mesi vissuti nella disperazione. Disperazione nel senso di angosciosa mancanza di ogni speranza, di ogni fiducia. Un giovane alle soglie del Terzo Millennio senza valori in cui credere veramente, senza ideali da amare con passione. A cosa aggrapparmi? A cosa credere? Come avrei dovuto impostare la mia vita? Qual era il modo migliore di viverla? Mi sentivo solo, incerto e smarrito in un mondo sempre più complesso e complicato, sempre più spietato e crudele. Le uniche persone care che avevo su questo mondo erano mio padre e mia zia, la dolce zia Laura che non si era sposata e che aveva quindi rinunciato alla possibile felicità per fare da madre a me. Quella vera la conoscevo solo per fotografia: essa era morta per darmi la vita. Quando fui consapevole di questa verità, il senso di colpa si fece strada nella mia mente e nella mia anima. Col tempo questo sentimento, però, si affievolì in quanto cercai di razionalizzare il tutto. Tuttavia, debbo confessare che, nonostante l’uso della ragione, quel senso di colpa mi affligge sia nella vita cosciente che in quella inconscia, generando in me un forte sentimento di solitudine. E questa angoscia e questa solitudine ora (ma solo ora!) mi avevano aiutato a prendere coscienza del grande dolore e della grande solitudine in cui si era chiuso mio padre. Il quale non aveva mai accettato l’inspiegabile perdita della sua amata e molto più giovane compagna. Solo ora capivo e provavo molto rispetto per la sofferenza silenziosa e dignitosa di quel vecchio mentre provavo vergogna per la mia leggerezza e la mia inconsapevolezza durata così a lungo. È proprio vero: il sonno della ragione può generare mostri. La nostra mente e il nostro cuore sono due abissi, due pozzi senza fondo dove stanno un po’ tutti i sentimenti, quelli buoni e quelli cattivi che lottano tra di loro. L’importante è che, alla fine, quelli buoni prevalgano e possano informare tutta la nostra breve vita.
Nel pomeriggio ci ritrovammo nel suo immenso studio. Una stanza praticamente stracolma di libri, riviste e giornali di tutte le annate. Una stanza-libro, una stanza-giornale nella quale solo lui sapeva come muoversi, nella quale solo lui sapeva come e dove mettere le mani. Era molto orgoglioso e anche molto geloso dei suoi libri. Li aveva acquistati con tanti sacrifici, gli erano costate tante rinunce. Ma di questo non si era mai pentito. Diceva sempre che un uomo non deve mai avere tentennamenti o pentimenti per le cose in cui crede veramente. E lui, ai suoi libri e ai suoi giornali, ci credeva per davvero. Non avrebbe venduto la sua libreria neanche per decine di miliardi. Ci sono cose nella vita che non possono essere oggetto di vendita o di baratto. Così diceva spesso mio padre, e non l’avevo mai capito. O meglio, non avevo mai voluto capire perché mi ero sempre rifiutato di ascoltarlo. Adesso eravamo l’uno di fronte all’altro, lui seduto, io all’impiedi con il giornale in mano.
«Cosa dice di bello?», mi chiese indicando il giornale.
«Vorrai dire: ‘cosa dice di brutto’…», risposi aprendo il giornale e mostrandoglielo. Subito aggiunsi: «Gli Stati Uniti hanno cominciato a bombardare la Serbia, per difendere il Kosovo».
«Per difendere il Kosovo…», ripeté malinconicamente col tono di chi non crede. «Come Prezzolino, anch’io faccio parte della Società degli Apoti…», continuò ma fu interrotto da me.
«Cosa? La Società degli Apoti?…».
«Sì, la Società degli Apoti, di quelli cioè che non se la bevono», spiegò, quindi aggiunse: «Credi davvero che gli americani e i loro alleati siano andati lì per la libertà del Kosovo? Un paese straniero non spende denaro e non versa il proprio sangue per niente. Se sono andati lì», concluse, «è perché alla fine vogliono una ricompensa. Le guerre – da che mondo è mondo – si sono sempre fatte per accrescere il potere politico ed economico».
«Apparentemente», ribattei, «gli Stati Uniti d’America sarebbero scesi in campo per salvare la democrazia nella Jugoslavia e per porre fine alla ‘pulizia etnica’ di Milosevic contro i kosovari».
«Apparentemente, l’hai detto tu. Purtroppo, ragazzo mio, spesso dietro un ‘bel gesto’ si nascondono grossi interessi. Oggi si parla tanto di globalizzazione dell’economia e tiene presente che l’unica superpotenza rimasta sono gli USA. All’ex Unione Sovietica non è rimasto che lo spaventoso arsenale atomico».
«Potrebbe dunque darsi che l’America ha bisogno di questa guerra per dar sfogo alla propria economia…».
