Trebisacce-28/08/2022: Rubrica letteraria a cura di Salvatore La Moglie Pubblichiamo qui di seguito l’analisi del canto-capitolo XXI dell’Inferno di Dante, del quale Salvatore La Moglie propone un nuovo e originale commento che è diventato un libro pubblicato dalla casa editrice  Setteponti di Arezzo.

 

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Salvatore La Moglie

Rubrica letteraria a cura di Salvatore La Moglie

Pubblichiamo qui di seguito l’analisi del canto-capitolo XXI dell’Inferno di Dante, del quale Salvatore La Moglie propone un nuovo e originale commento che è diventato un libro pubblicato dalla casa editrice  Setteponti di Arezzo.

 

Canto-capitolo XXI ovvero il canto dei barattieri. Ottavo cerchio, quinta bolgia. Siamo sempre nel Regno della Malizia e della Fraudolenza e nell’abisso terribile di Malebolge. Ad essere dolorosamente puniti sono i barattieri, completamente immersi (e sommersi…) nella pece bollente e appiccicosa. Sono continuamente colpiti dai roncigli uncinati dei diavoli di Malebranche che dilaniano i loro corpi (sì, perché Dante ti fa vedere corpi piuttosto che anime). La legge del contrappasso (per analogia) consiste nel fatto che come, sulla Terra, furono invischiati in affari di corruzione e, quindi, loschi e oscuri, nell’inferno sono per sempre invischiati nella pece scura e bollente, scottante come scottanti erano, appunti, i loro meschini affari per il proprio tornaconto ai danni della comunità. Malebranche (i diavoli dalle cattive branche, dagli artigli leonini che non perdonano) e la sporca decina dei diavoli plebei e triviali che vorrebbero assestare almeno un colpo di ronciglio sulle spalle di Dante.

Così di ponte in ponte, altro parlando che la mia comedìa cantar non cura, venimmo; e tenevamo il colmo, quando restammo per veder l’altra fessura di Malebolge e li altri pianti vani; e vidila mirabilmente oscura.

Quale nell’arzanà de’ Viniziani bolle l’inverno la tenace pece a rimpalmare i legni lor non sani,  chè navicar non ponno; in quella vece chi fa suo legno novo e chi ristoppa le coste a quel che più viaggi fece; chi ribatte da proda  e chi da poppa; altri fa remi e altri volge sarte; chi terzeruolo e artimon rintoppa; tal, non per foco, ma per divin’arte, bollia là giuso una pegola spessa, che ‘nviscava  la ripa d’ogni parte. I’ vedea lei, ma non vedea in essa mai che le bolle che ‘l bollor levava, e gonfiar tutta, e riseder compressa.

Mentr’io là giù fisamente mirava, lo duca mio, dicendo ‘Guarda, guarda!’, mi trasse a sé del loco dov’io stava.

Così Dante ci introduce nella quinta bolgia dei barattieri e lo fa con una delle sue mirabili similitudini che servono a far comprendere ancora meglio ciò di cui vuol parlare e renderlo, quindi, più chiaro e indimenticabile. Dunque, dice che procedendo di ponte in ponte e parlando di altre cose che non riguardano l’argomento del suo poema, stavano sulla sommità del ponte, quando si fermano per vedere l’altra fossa, fenditura (cioè la quinta bolgia) di Malebolge con gli inutili pianti (inutili perché si tratta di punizione eterna e a nulla serve versare lacrime, cioè non servono per potersi redimere e salvarsi); e la bolgia si vede  sorprendentemente oscura (cioè particolarmente oscura, più oscura delle altre). Come nell’arsenale dei Veneziani d’inverno viene fatta bollire la dura e vischiosa, attaccaticcia pece per spalmarla di nuovo sulle navi guaste, logorate (per il troppo uso), perché non possono navigare; e così (i marinai), invece di navigare,  si dedicano ai più diversi lavori: chi costruisce una nuova nave, chi tura nuovamente con la stoppa i fianchi di una nave che ha fatto molti viaggi; chi ribatte con chiodi da prora e chi da poppa (per riparare, rinsaldare le parti sconnesse); altri, invece, costruiscono remi e altri avvolgono la canape per farne sartie, cordami resistenti; chi rattoppa la vela minore e chi la maggiore; così, allo stesso modo, non a causa del fuoco, ma per (misteriosa, arcana) opera di Dio, laggiù, in quella bolgia, bolliva una pece densa, spessa che rendeva vischiosa, appiccicosa, in ogni parte, la ripa della bolgia (l’onesta operosità dei marinai e dei lavoratori dell’arsenale nel costruire e nel riparare è messa a paragone con il disonesto e ingannevole operare e darsi da fare dei barattieri per il proprio particulare, per il proprio tornaconto e a danno degli altri). Io vedevo la pece, e non vedevo in essa altro che le bolle fatte salire, emergere dal ribollire, dal continuo pullulare, e la vedevo gonfiarsi e ricadere sgonfiarsi come se fosse premuta.

