Castrovillari-28/01/2025: Premio letterario sulla Shoah, menzione d’onore alla giovane Chiara Corvino di Sibari
CASTROVILLARI “La Shoah è stata, è e sarà”: questo il titolo del racconto scelto e presentato dalla studentessa Chiara Corvino della 2^I dell’Istituto Comprensivo di Cassano-Lauropoli-Sibari al Premio artistico-letterario intitolato “Sul fondo – Per non dimenticare la Shoah” e i tragici eventi consumati dai nazisti che hanno portato allo sterminio degli Ebrei nei campi di concentramento. E ogni anno, il 27 gennaio, il mondo si unisce e celebra la Giornata della Memoria, un momento di riflessione collettiva per ricordare le vittime dell’Olocausto e le atrocità commesse durante la Seconda Guerra Mondiale. E così sabato 25 gennaio la consegna della “Menzione d’Onore” del Premio artistico-letterario promosso dalle Associazioni Culturali di Castrovillari “Mystica Calabria” e “Khoreia 2000” alla giovane studentessa di Sibari (nella foto) consegnatole all’interno della Sala Consiliare dal Sindaco della Città del Pollino Avv. Mimmo Lo Polito alla presenza di diversi studenti delle Classi 2^H e 2^^I dello stesso Istituto e della prof.ssa Maria Grisolia di Amendolara, la docente-referente di un progetto didattico molto significativo e formativo che, nel corso dell’anno scolastico 2023/2024, ha portato la Classe 2^I a visitare, insieme alla stessa Docente, il Campo di Internamento di Ferramonti di Tarsia oggi divenuto “Museo Internazionale della Memoria”. Qui la giovane studentessa ed i suoi compagni di classe hanno potuto accostarsi e intensificare la loro sensibilità su un tema così tragico e doloroso e calpestare le zolle di quello che, secondo quanto racconta la storia atroce di quegli anni, è stato l’unico campo di internamento dove…ha vinto l’umanità, nel senso che nessuno vi morì e, tra questi, anche l’anziano protagonista del racconto scelto da Chiara Corvino (David, ebreo, oggi 82enne), che si salvò dopo aver visto partire vagonate di persone per i campi di concentramento disseminati in Polonia e ancora oggi può raccontare (attraverso il racconto che viene riportato di seguito) la sua vita e quella della sua famiglia vissuta, solo perché di origine ebraica, all’interno del Campo di Internamento di Ferramonti di Tarsia.
Pino La Rocca
Il racconto:
Oggi, come tutti i giorni, sono nella mia cara macchinina, una cinquecento bianca, che non cambierei per nessun’altra al mondo, fermo davanti la scuola ad aspettare Pietro, il mio nipotino. Sfrutto questo momento della giornata per riflettere e pensare alle bollette, alla spesa e alle medicine che devo prescrivere per mia moglie. Sono però le ore 13.30 ed ecco mio nipote che sta uscendo da scuola e si dirige verso la macchina. Di solito inizia subito a raccontare la sua giornata scolastica, dato che è un gran chiacchierone, ma stavolta è strano, pensieroso, non lo riconosco.
“ Cos’hai Pietrolino? ” Gli chiedo girandomi verso di lui, che con la sua faccetta curiosa mi guarda e dice: “Nonno tu sai della Shoah? ”
L’ho guardato negli occhi e ho realizzato che era arrivato quel momento. Non sono riuscito a rispondere. Lo stesso gelo che si impossessò del mio cuore ottantadue anni fa era tornato. Sembrava una ferita che, dopo essere stata curata negli anni, si era riaperta. “ Nonno quindi?”, “ Nonnino…”
Non riesco a parlargli ora, perciò è meglio se “Ne parliamo a casa Pietrolino”.
