Trebisacce-13/07/2022: IL CANTO PRIMO DEL PARADISO E L’ORDINE DELL’UNIVERSO di Pino Cozzo  

 

IL CANTO PRIMO DEL PARADISO E L’ORDINE DELL’UNIVERSO

di Pino Cozzo

 

Al frastornato Poeta, la sua guida, Beatrice, piena di beltade, spiega che egli non è più in terra, ma che sta rapidamente ascendendo verso il cielo, che è la dimora delle anime. E quando Dante le chiede come sia possibile che possa salire con il corpo attraverso l’aria e il fuoco, Beatrice gli spiega come ogni cosa abbia un ordine, che è il principio che le rende simili al loro Creatore, e che tutte si muovono nell’universo secondo un particolare istinto predisposto da Dio, che è lo stesso che ora lo spinge verso l’Empireo. Beatrice rivolge al Poeta uno sguardo di compassione, che è simile a quello che l’autore nutre per il lettore: una naturale difficoltà di passare da una considerazione materiale delle cose ad una metafisica. E’ un nuovo stile letterario che permeerà tutto il Canto. Il Paradiso non si può descrivere, lo si può immaginare, con una profonda e matura Fede, come una sovrannaturale aspirazione, che ne esclude la comprensione e la raffigurazione. Al Poeta spetta il compito di trasmettere ai lettori la solida eternità e l’eccelsa beatitudine con i mezzi espressivi e linguistici di cui dispone l’uomo. Quel “Significar per verba non si poria”, che segna il confine col reale, immateriale, mistico, invisibile, che si realizza nei profondi silenzi e nell’elevazione salvifica dello spirito. La salvezza dell’uomo e del mondo sono saldamente nelle mani dell’amore di Dio, apparso in eterno in tutto il suo splendore. E’ l’umanità che si apre alla fede e vive la gioia di un’esistenza che continua a essere faticosa, segnata dalla contraddizione e dalle smentite, ma che, nel contempo, è consapevole di essere vittoriosa sulla morte e sulle debolezze, perché fondata sulla conoscenza di Dio. Un canto di lode alla Gloria del Signore, nella quale si scorge la radice della nostra consolazione. La nostra compassione, poi, come tutta la carità, deve iniziare in casa, nel nostro ambiente di lavoro, nella nostra comunità. Lì, la nostra generosità e la nostra solidarietà trovano le loro radici profonde e la loro potenzialità.  Il modello del nostro amore, “come Lui ci ha amati”, sarà sempre il vangelo, col quale noi non dobbiamo avere paura di confrontarci, la cui radicalità, sia pure non sempre attuabile nella nostra fragilità, non deve essere rigettata, ma rafforzata, tenuta sempre come ideale e meta. L’essere un collaboratore di Cristo deve portare una certa differenza nella nostra vita, costituire un concreto stimolo alla mente, al cuore, e al modo di essere, affinché, in qualche maniera, noi non saremo più come prima, e non ancora come saremo in futuro. Quella differenza potrebbe essere riassunta in una sola cosa, misurata con un barometro: un vivere il vangelo rinnovato e più fedele, perfino dove esso ci ponga in imbarazzo e ci impegni maggiormente. Ogni persona è un mondo a sé ed è tempio dello Spirito Santo, e l’esistenza di molti non sminuisce il supremo valore di ciascuno. Come nell’Eucaristia, così anche nei poveri, Gesù è ugualmente presente nel singolo e nella moltitudine. E forse, il modo migliore per mostrare che niente è troppo grande è proprio dimostrare che niente è troppo piccolo, e che consiste nell’essere pronti a fare le piccole cose, con amore. La nostra fede è in Lui, nella forza della Sua Parola pronunciata per mezzo della nostra voce, detta in ciò che siamo e in ciò che facciamo, nelle cose e nei gesti che fanno spazio a Dio e alla Sua attività e crescita, più che nei nostri metodi matematici e progetti pronti, che interessano la mente, gli opuscoli e spesso le assemblee, ma poco i cuori e i sentimenti