Mentre io guardavo fissamente in basso, nel fondo di quel luogo così oscuro, Virgilio, dicendomi “Attento, attento!”, mi attirò verso di lui (facendomi, così, allontanare dal quel luogo pericoloso, perché si rischiava di finirvi dentro: non si dimentichi che Dante era stato accusato e posto in esilio proprio con l’accusa infamante di baratteria (che è l’equivalente di quelle che oggi chiamiamo corruzione, concussione, peculato e, insomma, il prendere denaro pubblico per tornaconto privato) che lui respinse sempre con sdegno; qui la sua condanna per tale colpa è durissima e fa capire ai suoi accusatori e ai posteri che lui la punisce severamente nell’Inferno e che ben altri sono coloro che devono rispondere di tale atto di malvagità messa in opera in maniera fraudolenta, perché, appunto, approfittarono della  propria carica pubblica, o del proprio servizio presso un Signore, per accumulare denaro, potere e privilegi con disonestà).

Dopo la messa in guardia di Virgilio, il Poeta, con un’altra similitudine, stabilisce un altro paragone: Allor  mi volsi come l’om cui tarda di veder quel che li convien fuggire e cui paura sùbita sgagliarda, che per veder, non indugia ‘l partire; e vidi dietro a noi un diavol nero correndo su per lo scoglio venire: Allora mi sono voltato, girato come colui che è impaziente, ansioso di vedere il pericolo che gli conviene sfuggire e al quale la paura, improvvisamente, toglie il coraggio, il vigore, le forze e che, sebbene continua a guardare (quel pericolo), tuttavia scappa, non sta ad indugiare; (e il pericolo è stata la vista di un diavolo tutto nero) e ho visto che dietro di noi sta venendo, sta avanzando un diavolo nero che corre (come volando, visto che è munito di ali, probabilmente simili a quelle del pipistrello) su per lo scoglio, per il ponte.

Segue la spaventosa descrizione della terrificante creatura satanica: Ahi quant’elli era nell’aspetto fero! E quanto mi parea nell’atto acerbo, con l’ali aperte e sovra i piè leggero! L’omero suo, ch’era aguto e superbo, carcava un peccator, con ambo l’anche, e quei tenea de’ piè ghermito il nerbo. Del nostro ponte disse: “O Malebranche, ecco un delli anzian di santa Zita! Mettetel sotto, ch’io torno per anche a quella terra che n’è fornita: ogn’uom v’è barattier fuor che Bonturo; del no per li denar vi si fa ita”: Ahi quant’era spaventoso, feroce nell’aspetto, nello sguardo! E come mi sembrava crudele e arrogante nell’atteggiamento, con le ali aperte (pronte a farlo volare per colpire) e i piedi leggeri e svelti nel correre! La sua spalla, che appariva a punta e rialzata, portava un peccatore afferrandolo dai garretti, dai nervi dei piedi (proprio come fa il macellaio con metà maiale su una spalla). Dal ponte in cui eravamo noi disse: “O diavoli di Malebranche (dopo Malebolge non vi può essere che una schiera di diavoli guardiani chiamati, con un nome affine, Malebranche per i loro artigli, unghioni e roncigli di cui sono provvisti), ecco qua uno dei magistrati di Lucca (gli Anziani di Santa Zita erano i 10 reggitori di Lucca e i lucchesi erano devoti di una pia fantesca di Pontremoli chiamata Zita e morta a Lucca nel 1272); mettetelo sotto la pece bollente, che io sto tornando di nuovo proprio da quella città (di Lucca) che è ben piena, ben fornita di barattieri; a Lucca son tutti barattieri, fuorchè Bonturo (è ironico: vuol dire che Bonturo è il peggiore dei barattieri, ne è il prototipo, l’esemplare più negativo. Bonturo Dati era della parte popolare ed ebbe più di un incarico pubblico; fu esiliato e visse a Firenze dove morì il 1324 o il 1325); e a Lucca, per denaro, il no diventa (cioè si fanno carte false, si approvano documenti che non andrebbero approvati e si manipolano atti pubblici o privati grazie alla corruzione, alle mazzette, alle tangenti si direbbe oggi, e, dunque, si tratta del malcostume, della corruzione fraudolenta di tutta una classe dirigente della borghesia in ascesa, fatta di magistrati che dovrebbero operare con giustizia ed equità, in nome del bene della comunità e, invece, si vendono anima e corpo per denaro e per essere eletti durante le elezioni. Per questo Dante fa rimanere nell’anonimato il miserabile dannato portato come una bestia sulla spalla del diavolo, anche se già antichi commentatori hanno visto nel peccatore il magistrato Martino Bottaio: a lui interessa mettere in evidenza la corruzione della classe dirigente, della borghesia corrotta e senza scrupoli, che per denaro venderebbe la propria anima al diavolo e, nell’Inferno, sono proprio i diavoli che si occupano delle loro anime… La polemica corrosiva di Dante è sempre contro il Dio Denaro e contro l’avidità di beni materiali, di ricchezze che sono beni vani ed effimeri mentre bisognerebbe indirizzare i propri desideri verso i beni spirituali, morali e culturali che ci rendono superiori alle bestie).

