Trebisacce-05/02/2021:  SAGGEZZA E MEDITAZIONE

                                                    

SAGGEZZA E MEDITAZIONE

 

Può esistere una meditazione che miri alla liberazione ma che sia priva dell’aspetto conoscitivo?

Per qualcuno sembra che la meditazione possa essere solo una specie di limbo più o meno piacevole. Sempre per qualcuno l’impegno conoscitivo rispetto al reale andrebbe evitato. Soprattutto non sarebbe necessario né auspicabile mettersi in crisi, esplorare a fondo quelli che sono i propri bagagli culturali…non sarebbe necessario per esempio vedere come i propri bagagli culturali siano in realtà una congerie informe di contenuti che vanno dalla scientificità alla superstizione, il tutto mescolato in proporzioni variabili, e come , quindi, non vi sia prova certa o dimostrata dei contenuti che proponiamo. In sostanza si vuole salvare capra e cavoli. Datemi un bel rilassamento che non mi faccia pensare (non a caso molte persone, parlando, ci dicono: “ Tu, che sei esperto di rilassamento….” ) .

Invece noi pensiamo che meditare debba servire soprattutto come un modo per migliorare il vivere ( e sicuramente qualche manciata di minuti di rilassamento non basta, in quanto subito dopo i problemi si ripresentano) e per darci una prospettiva sulla realtà ultima, una prospettiva che non abbia a che fare con i concetti.

Quest’ultima frase può sembrare contraddittoria con il fatto che siamo qui ad usare una logica concettuale stringente ma certamente noi, come tutti, dobbiamo fare uso del linguaggio per comunicare. Però non abbiamo nessun concetto da propagandare o da difendere e non chiediamo a nessuno di credere in qualcosa, offriamo solo un metodo di lavoro.

Proponiamo una pratica che porta a cercare la trascendenza nelle cose, la trascendenza delle cose come sono. A chi pratica chiediamo solo di realizzare in sé un’esperienza di osservazione interiore, di cercare di vedere ciò che c’è davvero, non quindi dei contenuti ma il brulicare incessante del dualismo contenutistico e chiediamo di separare con la maggior chiarezza possibile l’esperienza dai concetti: questa è l’esperienza di un dato fisico (contatto, rumori, vista) , questi sono i concetti conseguenti ai dati sensoriali; questo è il corpo, questa è la coscienza e, nello stesso tempo, questo è il complesso corpo-coscienza.

Cominciando a vedere così, cominciamo forse a renderci conto delle volte in cui la concettualizzazione entra in campo e trasforma (inquina) l’esperienza. Ecco che le cose non sono più “come sono” ma “come le vediamo”- in genere come le vogliamo vedere o come siamo condizionati a vederle. Cominciamo forse a vedere il momento in cui i concetti sorgono. Potremo forse cominciare a chiederci come sorgono i concetti .

Poiché i concetti hanno generalmente a che fare con giudizi di valore (positivo o negativo, bello o brutto, spirituale o materiale e così via) possiamo probabilmente dedurre che questo schema di valori sorga dalle nostre predisposizioni vicine, lontane e più che lontane. Se queste predisposizioni (che hanno origine dalla sensazione, piacevole o spiacevole) ci portano a concetti dualistici (buono, cattivo ecc.) e sono in noi così radicate e inquinanti, com’è possibile che esse non entrino in ciascuna delle nostre idee, credenze, fedi, visioni del mondo?

E’ questo che rende ciechi tutti gli “aderenti” a qualcosa.

Aderiscono, si afferrano a qualcosa. Questo qualcosa è qualcosa che a loro piace (sensazione gradevole) , qualcosa che dà quindi loro consolazione, che permette anche, in una certa misura, di vivere meglio. Ecco che qualcuno, in una determinata posizione, potrà pensare: “ Il mondo è meraviglioso, Dio ci vuole davvero bene e ci fa provare sensazioni splendide” mentre qualcun altro, un pastore eritreo alla fame per la siccità incalzante, con i propri animali pelle e ossa e i propri cari morenti di fame e malattia, potrà pensare che questo mondo è un inferno, magari raccomandandosi allo stesso Dio, in questo caso stranamente indifferente.

Perciò tutto è relativo e in relazione alle predisposizioni ed alle condizioni esistenziali di chi dà il giudizio. L’’unica verità assoluta sembra essere la mancanza di una verità assoluta o, detto meglio, che proprio la relatività dei vari tipi di verità è la verità. Ma anche questo è solo un concetto e deve essere accettato nella sua relatività . Ci sono persone che praticano la meditazione da anni e che nonostante ciò sono portatori di contenuti vari, accettandoli acriticamente o quasi senza neanche rendersene conto, essendosi accostati alla pratica con la tazza già piena e senza la voglia di svuotarla, per cui continuano ad asserire qualcosa. Tutti asseriamo qualcosa nella vita quotidiana, però il problema è se siamo consci della sua relatività, oppure se dentro di noi la consideriamo una verità assoluta. Se siamo su questo piano non potremo mai metterci in discussione, la nostra tazza sarà sempre piena di contenuti ed avrà poco a che fare con il silenzio della mente. Anche questo comunque è un giudizio.

E, come tale, relativo.

RAFFAELE BURGO