Trebisacce-23/08/2024: Rubrica letteraria a cura di Salvatore La Moglie Pubblichiamo qui di seguito l’analisi del nono canto del Purgatorio di Dante, del quale Salvatore La Moglie propone un nuovo e originale commento che è diventato un libro pubblicato dalla casa editrice  Setteponti di Arezzo nel 2022. Protagonista è un sogno allegorico di Dante nella valletta fiorita (fatto di prima mattina)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salvatore La Moglie

Rubrica letteraria a cura di Salvatore La Moglie

Pubblichiamo qui di seguito l’analisi del nono canto del Purgatorio di Dante, del quale Salvatore La Moglie propone un nuovo e originale commento che è diventato un libro pubblicato dalla casa editrice  Setteponti di Arezzo nel 2022. Protagonista è un sogno allegorico di Dante nella valletta fiorita (fatto di prima mattina). L’aquila (l’Impero di stampo romano) e l’intervento di santa Lucia, la Grazia Illuminante (che si era già mossa per Dante ai tempi della selva oscura). A un Dante che sta per passare al Purgatorio vero e proprio l’Angelo portinaio impone il rito penitenziale-purificatorio incidendo sulla sua fronte sette P (simbolo dei sette vizi o peccati capitali). Intanto, si sente il canto del Te Deum, inno di ringraziamento e di riconoscenza delle anime per l’avvenuta salvezza.

 Il canto-capitolo IX ovvero il canto del passaggio dall’Antipurgatorio al Purgatorio vero e proprio. Tra secondo e terzo balzo che conduce alla porta del Purgatorio. Il sogno allegorico di Dante nella valletta fiorita (fatto di prima mattina). L’aquila. L’intervento di santa Lucia, la Grazia Illuminante (che si era già mossa per Dante ai tempi della selva oscura). Il viaggio prosegue. La porta del Purgatorio e l’Angelo portinaio (o portiere) che impone a Dante il rito penitenziale-purificatorio incidendo sulla sua fronte sette P (simbolo dei sette vizi o peccati capitali di cui si dovrà man mano purificare salendo per le sette cornici: superbia, invidia, ira, accidia, avarizia e prodigalità, gola e lussuria). Quindi, l’angelo apre la porta e si sente il canto del Te Deum (laudamus, inno di ringraziamento e di riconoscenza delle anime per l’avvenuta salvezza). Dall’Antipurgatorio i due Poeti passano al Purgatorio vero e proprio. (Tutto si svolge dalle ore 9 di sera fino alle 8 e mezza di mattina del lunedì di Pasqua dell’11 aprile del 1300).

Questo canto-capitolo che si può definire di transizione, di passaggio (di passaggio dall’Antipurgatorio al Purgatorio vero e proprio, con rito penitenziale e catartico)  inizia con la finzione romanzesca del sogno di Dante addormentato nella valletta insieme a Virgilio, Sordello, Nino e Corrado; al risveglio, il maestro gli spiega il sogno del suo rapimento a opera di un’aquila (che simboleggia l’Impero, l’idea imperiale) e l’intervento di santa Lucia (la siracusana santa protettrice della vista che simboleggia la Grazia Illuminante, ma qui anche l’idea imperiale, l’impero, istituzione voluta da Dio che, insieme alla Chiesa, deve operare per la salvezza degli uomini: insomma l’aquila e Lucia operano insieme per salvare Dante-umanità-peccatrice) e gli spiega cos’è successo mentre dormiva  (si tratta di un incipit costruito con simboliche parole ricche di riferimenti astronomici, mitologici e tra le più complesse e indecifrabili della Commedia): La concubina di Titone antico già s’imbiancava al balco d’orïente, fuor de le braccia del suo dolce amico; di gemme la sua fronte era lucente, poste in figura del freddo animale che con la coda percuote la gente; e la notte, de’ passi con che sale, fatti avea due nel loco ov’eravamo, e ‘l terzo già chinava in giuso l’ale; quand’io, che meco avea di quel d’Adamo, vinto dal sonno, in su l’erba inchinai là ‘ve già tutti e cinque sedavamo. Ne l’ora che comincia i tristi lai la rondinella presso a la mattina, forse a memoria de’ suo’ primi guai, e che la mente nostra, peregrina più da la carne e men da’ pensier presa, a le sue visïon quasi è divina, in sogno mi parea veder sospesa un’aguglia nel ciel con penne d’oro, con l’ali aperte e a calare intesa; ed esser mi parea là dove fuoro abbandonati i suoi da Ganimede, quando fu ratto al sommo consistoro. Fra me pensava: ‘Forse questa fiede pur qui per uso, e forse d’altro loco disdegna di portarne suso in piede’. Poi mi parea che, poi rotata un poco, terribil come folgor discendesse, e me rapisse suso infino al foco. Ivi parea che ella e io ardesse; e sì lo ‘ncendio imaginato cosse, che convenne che ‘l sonno si rompesse.

Non altrimenti Achille si riscosse, li occhi svegliati rivolgendo in giro e non sappiendo là dove si fosse, quando la madre da Chirón a Schiro trafuggò lui dormendo in le sue braccia, là onde poi li Greci il dipartiro; che mi scoss’ io, sì come da la faccia mi fuggì ‘l sonno, e diventa’ ismorto, come fa l’uom che, spaventato, agghiaccia. Dallato m’era solo il mio conforto, e ‘l sole er’alto già più che due ore, e ‘l viso m’era a la marina torto. “Non aver tema”, disse il mio segnore; “fatti sicur, ché noi semo a buon punto; non stringer, ma rallarga ogne vigore. Tu se’ omai al purgatorio giunto: vedi là il balzo che ‘l chiude dintorno; vedi l’entrata là ‘ve par digiunto. Dianzi, ne l’alba che procede al giorno, quando l’anima tua dentro dormia, sovra li fiori ond’è là giù addorno venne una donna, e disse: “I’ son Lucia; lasciatemi pigliar costui che dorme; sì l’agevolerò per la sua via”. Sordel rimase e l’altre genti forme; ella ti tolse, e come ‘l dì fu chiaro, sen venne suso; e io per le sue orme. Qui ti posò, ma pria mi dimostraro li occhi suoi belli quella intrata aperta; poi ella e ‘l sonno ad una se n’andaro”.

A guisa d’uom che ‘n dubbio si raccerta e che muta in conforto sua paura, poi che la verità li è discoperta, mi cambia’ io; e come sanza cura vide me ‘l duca mio, su per lo balzo si mosse, e io di rietro inver’ l’altura.

Proviamo a tradurre: L’amante (oppure: la sposa, la compagna) del vecchio Titone (fratello di Priamo, re diTroia, di cui Aurora, dea del mattino, si era tanto invaghita da rapirlo, sposarlo e ottenere dal padre Giove il dono dell’immortalità, dimenticando, però, di chiedergli quello dell’eterna giovinezza, per cui Titone sarebbe poi diventato vecchio e decrepito) presentava già il suo volto bianco (si tingeva già di bianco) affacciandosi al balcone orientale (del cielo), dopo essersi staccata (allontanata, dopo la notte) dalle braccia del suo dolce (tenero) amante (in Italia, cioè, sono quasi le sei del mattino, mentre nel Purgatorio sono le nove di sera e Dante dorme e poi sogna); la sua fronte (di Aurora) era splendente di gemme (di stell) disposte in modo da raffigurare quel freddo animale (il biblico scorpione e, quindi, si riferisce alla costellazione dello Scorpione) che (appunto con freddezza) punge (ferisce) con la sua coda la gente; e (nell’emisfero del Purgatorio) la notte aveva già compiuto (fatto) due passi e stava per finire il terzo (per compiere il suo cammino ascendente, la sua salita, il suo volo nel cielo; quindi erano le 9 di sera); (ebbene, tutto questo) quando io, che portavo con me il peso del corpo (quel d’Adamo), vinto dal sonno, mi sono chinato (posato) sull’erba, dove (prima) tutti e cinque stavamo seduti. Verso la mattina (quando i sogni sono premonitori e si dice che si avverano, che finiscono per diventare realtà) nell’ora in cui la rondinella (qui si allude al mito ovidiano di Filomela trasformata in usignolo ma per Dante in rondine; in rondine era stata trasformata, invece, la sorella Progne, moglie del terribile re di Tracia Tereo) comincia il suo lamentoso canto, forse a memoria, a ricordo delle sue prime sventure, e quando la nostra mente è distaccata (lontana) dalle cose terrene (dai sensi, dal peso della carne) e meno presa (occupata) dai pensieri (dalle preoccupazioni che abbiamo di giorno), e, nelle sue visioni (nei suoi sogni) è quasi indovina (divinatrice) di ciò che avverrà, (ebbene) mi è sembrato di vedere in sogno un’aquila (simbolo dell’Impero) dalle penne d’oro volare in cielo e intenta a scendere (a calarsi); e mi è sembrato di essere (di trovarmi) là dove (nel luogo dove) Ganimede (il bellissimo figlio di Troo, re di Troia) aveva abbandonato i suoi compagni, quando (durante una partita di caccia sul monte Ida) fu rapito (da un’aquila inviata da Giove) per essere portato nel regno (nel concilio) degli dèi (per fare il coppiere degli dèi). Pensavo tra di me (oppure: tra me e me pensavo): Forse quest’aquila colpisce soltanto qui (sul monte) per sua abitudine, e forse disdegna di portare con i suoi artigli una preda da un luogo diverso da questo. Poi mi è sembrato che, dopo aver ruotato (roteato) un po’ nell’aria, scendesse (calasse) terribile come la folgore, e mi rapisse (afferrasse) portandomi in alto fino alla sfera del fuoco (tra l’aria e il primo cielo, quello della Luna). Qui sembrava che sia io che lei, entrambi (e cioè insieme) ardessimo; e l’incendio (il grande calore) sognato appariva così reale, dava una così reale sensazione di bruciore, che necessariamente (inevitabilmente) il sogno si è interrotto (Dante si sveglia di soprassalto per lo spavento avuto in sogno).