E, così, il diavolo nero e alato butta il dannato (a testa in giù) nella profondità in cui ribolle la nera pece (la giù il buttò), e (subito) torna indietro correndo su per il ponte di pietra e mai un mastino sciolto è stato così veloce nell’inseguire il ladro (e per lo scoglio duro si volse; e mai non fu mastino sciolto con tanta fretta a seguitar lo furo). Il dannato sprofonda nella pece e riemerge tutto imbrattato, impeciato (quel s’attuffò, e tornò su convolto); ma i diavoli che se ne stavano nascosti sotto il ponte (ma i demon che del ponte avean coperchio) si sono messi a gridare (gridar): “Qui non ha luogo il Santo Volto: qui si nuota altrimenti che nel Serchio! Però, se tu non vuoi di nostri graffi, non far sopra la pegola soverchio”: (il tono è ironico e anzi sarcastico) In questo luogo non si espone il Santo Volto (del Cristo, come si fa a Lucca per devozione, e ora non è il caso che tu esponga il tuo così intriso di pece…): qui si nuota diversamente che nel fiume Serchio! (nei pressi di Lucca: l’ironia dei diavoli è davvero crudele e impietosa: lì a Lucca nuotavate in acque piene di denaro ed era bello immergervi in esse, ma ora, qui, si nuota in ben altre acque…). Perciò, se non vuoi assaggiare i nostri graffi, le nostre unghiate non devi oltrepassare la superficie della pece, cioè non devi riemergere, non devi venire a galla (: devi restare giù, sprofondato nella terribile pece!).

Poi, i diavoli, dopo aver addentato la miserabile anima con più di cento roncigli (ferri uncinati posti alla cima di un’asta), hanno detto (poi l’addentar con più di cento raffi, disser: il sarcasmo diabolico si fa sempre più pesante e crudele): E’ necessario, è giusto che qui tu balli coperto in modo che, se ti riesce, puoi cogliere il momento per poter riemergere, di nascosto, dalla pece (coverto convien che qui balli, sì che, se puoi, nascostamente accaffi: accaffare, nel fiorentino dialettale, gergale significava arraffare, acciuffare e, quindi, il riferimento metaforico è rivolto contro la pratica della baratteria; siccome i barattieri facevano i loro loschi, sporchi traffici di nascosto, non alla luce del sole e perciò, per contrappasso, adesso tocca loro ballare sotto la pece bollente, e che sia un terribile ballo con tremende e dolorosissime contorsioni del corpo, lo si può facilmente immaginare…). Dante (che infligge questa terribile punizione ai barattieri e li espone alla triviale, plebea derisione dei diavoli neri) non può, a completamento della penosa scena che ci fa immaginare e anzi vedere con gli occhi, che concludere con questa calzante similitudine: Non altrimenti i cuoci a’ lor vassalli fanno attuffare in mezzo la caldaia la carne con li uncin, perché non galli: Non diversamente i cuochi ai loro dipendenti, sguatteri, aiutanti fanno immergere in mezzo alla caldaia la carne con gli uncini affinchè non galleggi, non riemerga (e, quindi, cuocia meglio).

