Trebisacce-25/05/2024: Dante e l’Inferno: dalle tenebre alla luce sfolgorante

 

 

Dante e l’Inferno: dalle tenebre alla luce sfolgorante

di Pino Cozzo

 

La materia e il “materialismo” trionfano nell’Inferno di Dante, poiché la pena più profonda pervade tutta la Cantica e non cancella il peccato, anzi, lo perpetua ed è turpe, tutto ciò che è sulla terra, per il poeta, è contaminato e necessita di purificazione: il viaggio nell’Inferno è un percorso di degradazione e di perdizione. Il paesaggio è squallido, desolato, fatto di strapiombi e dirupi, rocce e paludi, foreste spettrali, deserti immensi e distese di ghiaccio: un dipinto catastrofico, fatto di sconforto e dolore. Vi è una cappa di morte, tutto è buio e cancella il tempo, è la metafora della vita, fatta di tristezza e abbattimento. Il clima tetro in cui si sviluppano i racconti narra di una drammaticità intensa e profonda, ma anche umana, che attiene ad ogni essere, che ne pervade corpo ed anima, che segna il percorso terrestre degli uomini e delle donne, trasversale ad ogni epoca. Si leggono belle storie, come quella di Paolo e Francesca, quelle meno appassionate, come quelle di Farinata o Pier delle Vigne, di Ulisse e del conte Ugolino, fraudolenti o traditori. In tutte, però, vi è il giudizio severo, inflessibile, duro e di condanna di Dante, in una narrazione drammatica che non si percepirà più nel Purgatorio e, soprattutto, nel Paradiso. Elevata e coinvolgente è, comunque, la poesia, alto il valore linguistico, profondo l’uso della terminologia e delle rime. Il viaggio è una discesa in un abisso di conoscenza del peccato sempre più atterrita e sconvolgente, afferente a paesaggi e personaggi, di violenti scontri tra duri contrasti ed aspri tormenti, una natura inospitale e matrigna, ripide pareti rocciose e sentieri aspri da percorrere. Se, all’inizio, c’è il dramma metaforico interiore del buio e dello sconforto, vi è anche l’idillio gioioso del paesaggio del paradiso terrestre, fatto di fiori, erbe verdi ed acque limpide, che esprimono la metafora del sentire umano che si avvicina alla meta agognata: la beatitudine. D’altronde, l’esperienza del Paradiso, per Dante, resta qualcosa che non si può narrare con parole umane, poiché è il vivere dell’anima che si annulla, nella contemplazione della verità e della celestiale visione. E’ una verità fatta di luce e raggi di sole, che si fa più viva ed intensa a mano a mano che l’animo si accosta a Dio, e Beatrice, sua splendida guida, rappresenta insieme la grazia e la certezza rivelate, ed è per questo che la sua beltà diventa tanto più sfolgorante, quanto più procede il viaggio e quanto più ci si avvicina all’ambita meta. E, per far ciò, il Poeta narra continue similitudini, tratteggia spettacolari quadri, che nessun abile scenografo avrebbe saputo rappresentare, dipinge magiche coreografie, in cui il vero protagonista è il fantasmagorico gioco di luci che si rincorrono e si trasformano. Nella Commedia, convivono numerose e sottese informazioni, vi si trova rigore strutturale, un riscontro tra le tante corrispondenze espresse, una complessa simmetria di riferimenti o situazioni narrative, ma Dante sa magistralmente esprimerle e metterle insieme, fornendone un quadro completo ed armonioso. L’ordine col quale il Poeta rimette tutto insieme ripropone una complessità di situazioni narrative, e costituisce una gabbia in cui vengono rinchiuse tutte le anomalie del mondo. La meta ultima, Dio, traguardo del lungo viaggio, rappresenta per Dante qualcosa che non è possibile esprimere a parole, che non è appannaggio dell’umana specie, pur esaltandone la dolce posizione del cuore. In esso si trovano le anime dei giusti, dei beati, dei timorati, di coloro che sono vissuti di grazia, non vi è gerarchia, non vi è differenza, non vi è primo o ultimo, non vi sono posti a scalare, non vi è un solo spazio, ma si comprendono tutti gli spazi in cui indulgere benevolmente e seraficamente.