Non diversamente si è risvegliato Achille, rivolgendo gli occhi desti intorno e non riuscendo a capire dove si trovasse (dove fosse) quando sua madre (Teti) lo prese tra le sue braccia mentre dormiva per portarlo da dove seguiva gli insegnamenti del centauro Chirone nell’isola di Sciro (per evitare l’avverarsi del fato, cioè la sua partecipazione alla guerra di Troia e poi la morte), da dove poi i Greci (Ulisse e Diomede, con una loro astuzia, un loro inganno) lo hanno allontanato (e quindi la predizione della sua morte, in seguito alla guerra di Troia, si sarebbe avverata); (non diversamente, dunque) da come mi sono scosso (svegliato) io, non appena il sonno (e anche il sogno…) è scomparso dai miei occhi (cioè è finito) e sono diventato pallido come diventa l’uomo che, spaventato (preso da paura) gela (rabbrividisce perché non riesce a credere possibile quello che di eccezionale ha sognato). Vicino a me, da una parte, al mio fianco, c’era solo Virgilio, il mio conforto (colui, cioè la Ragione, che sa come rassicurarlo), e il sole era già alto, era sorto da più di due ore (cioè erano un po’ più delle otto del mattino), e lo sguardo era rivolto verso il mare.

Virgilio mi ha detto: Non aver paura, stai tranquillo (rassicurati) perché siamo a buon punto (nel viaggio di ascensione al monte): non frenare (non diminuire) ma cerca di aumentare le tue forze (il tuo vigore). Tu sei ormai giunto al Purgatorio (vero e proprio): vedi laggiù il balzo (pendio praticabile, accessibile) che lo chiude intorno) (lo circonda); vedi l’entrata dove esso sembra interrotto (da una apertura, una fessura). Prima, durante l’alba che precede il giorno, quando la tua anima dormiva dentro di te sopra i fiori che laggiù adornano (la valletta), è venuta una donna, e ha detto: Io sono Lucia (la Grazia Illuminante che soccorre); lasciatemi prendere con me costui che dorme; cosicchè (in modo che, affinchè) io possa agevolarlo nel suo cammino (nel suo viaggio, rendergli tutto più facile). Sordello e le altre nobili anime (dei prìncipi) sono rimaste (lì); Lucia ti ha preso (con sé) e, non appena si è fatto giorno, se ne è venuta su; e io ho seguito le sue orme. Qui ti ha deposto, ma prima i suoi begli occhi (perchè splendono della Grazia divina) mi hanno indicato (mostrato) quel varco (quella porta) aperta (del Purgatorio); poi lei e il tuo sonno se ne sono andati insieme (spariscono, scompaiono all’unisono, contemporaneamente, nello stesso istante, e Dante si è svegliato).

Come un uomo che si rassicura dopo esser stato in dubbio e che muta, trasforma la sua paura, il suo timore in fiducia (in sicurezza, in coraggio) dopo che la verità è diventata certezza (dopo che gli è stata manifestata la verità,) così mi sono mutato (trasformato) io; e come la mia guida mi ha visto senza più preoccupazione (timore, cioè, più sicuro), si è subito mosso (si è subito messo in movimento) verso il balzo (il pendio) e io dietro di lui verso l’altura (il monte).