«Sì, Sandro, e anche l’Europa… La quale sembra davvero contare così poco politicamente. Ma il declino dell’Europa è un fatto più vecchio di me…», concluse. Poi, come ricordandosi di qualcosa, aggiunse: «Vedrai, con questa guerra sarà eliminato il caso Monica Lewinsky e non si parlerà più di processo a Clinton e di sexy-gate. Vedrai…».
Ascoltavo con molta attenzione quello che diceva e allo stesso tempo cercavo di riflettere e di capire. Ci fu una pausa che non durò molto. Presi la parola.
«Il secolo si chiude con una nuova guerra. Si è aperto con la guerra e si chiude con la guerra… Che razza di mondo!…».
«Questa non sarà una guerra-lampo come certamente credono che sia gli americani e i loro alleati. I serbi sono molto orgogliosi e sono molto nazionalisti».
«Da alcune parti», dissi, «si sostiene che l’azione della NATO sia una vera e propria aggressione, visto che il tutto avviene senza il placet dell’ONU».
«Indubbiamente, a livello di diritto internazionale, è un’aggressione nei confronti di uno stato sovrano ed inoltre un atto di forza di un paese più potente (gli Stati Uniti) nei confronti di uno meno forte sia economicamente che militarmente. La faccia viene salvata dal fatto che il ‘mostro’ Milosevic, il massacratore del kosovari indipendentisti, deve essere sconfitto. Al massacro si risponde con un altro massacro quando, invece, a mio avviso, si poteva venire a trattative… Vedrai quanti morti ci saranno e quanti errori commetteranno le cosiddette ‘bombe intelligenti’. L’abbiamo già visto in Irak…».
«Sembra che l’uomo non possa fare a meno della guerra», affermai sedendomi sulla poltrona e subito aggiunsi: «Leggendo la storia apprendi qualcosa di incedibile: che non c’è stato u secolo senza guerra. Ogni secolo ha le sue guerre. Persino quelle di religione…».
«Non riesco ad immaginare l’uomo in pace, ha detto Nietzshe. Lo stato normale dell’uomo è la guerra e non la pace. L’uomo è più propenso a scannarsi che a volersi bene. Prevale la tendenza alla guerra perchè prevale l’istinto aggressivo, la tendenza al male. Così è stato, così è e così credo che sarà sempre».
«Finché il mondo durerà?».
«Sì, finché il mondo durerà…», ripete con amarezza. Dopo una breve pausa riprese a parlare.
«L’uomo è la bestia più intelligente ma è anche la più pericolosa perché può essere coscientemente stupida e malvagia, proprio in quanto dotato della ragione. L’uomo, ragazzo mio, è la contraddizione personificata: allo stesso tempo è intelligente e stupido, colto e ignorante, buono e cattivo, angelo e diavolo, paradiso e inferno… È tutto e il contrario di tutto. L’uomo può essere Dante e può essere il più volgare e il più abietto; può creare le cose più sublimi e può distruggere la terra che abita schiacciando un bottone… Bisogna prendere atto di questa realtà, farsene una ragione altrimenti si finisce per rifiutare tutto».
«L’uomo, dunque», dissi, «l’uomo è stato, è e sarà sempre così? Ma come è possibile che sia così sfaccettato se a crearlo è stato Dio, a sua immagine e somiglianza?».
«Tu lo sai che io non sono un credente e che ho una visione realista della vita, ma per chi crede dovrebbe essere difficile accettare l’idea che Dio abbia creato anche l’assassino…».
«I preti dicono che Dio ha dato agli uomini il libero arbitrio…».
«Certo, cosa debbono dire? Debbono pur dare una spiegazione, debbono pur dare una giustificazione al male imperante. E così hanno inventato il libero arbitrio, come hanno inventato l’aldilà…».
«Papà, non fermarti. Continua. Voglio sentire cosa pensi dell’aldilà e dell’anima».
«Tu sai», riprese subito a dire, «che l’uomo è condannato a morire e che è l’unico animale consapevole di questa tragica verità. Ora, siccome per l’uomo è difficile accettare l’idea della propria distruzione e che, quindi, dopo la morte non vi sia che il nulla, ecco che le religioni più antiche, e anche quella cristiana poi, hanno elaborato il concetto di ‘aldilà’, il concetto cioè di ‘vita ultraterrena’. A questo è strettamente legato quello di ‘anima’, anzi quello è impossibile senza di questo. Infatti, esiste l’aldilà in quanto esiste l’anima. Ascolta: se l’uomo, in quanto dotato di ragione, si sente superiore a tutte le creature della terra, non può accettare l’idea che un giorno morirà come una qualsiasi bestia, che esso sia solo materia e che dopo la dipartita non rimanga di lui che un mucchietto di cenere… Non potendo accettare questa sconfortante ed angosciante idea, ha finito per inventarsi un’anima e un mondo che non esiste: aldilà. Forse è questa la più grande utopia dell’uomo. Perché l’uomo rimuove l’idea della propria morte e vorrebbe, invece, essere immortale. Su questo», concluse, «ci sarebbe tanto da dire. Ma non voglio annoiarti e non voglio annoiare soprattutto il lettore».
