Trebisacce-29/01/2023: DANTE E IL CANTO XIII DELL’INFERNO: LA LEGGE DEL CONTRAPPASSO di Pino Cozzo

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DANTE E IL CANTO XIII DELL’INFERNO: LA LEGGE DEL CONTRAPPASSO

di Pino Cozzo

 

 Nella Cantica dell’Inferno, si intravede l’immagine del mondo spettrale e brutale, immersa in un’aura di dolore, buio e gemiti. Ne è esempio la selva che abbraccia il fiume Flegetonte, dove sono sistemate le anime dei suicidi e degli sperperatori. Dante e Virgilio entrano in una selva fitta ed intricata di piante e fronde, i cui rami sono nodosi e contorti, dove vivono le Arpie, mostri dalle apparenze terrificanti, che posseggono intelligenza umana e malignità demoniaca. Nella mitologia greca, esse erano considerate rapitrici e l’origine del loro mito deve forse ricondursi a una personificazione della tempesta. Dante incontra l’anima di Pier della Vigna, che narra la sua vita, il tempo vissuto allegramente, l’intimità e l’amicizia con Federico II, la fedeltà nello svolgere il nobile incarico o offizio, e poi la caduta, l’invidia e il rancore dei cortigiani con le loro perfide trame e il repentino cambiare dal lieto onore ai tristi lutti e quindi la drammatica decisione del suicidio. Dante ancora una volta è colto da pietà ed dunque Virgilio ad interrogare il dannato, che racconta di come l’anima che morendo si stacca dal corpo e viene precipitata da Minosse nella terribile selva e diventa un seme che germoglia e dà vita alla pianta. E allora, le Arpie, pascendosi delle foglie, ne fanno scempio. Ma ancor peggiore è la situazione dei corpi ripudiati appesi ai rami con l’eterno mònito del contrappasso. Lo smarrito Poeta è sopraffatto da timore, indecisione e pietà e tutto ciò viene espresso da un simbolismo lessicale e stilistico in cui si colgono suoni stridenti, onomatopee macabre che forniscono al canto un’atmosfera di tortura e sofferenza e di disarmonia. Questo apparente sconcerto vuole invece fornirci un insegnamento diverso. E’ invece necessario possedere uno Spirito di fortezza che ci dia il coraggio necessario per rispondere a tutti gli inviti del Signore Dio ed alla Tua Parola. La forza della fede che ci unisce a Lui, la forza della speranza che abita nella certezza della vittoria del bene, la forza dell’amore che non indietreggia di fronte a nulla, ma che ci fa prossimo dell’altro, per raggiungere l’unico e Sommo Amore. Possedere forza della sincerità che ci ripara dalle false apparenze, la forza della purezza, che domini istinti e passioni illusori e passeggeri, la forza della fedeltà che ci consenta di passare indenni attraverso le lotte e manifesti l’attaccamento al Signore. Passi l’alito di Dio come brezza che fa fiorire l’amore, passi il Suo sguardo per farci godere di orizzonti lontani, ci sfiori la Sua mano perché possiamo sentirci protetti, ci sia vicino il Suo passo perché possiamo camminare al sicuro, ci alimenti la fiamma del Suo spirito perché sia per noi energia infinita. La fortezza presuppone dunque un impegno perseverante, continuo; è l’espressione di una fede matura, sentita, pronta ad affrontare la lotta contro il male, con la tentazione, la debolezza tipica della natura umana. Tutto ciò è possibile per noi, per chi si lascia guidare docilmente dalla parola e dal richiamo del Signore, perché abbiamo come esempio la croce sulla quale Egli si è lasciato morire, per dimostrarci che quello deve essere l’esempio da imitare per chi vuole essere suo fratello. E’ sempre il Signore che dà la forza per affrontare tutto. Per affrontare la giornata, per superare le tentazioni, le prove, il dolore. Egli ha reso storicamente forti diversi personaggi: Mosè, che ha guidato il suo popolo, Davide, che ha sconfitto Golia, San Paolo, che ha annunciato la sua salvezza, nonostante le minacce che sono sfociate nella morte. Ed altri sono gli esempi grandi, i modelli a cui dobbiamo conformarci: primo fra tutti San Giovanni Battista. E poi San Francesco, d’Assisi e di Paola, Sant’Antonio, Santo Stefano, San Pio, Santa Chiara, Santa Rita, Madre Teresa di Calcutta. Dobbiamo, dunque, lottare con il Signore e per il Signore con le armi della fede. Anche se il cielo incombesse su di noi, non avremmo paura. Anche se una voce ci ripetesse che siamo degli illusi, noi dovremmo ripetere che siamo contenti di esserlo. Anche se ci deridessero per i nostri gesti di attaccamento a Dio, dovremmo offrire a Lui le nostre pene e mortificazioni. Pensiamo che sono invidiosi. Ad ogni nostro dubbio, dobbiamo ripetere: Credo, Signore, aumenta la mia fede. Amo, Signore, aumenta il mio amore.  Non è facile avere la forza d’animo. Pietro, scoraggiato dagli avvenimenti della cattura di Gesù, lo rinnega. Ma poi gli dice: Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente.