Trebisacce-22/08/2023: Il significato dell’essere genitori oggi
Il significato dell’essere genitori oggi
Da anni si tenta, soprattutto nell’ambito psico-pedagogico, di scrivere una grammatica educativa da ritenere utile in ogni epoca, nonostante tale azione non sia effettivamente attuabile perché le esistenze evolvono continuamente e tutto è in divenire.
Ogni elemento caratterizzante un determinato periodo storico-sociale muta e assume forme differenti, senza rimanere inchiodato nella staticità; d’altronde già nell’età antica, in Grecia, luogo da cui deriva molto del modo di pensare del mondo occidentale, il filosofo Eraclito affermò “Panta rei”, ossia “Tutto scorre”, e nulla resta uguale a prima. Ed è proprio questa la fotografia del contemporaneo tempo precario nel quale la maggior parte delle persone fatica a tracciare le linee della propria identità, quell’identità frammentata che non riesce più a riconoscersi e a definirsi, che non riesce ad instaurare relazioni durature e compatte creando, così, vuoti emotivi, il più delle volte incolmabili.
Un tempo, quello odierno, in cui anche le modalità di comunicazione sono estremamente nuove ed immediate e in cui non si riesce a dialogare prestando reale attenzione al proprio interlocutore e ai suoi messaggi/contenuti.
Di cosa necessita, dunque, l’attuale società educante? Perché si mostra, in svariati momenti, effimera, incerta e vacillante?
In questo caleidoscopico scenario un posto essenziale è occupato, senza alcun dubbio, dalle figure genitoriali, nonostante l’universo valoriale del presente abbia contribuito a ridurre di gran lunga la loro rilevanza perché, se è vero che rispetto ad epoche passate avvenga uno scambio più corposo tra genitori e figli, è vero anche che si preferisce, in più occasioni, riempire semplicemente degli spazi parlando di futilità senza approfondire veramente una questione, soltanto per parvenza. Si tratta, di conseguenza, di un universo valoriale piuttosto camaleontico, non più saldo e coerente, ma cangiante. Il cambiamento è opportuno per rinascere, ma, quando manca la stabilità di alcuni rapporti, ci si ritrova di fronte a delle problematicità sostanziali, difficili da affrontare. La Pedagogia, scienza relativa all’ambito della formazione umana, è ben cosciente che, in verità, non esista un vero e proprio manuale/vademecum per imparare ad essere dei bravi genitori perché si tratta di un ruolo talmente complesso che sarebbe riduttivo pensarlo in tal senso o generalizzarlo. Risulta impossibile da interiorizzare seguendo delle istruzioni ben precise e programmate perché l’imprevedibilità degli eventi è il motore dell’esistenza in quanto tale. Ci si deve calare direttamente all’interno delle esperienze di vita per poterle sperimentare concretamente mettendosi sovente in discussione al fine di reiventarsi, autocorreggersi, fronteggiare, sbagliare. Il buon genitore, allora, esiste? Vi starete domandando, lettori ansiosi e curiosi. L’autorevolezza è necessaria per giungere ad un equilibrio delle parti dove l’adulto è in grado di farsi rispettare senza delegittimare la propria funzione, di ascoltare in modo attivo e di farsi ascoltare, di manifestare amore ma con la capacità di saper dire anche quei no che aiutano a crescere, come cita un noto libro della psicoterapeuta infantile britannica Asha Phillips.
Il figlio si sentirà, quindi, maggiormente rassicurato da un punto di riferimento saldo, dal quale ritornare al momento opportuno e sul quale fare affidamento; si sentirà compreso, oltre che desiderato, accolto e accettato. D’altro canto, l’essere genitori largamente permissivi potrebbe inizialmente apparire stimolante agli occhi di un figlio perché lontano dai meccanismi di controllo, ma, in realtà, a lungo termine dilaterebbe il senso di non appartenenza a nessun sistema di regole disorientando e destabilizzando le nuove generazioni che, senza possedere direzioni nitide e sane, senza sentirsi guidate fino in fondo, finirebbero per autoconvincersi di farsi legge da sé dal momento che l’adulto perderebbe la sua credibilità.
La coerenza rimane, in conclusione, uno dei requisiti centrali per essere un buon genitore perché un figlio ha bisogno di respirare personalità risolte, di osservare esempi giusti, di frequentare ambienti sereni, di capire anche le fragilità e gli errori di un adulto, ma senza deriderne il relativo ruolo.
I genitori non devono essere perfetti o infallibili perché si consegnerebbe un adulto fasullo e costruito, ma autentici e diretti, organizzati e, in alcune circostanze, anche metodici perché una routine ben conosciuta dona un senso di tranquillità ad un figlio. Questo non significa poi essere monotoni perché la dinamicità è utile in un contesto familiare, ma consapevoli di una quotidianità le cui prassi siano ben dispiegate e metabolizzate secondo degli orari, dei buoni compromessi, delle reciproche alternanze di giochi e simboli, degli adattamenti.
Assistiamo, però, ad una carestia di autorevolezza perché la si confonde con la mancanza di bontà o di sensibilità, mentre è quel doveroso senso di rispettabilità che occorre al fine di indirizzare una famiglia verso principi umani e non protervia o superficialità.
Pertanto, cari adulti, interrogatevi partendo dal vostro Io perché essere genitori non esaurisce l’essere innanzitutto persona e si rivelerà funzionale solo se ognuno avrà prima esplorato il proprio mondo interiore, fatto anche di nodi irrisolti, “demoni” o disagi, altrimenti si tenderà a riversare sui figli tutto quello che non sarà stato nominato dentro di sé.
Rossella Tridico
(Pedagogista e docente italiana)