Il tragitto scuola-casa, oggi, è stato molto diverso rispetto gli altri giorni. Oltre al rumore, che il motore della mia cinquecento emette e del nostro respiro, né io né lui, abbiamo osato aprire bocca. Ora sono le ore 17.45 e tra quarantacinque minuti esatti arriverà Pietro, che abita all’appartamento a fianco con i suoi genitori, per l’ora di CULTURFANTASTILANDIA. Ah giusto, voi non lo sapete, ma ogni giorno dalle ore 18.30 io e Pietro ci dedichiamo circa un’oretta della nostra giornata, per riflettere e discutere su tutto ciò che abbiamo imparato e appreso.
Sono sicuro però, che stavolta so benissimo di quale argomento si tratterà e solo a pronunciarlo mi vengono i brividi. Per chi non lo sapesse, la Shoah è una delle atrocità più brutte che siano state vissute finora, lo sterminio di quasi un’intera popolazione, quella ebraica.
Mi chiamo David e sono un uomo ebreo di ormai ottantadue anni, vittima di questo genocidio. La Shoah è e non è stata, perché nei cuori di noi ebrei sopravvissuti, ancora è e sempre sarà.
Penso che da quando sono nato (1933) fino a quando avevo nove anni (1943), ho trascorso gli anni più brutti della mia vita.
Mio padre Joseph era un’importante dottore conosciuto in tutto il territorio calabrese e mia madre Dalila era una famosa sarta. Lavoravano duramente ogni giorno per me e per mia sorella più piccola Zara.
Eravamo una famiglia benestante, felice e molto unita, nonostante non passassimo tantissimo tempo insieme. Tutti ci adoravano fino a quando Adolf Hitler iniziò a considerarci una razza inferiore. Io e mia sorella eravamo alunni di una scuola privata, in un piccolo paesino in provincia di Cosenza insieme ad Ester, un’altra alunna ebrea e tanti altri Italiani, dato che vivevamo in Calabria, dove sono nato.
Ricordo benissimo, anche ora che sono vecchietto, la signorina Lucia, l’insegnante di italiano che piaceva a tutti noi ragazzi perché era giovane, bella e dolce. E poi Alba, la tata che si prendeva cura di me e di mia sorella, che in realtà si chiamava Mafalda e a darle quel nomignolo eravamo stati noi. Quanti ricordi… Din don. Oh il campanello, ma sono le ore 18:30! Pietro! Mi ero lasciato andare fra quei ricordi, tanto che mi sono dimenticato di lui! “Ciao nonna, mi prepari la mia merenda preferita per favore? “Così dice Pietro ogni pomeriggio a mia moglie. Rispetto a stamattina che era molto silenzioso, ora lo trovo più allegro. Eccolo che corre verso di me: “Nonnone mio! “Lui è molto legato a noi e viceversa. “Allora Nonno, oggi in macchina hai rimandato la risposta alla mia domanda dicendo che ne avremmo parlato a casa”. “Oh sì, hai ragione”. Non so bene come fare a raccontarlo, ho paura che si spaventi, ma cercherò di renderlo più facile possibile.
Inizio il mio racconto con la voce tremolante. “Allora, caro Pietro, come tu ben sai io sono di origine ebrea. Ero un ragazzo educato, forte e avevo
una splendida famiglia. I tuoi bisnonni si chiamavano Joseph e Dalila; erano due splendide persone. E poi c’era mia sorella piccola Zara, che era la mia fotocopia al femminile. Lei era più piccola di me di soli due anni, perciò forse è proprio per la poca differenza di età che eravamo così tanto legati. Tutto procedeva per il meglio fino a quando Adolf Hitler, capo del partito Nazista, tolse tutti i diritti a noi Ebrei. La maggior parte degli Ebrei, anzi quasi tutti persero il lavoro. Mio padre fu uno dei pochi che sfruttarono per curare i soldati Tedeschi, che arrivarono anche al sud Italia, i così detti Ariani.
