Dorotea “Dorina” Verni non è più.
Ma quando fu, è stata tanto.
Donnamogliemadre, credente, nonna. Centenaria. Maestra.
Colei che mi mise una penna in mano.
Quando lei era già in pensione, fui uno dei suoi ultimi allievi, membro di un club esclusivo che conta centinaia, forse migliaia di soci.
Gli alunni della Maestra Verni-Le Voci.
Nei prossimi giorni, come avviene sempre quando sparisce qualcuno che ha inciso la propria esistenza così profondamente nel tessuto di una comunità, fioccheranno mille storie e infiniti ricordi.
Credete ad ognuno di essi, per quanto vi sembreranno incredibili, perché per quanto vi possa sembrare straordinario ciò che ascolterete, non lo sarà mai come la protagonista dei racconti.
Se qualcuno vi parla di mia nonna e ve la descrive come una vecchina affabile, mite, accomodante, non lasciatevi fregare.
Vuol dire che mia nonna non l’ha mai conosciuta.
Oppure, è molto più probabile che la vegliarda, donna tra le più intelligenti e furbe che abbiano mai calcato questa terra mortale, lo abbia fregato, che abbia deciso di mostrare sola una parte di quel prismatico e caleidoscopico universo che era.
Vedete, se mia nonna fosse stato un personaggio letterario, l’idea della sua creazione sarebbe venuta a Sciascia, il quale, dopo qualche ora di riflessione, avrebbe chiamato Moravia e Kafka per un consiglio su come inquadrare il soggetto.
Alla fine non ne sarebbero venuti a capo perché mia nonna non è mai stato un personaggio in cerca d’autore.
Si è sempre scritta da sola, esattamente come ha voluto.
Ed è questa l’ottica in cui io vorrei che fosse ricordata: Dorotea Verni, detta Dorina (e il suo nome è l’unica cosa in cui qualcuno sia riuscito ad applicarle un diminutivo) è stata pura volontà di potenza.
Ha sempre, sempre, sempre, sempre cercato di fare ciò che voleva, come voleva, dove voleva e quando voleva.
Ci è riuscita la maggior parte delle volte.
Era granitica nelle sue convinzioni, inamovibile nelle sue posizioni fino all’istante in cui lei e solo lei decideva di cambiarle, severa con tutti e più di tutti con sé stessa, ineluttabile nelle decisioni prese, stoica nelle sue convinzioni, convinta del proprio inalienabile e insindacabile diritto di cambiare parere. O di non farlo.
In uno degli ultimi decenni della sua esistenza, intorno a 90 anni, camminava tranquillamente per il paese.
Indossava sempre un abito scuro, dalla morte del marito, al quale tuttavia abbinava un “maccaturo” cioè un foulard per la testa, colorato, vestigia di una passione mai confessata per gli abiti eleganti.
Portava sul viso un paio di occhiali da sole neri a mascherina, tipo gangster cinese in carriera della triade.
Così bardata, fermava gente in mezzo alla strada, GENTE CHE NON CONOSCEVA ASSOLUTAMENTE, solo perché la vedeva fumare e gli faceva dei cazziatoni epocali che ancora risuonano per la strada, chiedendo loro perché si stavano uccidendo con il fumo.
Ora voi immaginatevi che una vecchia di 90 anni, incartapecorita, vestita come un boss della mala cinese, a lutto vi fermi per cazziarvi violentemente in mezzo alla strada.
Vi posso assicurare che almeno 4 delle tante persone che ha beccato hanno smesso di fumare in quel preciso momento.
Tutte, nessuna esclusa, indipendentemente dall’età che portavano sulle spalle, che fossero professionisti affermati, o uomini di mondo, spegnevano subito la sigaretta e chiedevano scusa, mentre mia nonna, badante al braccio, si allontanava soddisfatta.
E ve ne potrei raccontare altre di imprese leggendarie.
Dalle sue incursioni negli uffici postali, al rapporto con mio Enzo, a quello con mio padre, che in un certo qual senso, penso che alla fine di tutto sia divenuto il suo più caro amico, nonostante il suo arrivo fosse stato all’epoca per lei un inatteso (diciamo così) colpo di scena.
