Trebisacce-05/08/2023: DANTE E IL CANTO XXXIV DELL’INFERNO: L’EGOISMO DELL’UOMO di Pino Cozzo

 

Lucifero

DANTE E IL CANTO XXXIV DELL’INFERNO: L’EGOISMO DELL’UOMO

di Pino Cozzo

 

 E’ il canto dell’imperatore del regno doloroso, Lucifero, lucem fero, porto la luce. E venne un giorno in cui Dio presentò un nuovo incarico alle sue schiere angeliche. Questo incarico sarebbe stato il più arduo e ingrato tra tutti. Bisognava infatti che qualcuno si attribuisse tutte le colpe e i peccati degli uomini, che accettasse di essere insultato e maledetto dagli uomini stessi e che rinunciasse a tutte le sue virtù e alla sua bellezza. Di lui si sarebbe detto che aveva voluto rivaleggiare con Dio e aveva perso, e che era stato cacciato dal paradiso. Questo ruolo doveva essere svolto fin quando l’uomo non si sarebbe reso conto che ogni male è originato unicamente dal proprio egoismo. Tutti gli angeli per un attimo esitarono, ma poi nel silenzio si udì la voce di uno di loro che diceva di accettare l’incarico: questo era Lucifero. Effettivamente chi se non il più bello, il più virtuoso e il più vicino a Dio tra gli angeli avrebbe potuto accettare una simile richiesta. Ma da qui a volersi vestire di superbia, tanto da aspirare a sostituirsi al Signore, ce ne vuole, e allora, ecco che si concretizza la sua rivolta nei confronti del suo Padrone, e, per contrasto, diventa un oppositore e un tentatore delle cose contrarie alla volontà del Verbo di Dio. Dunque, viene scaraventato dalla Volta Celeste, e la sua rovinosa e rapida caduta scava un baratro nella terra ed arriva fino sue viscere, là dove sarà posto l’inferno, il suo nuovo ambiente di azione. Dante ne fa una accurata descrizione, realistica, seppur simbolica, forse dettata dalla fantasia di eccelso scrittore. Ora, la bruttezza, la brutalità e l’orrore del demone fa da contrasto alla antica bellezza e candore dell’angelo primordiale. Esso agita le ali agghiaccianti, osserva con gli occhi di brace, la bocca è sporca di sangue e di saliva, e così facendo scuoia i dannati, con movimenti meccanici, quasi da inerzia, senza intenzione o negativo accanimento. I tre peccatori di cui si occupa Lucifero rispondono ai nomi di Giuda, Bruto e Cassio. Il primo ha tradito il Cristo, suo Signore, per trenta vili denari, gli altri hanno venduto Cesare, come dire, Chiesa e Impero a confronto. Dante sembra provato oltremodo dal suo viaggio nella terra degli eterni dannati, è stanco e affranto, si muove quasi per inerzia, in attesa di uscirne e di ritornare “a riveder le stelle”. Gesù era passato per le strade della Palestina, annunciando il Regno di Dio, beneficando le folle e risanando tutti i malati. Era venuto per sostenere l’estrema battaglia contro Satana e contro il peccato del mondo. Egli aveva coraggiosamente proclamato la sua identità: “Io e il Padre siamo una cosa sola”. Proprio per questo è stato riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi del suo popolo, e consegnato in mano ai pagani perché fosse “schernito e flagellato e crocifisso”. Gesù è stato condannato alla morte di Croce, come un agnello senza macchia, per la remissione dei peccati di tutte le creature umane. La Croce, sulla quale è stato immolato il Figlio di Dio, è il profondo mistero della Pasqua, cioè del passaggio di Gesù su questa terra, ed è pure la Buona Notizia del nostro riscatto che gli Apostoli hanno annunciato e che la Chiesa tutta continua a proclamare al mondo intero. Cristo dunque conferisce alla sofferenza umana un aspetto divino. Egli ha mostrato come Dio abbia voluto assumersi la sofferenza solidalmente con noi.  Questa la risposta più eloquente a chi incessantemente sussurra o esprime proteste contro Dio e lo accusa di indifferenza e di crudeltà per il dolore umano. Cristo sulla croce è Dio che risolve il problema della sofferenza non adottando una soluzione esterna, con dimostrazioni della sua onnipotenza, ma sottoponendosi egli stesso al dolore, sperimentando interiormente questa realtà così amara, così pesante. Pur nella sua immensità, il Figlio di Dio fa propria la sofferenza umana, e testimonia che, lungi dall’essere indifferente o crudele, Dio si interessa alla sorte dell’uomo fino a condividerla. Invece di essere una sconfitta, come pareva all’uomo, la sofferenza diviene proprietà di Dio, privilegio del Verbo incarnato. Diventa persino rivelatrice di Dio. Nel volto doloroso di Cristo, appare la disposizione fondamentale dell’essere divino, perché «Dio è amore».