Insomma, Dante ce l’ha a morte con la città di Lucca, roccaforte dei guelfi neri e dei peggiori barattieri, verso i quali il disprezzo e la condanna morale sono senza se e senza ma. Dante è fortemente impressionato da quel che vede, da quella terribile scena con protagonisti i barattieri e i diavoli che li scuoiano con gli uncini e Virgilio (lo buon maestro), che è lì per proteggerlo e metterlo in salvo, gli dice di nascondersi, di non farsi vedere, e che lui andrà a parlamentare con i diavoli (come altre volte ha fatto) affinchè non facciano alcun male a lui e soprattutto a Dante (e li lascino poi proseguire senza ostacolare il loro viaggio voluto da Dio): Acciò che non si paia che tu ci sia, giù t’acquatta dopo uno scheggio, ch’alcun schermo t’aia; e per nulla offension che mi sia fatta, non temer tu, ch’i’ ho le cose conte, e altra volta fui a tal baratta: Affinchè sembra che tu non ci sia, accovacciati e nasconditi dietro una sporgenza rocciosa, in modo che ti faccia da nascondiglio, da riparo; e per qualsiasi offesa che mi venisse fatta, tu non aver timore, perché io ho le idee chiare, so come qui vanno le cose, anche perché è capitato altre volte di avere uno scontro, un battibecco e cioè di scendere patti, a trattative con i diavoli (per es. nella Città di Dite). Quindi Virgilio, fiero e sicuro di sé, va a fare uno scambio di vedute coi diavoli e Dante, con una similitudine, paragona i demoni ai cani che cercano di avventarsi e di spaventare il povero mendicante che chiede l’elemosina: Poscia passò di là dal co del ponte; e com’el giunse in su la ripa sesta, mestier li fu d’aver sicura fronte. Con quel furor  e con quella tempesta ch’escono i cani a dosso al poverello che di subito chiede ove s’arresta, usciron quei di sotto al ponticello, e poser contra lui tutt’i runcigli, ma el gridò: “Nessun di voi sia fello! Innanzi che l’uncin vostro mi pigli, traggasi avante l’un di voi che m’oda, e poi d’arruncigliarmi si consigli”: Poi, quindi Virgilio è passato aldilà della parte terminale del ponte; e come è giunto sull’argine che separa la quinta dalla sesta bolgia, gli è stato necessario mostrare sicurezza, forza d’animo (e fiera impassibilità). Con lo stesso furore, impeto rabbioso e tempesta di latrati con cui i cani si avventano contro il povero mendicante che subito si ferma nel punto, nel luogo dove ha appena chiesto, così, allo stesso modo sono usciti i diavoli da sotto il ponticello, puntando contro Virgilio tutti i loro roncigli, ma il maestro ha urlato sulle loro brutte e minacciose facce: “Nessuno di voi sia malvagio, maleintenzionato! Prima che uno dei vostri uncini mi colpisca, si faccia avanti uno di voi che ascolti quel che ho da dirgli, e poi deciderete se è il caso di dilaniarmi, lacerarmi con i roncigli”.

Tutti i diavoli gridarono: Vada Malacoda!, che era il loro capo, e così questo va verso Virgilio (per ch’un si mosse) mentre gli altri stetter fermi, e Malacoda, camminando, borbotta: Che li approda?, A cosa gli giova, serve? Cioè averci fermato per un momento, come dire: tanto verrà colpito dai nostri uncini… Ma non sa che Virgilio ha un asso nella manica, e che asso! E, infatti, sicuro di sé, il duca gli dice quello che ha detto ad altri orribili guardiani infernali: Credi tu, Malacoda, qui vedermi esser venuto sicuro già da tutti vostri schermi, sanza voler divino e fato destro? Lascian’andar, chè nel ciel è voluto ch’i’ mostri altrui questo cammin silvestro:  Tu credi, Malacoda, di vedermi esser venuto qui sicuro da tutti i vostri impedimenti, ostacoli, senza la volontà divina e il decreto favorevole (cioè il  favore) della Provvidenza? Lasciaci andare (senza opporre resistenza) perché è voluto nel Cielo che io mostri (faccia da guida) ad altri (cioè a Dante) questo cammino aspro e selvaggio (dell’Inferno).