E vi potrei parlare di quanto gridavamo l’uno contro l’altro, e di quanto ridevamo l’uno con l’altro e di come intimorisse un po’ tutti con quella sua volontà di potenza, tranne me che in quella casa piena di immagini sacre ero cresciuto.
Vorrei farvi ascoltare il ringhio, a metà tra un’invocazione e una evocazione con il quale diceva “Pronto” al telefono, quasi come se ti volesse comunicare che dato che ti stava chiamando lei, ti DOVEVI mettere sull’attenti, scattare in piedi e sbattere i tacchi.
Vorrei raccontarvi di quella volta che non voleva festeggiare i suoi cento anni e di come le promisi che le avrei sfondato la porta di casa se non mi avesse aperto per andarla a prendere, e della guerra che durò quasi un anno su questo argomento.
Vorrei raccontarvi di quella volta che mi venne a prendere a scuola e che mi cazziò preventivamente perché la mia maestra le aveva detto che voleva parlarle e lei temeva in un rimprovero. Ed invece erano complimenti, per i quali non mi chiese mai scusa. Ma si fece capire.
Vi potrei parlare di quanto e quando portò me e miei cugini, per contrapposizione e sfinimento catecumenali vicino al buddismo.
Vi potrei raccontare di quando faceva la nonna nijna e calava alle tue spalle, nella penombra, all’improvviso gridando “LO SPIRITO SANTO DISCENDA SU DI TE”. Scanto inside.
Vi potrei parlare di quando si toglieva la maschera della severità, di quando il dito ritorto dall’artrite smetteva di puntare verso di me come una bacchetta magica di legno arboreo, pronta a lanciare anatemi, e scoppiava in una risata fragorosa e gli occhi le ridevano brillanti nonostante l’età.
Diceva, ridendo: “Va bene… obbedisco. Come disse Garibaldi”.
Potrei raccontarvi dell’amore per i suoi parenti, per il marito, per la sorella, per i fratelli, per i figli, per gli alunni, di cui diceva sempre che erano stati bravissimi. Tutti, nessuno escluso.
Potrei raccontarvi infinite storie, tutte vere, però, in questo mio ricordo di lei per chi legge (e per me soprattutto) vorrei raccontarvi una storia che spiega un concetto fondamentale.
Vedete, mia nonna, con il suo carattere spigoloso, autoritario, intransigente, è stata ed è ancora amatissima, adorata.
In alcuni casi anche idolatrata, assurta ad iconico archetipo di quell’austera bontà tipica delle maestre del secolo scorso.
Gli occhi di molti adulti, dei suoi ex allievi, di chi l’ha conosciuta, nelle prossime ore saranno cornucopie di lacrime grandi come ricordi.
Perché alla Sig.ra Verni, che non è una maestra, ma LA maestra, tutti vogliono un bene infinito, indipendentemente da quale spigolo del carattere di mia nonna abbiano conosciuto.
Il perché io me lo sono dato il giorno in cui abbiamo festeggiato i suoi 100 anni.
C’erano una infinità di persone, amici, parenti, ma soprattutto i suoi ex alunni.
Erano, vi assicuro, legione.
Per farle gli auguri, si sono avvicinati in fila a lei, che era seduta su una sedia con la dignità e il portamento di una regina, emozionatissima, ma come al suo solito impassibile.
Ad un certo punto si è avvicinata una donna, oggi mamma, forse nonna a sua volta.
Prima che colei che fu alunna potesse proferire parola, colei che è ancora La Maestra scatta in avanti con le mani e prende tra le sue quelle della donna, dicendole con le lacrime agli occhi:
“Mi perdoni per averti buttato quel giorno il quaderno dalla finestra? Ti prego, mi perdoni?”
Dunque, che mia nonna avesse fatto volare dalla finestra quaderni agli alunni che non riteneva avessero dato il massimo mi era noto.
Ma quel momento cosa rappresentava?
Rappresentava un peso che una donna di 100 aveva portato nel cuore per almeno 60 anni e di cui sentiva di dover chiedere scusa.