«Già, il lettore… Bisogna tenerne conto. Allora concediamoci una pausa. Vado a vedere cosa sta preparando la zia per cena».
«Tu va’, io intanto ridò un’occhiata a Seneca. Uno che di tempo se ne intendeva…».
«Indubbiamente, a livello di diritto internazionale, è un’aggressione nei confronti di uno stato sovrano ed inoltre un atto di forza di un paese più potente (gli Stati Uniti) nei confronti di uno meno forte sia economicamente che militarmente. La faccia viene salvata dal fatto che il ‘mostro’ Milosevic, il massacratore del kosovari indipendentisti, deve essere sconfitto. Al massacro si risponde con un altro massacro quando, invece, a mio avviso, si poteva venire a trattative… Vedrai quanti morti ci saranno e quanti errori commetteranno le cosiddette ‘bombe intelligenti’. L’abbiamo già visto in Irak…».
«Sembra che l’uomo non possa fare a meno della guerra», affermai sedendomi sulla poltrona e subito aggiunsi: «Leggendo la storia apprendi qualcosa di incedibile: che non c’è stato u secolo senza guerra. Ogni secolo ha le sue guerre. Persino quelle di religione…».
«Non riesco ad immaginare l’uomo in pace, ha detto Nietzshe. Lo stato normale dell’uomo è la guerra e non la pace. L’uomo è più propenso a scannarsi che a volersi bene. Prevale la tendenza alla guerra perchè prevale l’istinto aggressivo, la tendenza al male. Così è stato, così è e così credo che sarà sempre».
«Finché il mondo durerà?».
«Sì, finché il mondo durerà…», ripete con amarezza. Dopo una breve pausa riprese a parlare.
«L’uomo è la bestia più intelligente ma è anche la più pericolosa perché può essere coscientemente stupida e malvagia, proprio in quanto dotato della ragione. L’uomo, ragazzo mio, è la contraddizione personificata: allo stesso tempo è intelligente e stupido, colto e ignorante, buono e cattivo, angelo e diavolo, paradiso e inferno… È tutto e il contrario di tutto. L’uomo può essere Dante e può essere il più volgare e il più abietto; può creare le cose più sublimi e può distruggere la terra che abita schiacciando un bottone… Bisogna prendere atto di questa realtà, farsene una ragione altrimenti si finisce per rifiutare tutto».
«L’uomo, dunque», dissi, «l’uomo è stato, è e sarà sempre così? Ma come è possibile che sia così sfaccettato se a crearlo è stato Dio, a sua immagine e somiglianza?».
«Tu lo sai che io non sono un credente e che ho una visione realista della vita, ma per chi crede dovrebbe essere difficile accettare l’idea che Dio abbia creato anche l’assassino…».
«I preti dicono che Dio ha dato agli uomini il libero arbitrio…».
«Certo, cosa debbono dire? Debbono pur dare una spiegazione, debbono pur dare una giustificazione al male imperante. E così hanno inventato il libero arbitrio, come hanno inventato l’aldilà…».
«Papà, non fermarti. Continua. Voglio sentire cosa pensi dell’aldilà e dell’anima».
«Tu sai», riprese subito a dire, «che l’uomo è condannato a morire e che è l’unico animale consapevole di questa tragica verità. Ora, siccome per l’uomo è difficile accettare l’idea della propria distruzione e che, quindi, dopo la morte non vi sia che il nulla, ecco che le religioni più antiche, e anche quella cristiana poi, hanno elaborato il concetto di ‘aldilà’, il concetto cioè di ‘vita ultraterrena’. A questo è strettamente legato quello di ‘anima’, anzi quello è impossibile senza di questo. Infatti, esiste l’aldilà in quanto esiste l’anima. Ascolta: se l’uomo, in quanto dotato di ragione, si sente superiore a tutte le creature della terra, non può accettare l’idea che un giorno morirà come una qualsiasi bestia, che esso sia solo materia e che dopo la dipartita non rimanga di lui che un mucchietto di cenere… Non potendo accettare questa sconfortante ed angosciante idea, ha finito per inventarsi un’anima e un mondo che non esiste: aldilà. Forse è questa la più grande utopia dell’uomo. Perché l’uomo rimuove l’idea della propria morte e vorrebbe, invece, essere immortale. Su questo», concluse, «ci sarebbe tanto da dire. Ma non voglio annoiarti e non voglio annoiare soprattutto il lettore».
«Già, il lettore… Bisogna tenerne conto. Allora concediamoci una pausa. Vado a vedere cosa sta preparando la zia per cena».
«Tu va’, io intanto ridò un’occhiata a Seneca. Uno che di tempo se ne intendeva…».