Trebisacce-30/03/2024: Il Canto VII del Paradiso: Dante e la resurrezione di Cristo (di Pino Cozzo)

 

 

 

 

 

 

 

Il Canto VII del Paradiso: Dante e la resurrezione di Cristo

di Pino Cozzo

E quinci puoi argomentare ancora
vostra resurrezion, se tu ripensi
come l’umana carne fessi allora
che li primi parenti intrambo fensi.

“E da questo, puoi dedurre che ci sarà la vostra resurrezione, se ripensi a come fosse allora strutturato il corpo umano, quando furono creati entrambi i nostri progenitori”:

Beatrice fa a Dante il grande dono di una eccelsa e bella dottrina, delle parole che illuminano la mente e aprono il cuore, con il desiderio di sciogliere i dubbi, guardare fisso nell’abisso della verità e addivenire infine alla luce della conoscenza. E l’amata spiega al Poeta come, dopo il peccato di Adamo, fosse necessario che Dio mandasse il Cristo sulla terra per riscattare l’uomo e redimerlo con il suo eterno e grandioso atto di generosità e amore. E Iddio si fa uomo, perché la redenzione non sia solo un gesto di misericordia infinita, ma diventi anche un atto di giustizia. Gesù così ripaga Dio della colpa dell’uomo e ridona all’umanità la perduta dignità. Ma, se ciò che ha creato Dio è immortale, come mai le cose terrene sono corruttibili? Tutto ciò che è nato dalle mani di Dio non può corrompersi, mentre sono deteriorabili le cose alla cui creazione abbiano concorso altre cause. L’uomo è composto di corpo e anima, e ciò sarà visibile ed evidente quando ci sarà la resurrezione, nel giorno del giudizio universale. La croce si inserisce nell’esistenza soltanto nella prospettiva della gioia pasquale. A prima vista, il contrasto fra sofferenza e gioia finale è sorprendente, come fra disfatta e trionfo. Nel dolore, l’amore sboccia e può raggiungere il culmine. La Passione gli ha permesso di portare questo amore ai suoi limiti estremi. Il volto del Crocifisso è dunque quello dell’amore che si effonde, dell’amare infinitamente generoso nell’elargire il suo dono. La sofferenza non potrà più essere né scoraggiamento né sconfitta; e se non perde il suo carattere penoso, diventa una ferita d’amore, un aprirsi del cuore a un affetto più vivo e più completo, che stimola un’offerta di sé più generosa, in cui la gloria infinita raggiunge il suo compimento.  Nella vita di ogni cristiano c’è una meravigliosa e amabile vicinanza alla Madre di Cristo, e tutti noi crediamo che il suo esempio e la sua guida nella nostra vita possano costituire la chiave del rinnovamento della nostra vita e del nostro agire, come è avvenuto per San Giovanni e gli altri Undici Apostoli. Essi, come noi, erano pieni di sincerità e di buone intenzioni. Erano vissuti nella conoscenza e nell’intimità insieme col Signore per diversi anni. Erano diventati attivi, convincenti, forti predicatori della buona novella che Lui aveva portato e che predicava. Erano discepoli maturi, convinti della loro abilità di rimanere fedeli al Maestro. Fino a quella Notte. Allora, ciascuno Lo abbandonò, ciascuno Lo tradì a suo modo, perfino “il discepolo che Gesù amava”. Ma, fra tutti, fu Giovanni che, riconoscendo la sua debolezza, andò da Maria. Giovanni che trovò in lei più forza, serenità e amore; un amore per rafforzare il suo, per guidarlo e sostenerlo. Maria portò il discepolo alla conversione e al rinnovamento del Calvario, perché fosse il solo testimone fra gli Undici del volontario sacrificio sacerdotale di Gesù.