Io, Zara e la nostra amica Ester non potemmo andare più a scuola, perché Hitler non ci dava la possibilità di farlo, essendo Ebrei. Dopo qualche tempo anche mia madre fu costretta a chiudere il negozio di sartoria. Anche se non potevamo più frequentare la scuola, io e Zara trascorrevamo i pomeriggi a giocare con alcuni nostri compagni di classe, che ci stavano il più vicino possibile per non farci pesare tale situazione.
Un giorno mentre eravamo a giocare al parco con Arianna, una nostra amica Italiana, e con suo padre Enrico, arrivarono dei soldati tedeschi, che cacciarono in mal modo tutti gli Ebrei e guai a chi provava a dire No, era vietato! Più volte mi trovai a vedere la fine che facevano coloro che si azzardavano a farlo o a mancare di rispetto ai tedeschi e, fidati Pietrolino mio, che avrei preferito non vederlo. Quel pomeriggio per fortuna, Enrico fu molto più scaltro di altri, infatti essendo dal lato opposto del parco, riuscì a portarci a casa sani e salvi. Ma, il giorno dopo venni a sapere che una signora, anche abbastanza anziana, andò a spettegolare dai tedeschi che Enrico, un Italiano, aveva permesso alla figlia di giocare con dei bambini ebrei. Così, i nazisti andarono a casa di Enrico la mattina successiva e lo malmenarono. Credimi, gioia di nonno, mi sentii in colpa, tanto che avrei preferito lo avessero fatto a me! Enrico voleva solo salvarci! Da quel giorno, io e mia sorella non uscimmo neanche più con i nostri amici, sia perché i loro genitori non volevano, sia perché io stesso non avrei voluto. Se fosse capitato qualcosa a un Italiano per colpa nostra, non me lo sarei perdonato. Continuò così per diverso tempo e le cose andavano sempre peggio. Una sera del dicembre 1942 poi, mentre stavamo andando a dormire, bussarono alla porta e non affatto con gentilezza, anzi! Papà andò ad aprire, ma fu spinto dai soldati tedeschi. Ci urlarono con arroganza di preparare le valigie, perché ci avrebbero portato in un posto, dove saremmo rimasti per molto tempo. Conoscendo già i loro modi, non abbiamo neanche provato a chiedere la meta. Zara si mise a piangere e si buttò a terra, nonostante gli ariani le avevano detto di non farlo. Uno dei tre, quello più alto e magro, fece per avvicinarsi a lei e io, pensando al peggio, la presi in braccio e la portai con me sopra per preparare le valigie. Mamma e papà non hanno visto quella scena, perché li hanno obbligati a salire per preparare tutto il più veloce possibile. Il giorno dopo, trasportati da un piccolo vagone, non pieno fortunatamente, siamo arrivati a “Ferramonti”, nei pressi di Tarsia, dove si trovava il campo di concentramento per gli Ebrei. Lì proprio ho visto tante atrocità, che però preferisco non raccontarti, Pietro. Dopo qualche mese, che io e mia sorella trasportavamo grandi carriole con cadaveri e mia madre e mio padre venivano sfruttati per lavorare duro, il campo fu invaso da una brutta epidemia, dovuta alla pochissima igiene personale. Arrivò il giorno più brutto per me e mio padre. Le mie donne, mia madre e mia sorella, essendo state contagiate, morirono. Purtroppo io e mio padre fummo costretti a farci forza a vicenda. Poi ci fu un miracolo, a settembre i Nazisti liberarono il campo e gli ultimi ebrei sopravvissuti, tra cui io e mio padre, furono liberati. Quando riprendemmo a vivere da persone civili, incontrai tua nonna, ci fidanzammo e ci sposammo. Mio padre fece giusto in tempo a vedermi laureare in Giurisprudenza. Si, volli diventare avvocato per difendere i più deboli, proprio come siamo stati noi. Da allora, spesso ci dissero di dimenticare ciò che avevamo vissuto, ma caro Pietro, è proprio questa la cosa più importante: NON DIMENTICARE!