Dopo queste precise e sicure parole pronunciate con fierezza da Virgilio, l’arroganza del capo dei diavoli crolla e con essa il suo ronciglio ai suoi piedi, e così ordina agli altri che non lo colpiscano: Allor li fu l’orgoglio sì caduto, che si lasciò cascar l’uncino a’ piedi, e disse a li altri: “Omai non sia feruto”. Al diavolo cascano le braccia al nome di Dio e gli casca anche l’asta uncinata!… Intanto, Virgilio, chiama Dante dicendogli che può uscire dal nascondiglio e andare subito verso di lui senza alcun timore d’esser colpito dai diavoli (O tu che siedi tra li scheggion del ponte quatto quatto, sicuramente omai a me tu riede).  E Dante si muove e corre subito verso Virgilio, verso la Ragione che sempre lo protegge dal Male, (ed a lui venni ratto); ma i diavoli gli si fanno tutti davanti, tanto da farlo dubitare che essi tenessero fede al patto, all’accordo, alla promessa fatta a Virgilio (e i diavoli si fecer tutti avanti, sì ch’io temetti ch’ei tenesser patto). Segue una similitudine autobiografica, cioè a Dante viene in mente quel che successe dopo la battaglia di Campaldino (11 giugno 1298), alla quale aveva partecipato: così vid’io già temer li fanti ch’uscivan patteggiati di Caprona veggendo sé tra nemici cotanti: allo stesso modo (dei diavoli!…) ho visto già i soldati pisani avere timore, paura che il patto di resa (aver salva la vita) siglato dopo la presa del castello di Caprona (seguito alla battaglia di Campaldino, per opera dei Fiorentini alleati dei Lucchesi) non venisse mantenuto quando si vedero circondati da tanti nemici che li guardavano minacciosi.

Dante è spaventato come quei soldati e, così, si avvicina con tutta la persona al maestro, senza mai smettere di distogliere gli occhi dal loro aspetto, atteggiamento che non era per nulla rassicurante, ma decisamente cattivo (e non torceva li occhi dalla sembianza lor ch’era non buona). Essi puntavano i roncigli verso Dante e dicevano quasi all’unisono: Vuoi che lo colpisca sulle spalle? e rispondevano: Sì, colpiscilo bene! Assestagli un bel colpo! (Ei chinavan li raffi e “Vuo’ che ‘l tocchi” diceva l’un con l’altro “in sul groppone?”. E rispondìen: “Sì, fa che lile accocchi!”). I brutti diavoli plebei e triviali si divertono a spaventare a morte il povero Dante, nonostante l’intervento autorevole di Virgilio, ma Malacoda, che aveva parlamentato col duca, mette subito a tacere Scarmiglione, il demonio che avrebbe voluto lasciare un segno sul corpo di Dante: Ma quel demonio che tenea sermone col duca mio, si volse tutto presto, e disse: “Posa, posa, Scarmiglione!”: come dire: Calmati, lascia stare, stai buono lì, e posa l’arma! Perché non è il caso…

Quindi, Malacoda, rassicura i due poeti e promette loro che saranno guidati dalla decina dei plebei e pasoliniani diavoli, alla cui guida pone Barbariccia (ne I ragazzi di vita Pasolini li paragona ai giovani sottoproletari delle infernali borgate romane): “Più oltre andar per questo iscoglio non si può, però che giace tutto spezzato al fondo l’arco sesto. E se l’andare avante pur vi piace, andatevene su per questa grotta; presso è un altro scoglio che via face. Ier, più oltre cinqu’ore che quest’otta, mille dugento con sessanta sei anni compiè che qui la via fu rotta. Io mando verso là di questi miei a riguardar s’alcun se ne sciorina: gite con lor, che non saranno rei”.

“Tra’ti avante, Alichino, e Calcabrina”, cominciò elli a dire, “e tu, Cagnazzo, e Barbariccia guidi la decina. Libicocco vegn’oltre e Draghignazzo, Ciriatto sannuto e Graffiacane e Farfarello e Rubicante pazzo. Cercate intorno le boglienti pane: costor sian salvi infino a l’altro scheggio che tutto intero va sopra le tane”.