Un evento, tra un milione di milioni della sua vita, che le pesava ancora nell’animo.
L’ex alunna ha reagito con un primo momento di sbigottimento.
Non perché non ricordasse l’accadimento, ma al contrario perché se lo ricordava benissimo.
Era stato un momento importante della sua vita, uno di quelli che ti segnano, che ti ricordi per sempre, una piccola ferita rimarginata che ti lascia la cicatrice.
La scoperta che ciò che per lei era stato un grande dolore era un peso anche per chi l’aveva causato, ha segnato il volto di quella donna per un istante, che poi ha sorriso e con la maggior consapevolezza a cui abbia mai assistito ha risposto “Si, vi perdono”. E tutto era andato al suo posto, come avviene solo quando un torto subito viene cancellato.
Dunque, chi era la Maestra Dorotea Verni in Le Voci, detta Dorina?
Era una donna che dopo 60 anni aveva nel cuore di chiedere scusa a una bambina che, nel suo ruolo formativo improntato con la didattica del tempo, come sapeva fare lei, aveva trattato male.
Era una donna consapevole di sé stessa, certa di essere fedele alla sua visione, ma anche cosciente che la sua visione poteva non essere quella di tutti.
Quanto carattere devi avere per chiedere scusa dopo 60 anni per il torto fatto ad una bambina, oggi donna? Per custodire dentro di te questo bisogno di perdono?
Quanto deve essere grande un cuore per contenere un simile pentimento per decenni e decenni?
E quanti altri ce ne erano?
E come convivevano con quel carattere indomabile, fiero, risoluto?
Io credo che ciò che tenesse tutto insieme, cioè che rendesse davvero incredibile il suo carattere fosse che tutto il suo strano, personale, indomito e a volte anche spiazzante modo di essere era tenuto insieme da una vera bontà.
Perché mia nonna, su ogni cosa, era una persona buona.
Indomabile, indomata, e indomita, tanto nella fede, quanto nelle opinioni, quanto nel tipo di acqua che doveva esserci a tavola.
Mia nonna mi faceva tanti complimenti. Pure troppi.
Il più bello che le sentivo pronunciare era questo “Tu sei come me. Vuoi fare le cose a modo tuo, sempre”.
E forse, speriamo, che la pigna non cada lontano dall’albero…
Un’ultima nota: la morte per sconfiggerla l’ha presa quando non era cosciente, altrimenti, nessuno me lo toglie dalla mente, non ce l’avrebbe fatta.
Ho scritto questo lungo testo perché mi piacerebbe che quando qualcuno evocherà un ricordo di lei, non dica che solo era buona, che era dolce, che era gentile, e tutte queste querule e melense, soggettive verità.
Non sono questi gli aspetti del suo essere che la definiscono.
Di mia nonna dite che era ciò su tutto: INDOMABILE, INDOMITA, INDOMATA, NEPPURE DALL’ETA’, FIERA, ORGOGLIOSA DEL SUO ESSERE A MODO SUO E DI CIO’ IN CUI CREDEVA.
La sua è una bontà indomabile, come il carattere.
Sappiate, tuttavia, che qualunque cosa voi direte, vi rimprovererebbe, apostrofandovi che invece dovreste dire una preghiera.
O i dieci comandamenti.
Ma in cuore suo, con l’anima e dietro gli occhi, sorriderebbe.
Grazie a chi le ha voluto bene e a chi gliene vuole anche oggi che se ne è andata.
I funerali si terranno domenica 27 Giugno alle ore 16.30 nella Chiesa del Cuore Immacolato della B. V.M.(di Don Vicenzo).
Ps: se nei prossimi giorni notate dei cambiamenti nel mondo, tipo giornate più fresche, un sole leggermente più giallo, o un aumento sconsiderato del potere della Chiesa Cattolica, è perché lei, lì dove si trova adesso sta prendendo il potere.
Se c’è qualcuno che può mettere in riga angeli e padreterni, è proprio lei.
Buon viaggio Donna Dorina… speriamo di aver preso non solo il tuo carattere ma anche un po’ della tua genetica.
Andrea Mazzotta