E, dunque, dice Malacoda (che dirà pure una cosa  non vera, per creare qualche problema ai due Poeti): Proseguire oltre attraverso questa fila di ponti non è possibile perché il ponte sulla sesta bolgia si è spezzato ed è franato nel fondo. E se vi fa piacere proseguire, continuate su per questa roccia, per questo argine pietroso (tra quinta e sesta bolgia); non lontano da qui c’è un altro ponte che farà da passaggio (non è vero, cerca di ingannare i due Poeti). Ieri (venerdì), circa 5 ore più tardi di quest’ora (a mezzogiorno), si sono compiuti 1266 anni da quando qui c’è stata la frana del ponte sulla sesta bolgia (a causa del terremoto avvenuto il giorno della crocefissione di Cristo). Io invio alcuni di questi miei diavoli, sotto il mio comando, verso il ponte per controllare se qualche dannato riemerge dalla pece. Andate pure con loro, vi prometto che non saranno malvagi, che non vi faranno del male. (E dunque:) venite avanti, Alichino, Calcabrina, Cagnazzo e Barbariccia, sia a guida della decina dei diavoli. Vengano avanti Libicocco, Draghignazzo, Ciriatto zannuto (munito di zanne come un cinghiale), Graffiacane, Farfarello e Rubicante il pazzo, l’esaltato. Perlustrate, guardate bene intorno alla pece bollente (per vedere se qualche dannato avesse osato riemergere ed esporsi); questi due siano messi in salvo fino all’altro ponte che è rimasto tutto intero e attraversa tutte le bolge (non è franato dopo il terremoto, quando Cristo morì; ma, in verità, è questa la bugia che Malacoda dice ai due, cercando di tendere loro una trappola e Virgilio, che non ha chiara la situazione, ci casca).

Il povero Dante è spaventato a morte, dice a Virgilio che forse è meglio proseguire senza scorta, teme che i diavoli non mantengano la promessa di non far loro del male, tanto li vede minacciosi e terrorizzanti nell’aspetto, nell’atteggiamento e nello sguardo: “Ohimè, maestro, che è quel ch’i’ veggio? Deh, sanza scorta andianci soli, se tu sa’ ir; ch’i’per me non la cheggio. Se tu se’ sì accorto come suoli, non vedi tu ch’e’ digrignan li denti, e con le ciglia ne minaccian duoli?” (dolori, guai). Ma Virgilio lo rassicura: “Non vo’ che tu paventi: lasciali digrignar pur a lor senno, ch’e’ fanno ciò per li lessi dolenti”: Non voglio che tu sia spaventato, che abbia paura: lasciali digrignare i denti secondo la loro natura, come a loro piace, perché fanno così non per noi ma per i dannati puniti e sofferenti immersi nella pece bollente (dove stanno come a bollire).

Quindi, i diavoli hanno svoltato, si sono diretti sulla sinistra dell’argine (tra quinta e sesta  bolgia: per l’argine sinistro volta dienno); ma prima di incamminarsi, ognuno di loro ha stretto la lingua coi denti in attesa del cenno, del segnale (furbesco, diabolico) di partenza da parte del loro caposcorta (cioè di Barbariccia), il quale ha dato questo segnale scorreggiando, facendo dei peti: ma prima avea ciascun la lingua stretta coi denti verso lor duca per cenno; ed elli avea del cul fatto trombetta.

Con questo volgare, plebeo e comico emettere peti di Barbariccia si conclude il canto-capitolo. Tutti i commentatori hanno molto discusso sui nomi bizzarri e sinistri dei diavoli, andando a scavare sulla loro origine e, in effetti, di soprannomi e nomignoli simili a quelli creati da Dante per quelli di Malebranche ce n’erano tanti nella Firenze dei suoi tempi. Resta da tener presente che sono soprannomi ben adatti a quella che, parafrasando il titolo di un famoso film, si potrebbe definire la sporca decina dei diavoli plebei e triviali, messi lì da Dante a guardiani crudeli e di bassa lega per punire una delle peggiori colpe (quella della baratteria) di cui lui fu ingiustamente accusato nel 1302, con sentenza emessa dal podestà di Firenze Cante de’ Gabrielli d’Agobbio il 27 gennaio. Infliggendo la terribile punizione della pece bollente, il Poeta vuol dimostrare ai suoi accusatori, ai suoi contemporanei e, soprattutto, ai posteri che quel basso e infamante capo d’accusa non lo sfioravo neppure e ne era moralmente lontano di migliaia di anni luce.

Anche questa volta, il grande realismo dantesco ci fa vedere coi nostri occhi la scena orrorifica e tragicomica dei dannati, ex-potenti della Terra, che sguazzano nella pece bollente e soffrono terribilmente; cercano di riemergere per cercare un improbabile sollievo ma sono subito repressi e ricacciati nel fondo della bolgia da diavoli plebei, sarcastici e beffardi che spietatamente infieriscono sui loro… corpi.