Dante, che spesso, modernamente, si rivolge al suo eterno lettore, qui lo richiama a una particolare attenzione e ad essere sempre più agguerrito e vigile nel seguire il suo stile, la sua arte che, in questo canto-capitolo, si fa particolarmente elaborata, sofisticata, ricca di artifici retorici, finzioni, accorgimenti tecnici, simbolismi, allegorie e linguaggio, con significante sempre adeguato al contenuto, alla situazione e alla realtà che tratta e descrive e, pertanto, un Dante sempre più consapevole delle proprie capacità artistiche e dell’elevatezza della materia trattata, così si appella a chi lo legge, per poi proseguire nel racconto dell’incontro con l’Angelo-portinaio-sacerdote e con il rito della penitenza e della confessione: Lettor, tu vedi ben com’io innalzo la mia matera, e però con più arte non ti maravigliar s’io la rincalzo. Noi ci appressammo, ed eravamo in parte che là dove pareami prima rotto, pur come un fesso che muro diparte, vidi una porta, e tre gradi di sotto per gire ad essa, di color diversi, e un portier ch’ancor non facea motto. E come l’occhio più e più v’apersi, vidil seder sovra ‘l grado sovrano, tal ne la faccia ch’io non lo soffersi; e una spada nuda avëa in mano, che reflettëa i raggi sì ver’ noi, ch’io dirizzava spesso il viso in vano.

“Dite costinci: che volete voi?”, cominciò elli a dire, “ov’è la scorta? Guardate che ‘l venir sù non vi nòi”.

“Donna del ciel, di queste cose accorta”, rispuose ‘l mio maestro a lui, “pur dianzi ne disse: ‘Andate là: quivi è la porta’”.

“Ed ella i passi vostri in bene avanzi”, ricominciò il cortese portinaio: “Venite dunque a’ nostri gradi innanzi”.

Là ne venimmo; e lo scaglion primaio bianco marmo era sì pulito e terso, ch’io mi specchiai in esso qual io paio. Era il secondo tinto più che perso, d’una petrina ruvida e arsiccia, crepata per lo lungo e per traverso. Lo terzo, che di sopra s’ammassiccia, porfido mi parea, sì fiammeggiante come sangue che fuor di vena spiccia. Sovra questo tenëa ambo le piante l’angel di Dio sedendo in su la soglia che mi sembiava pietra di diamante.

Per li tre gradi sù di buona voglia mi trasse il duca mio, dicendo: “Chiedi umilemente che ‘l serrame

scioglia”.

Divoto mi gittai a’ santi piedi; misericordia chiesi e ch’el m’aprisse, ma tre volte nel petto pria mi diedi. Sette P ne la fronte mi descrisse col punton de la spada, e “Fa che lavi, quando se’ dentro, queste piaghe” disse. Cenere, o terra che secca si cavi, d’un color fora col suo vestimento; e di sotto da quel trasse due chiavi. L’una era d’oro e l’altra era d’argento; pria con la bianca e poscia con la gialla fece a la porta sì, ch’i’ fu’ contento.

“Quandunque l’una d’este chiavi falla, che non si volga dritta per la toppa”, diss’elli a noi, “non s’apre questa calla. Più cara è l’una; ma l’altra vuol troppa d’arte e d’ingegno avanti che diserri, perch’ella è quella che ‘l nodo digroppa. Da Pier le tegno; e dissemi ch’i’ erri anzi ad aprir ch’a tenerla serrata, pur che la gente a’ piedi mi s’atterri”. Poi pinse l’uscio a la porta sacrata, dicendo: “Intrate; ma facciovi accorti che di fuor torna chi ‘n dietro si guata”.

E quando fuor ne’ cardini distorti li spigoli di quella regge sacra, che di metallo son sonanti e forti, non rugghiò sì né si mostrò sì acra Tarpëa, come tolto le fu il buono Metello, per che poi rimase macra. Io mi rivolsi attento al primo tuono, e ‘Te Deum laudamus’ mi parea udire in voce mista al dolce suono. Tale imagine a punto mi rendea ciò ch’io udiva, qual prender si suole quando a cantar con organi si stea; ch’or sì or no s’intendon le parole

E dunque: O lettore, puoi ben vedere come io innalzo la materia (come io tratti un argomento, una materia più elevata), e perciò non meravigliarti (stupirti) se io la sorreggo (la rafforzo) con più arte (con maggiore impegno artistico, con arte più elaborata).

Noi ci siamo avvicinati, ed siamo giunti in un punto tale che dove (prima il balzo) mi pareva spezzato (come se ci fosse una spaccatura, una fenditura che divide, separa un muro) ho visto una porta (quella stretta del Purgatorio vero e proprio) e, sotto, tre gradini per arrivare ad essa, di diverso colore, e un portinaio (o portiere: è l’Angelo-sacerdote addetto al sacramento della penitenza e della confessione, a cui si sottoporrà Dante per liberarsi dai mali e dai peccati e poter essere degno di salire in Purgatorio e poi in Paradiso) che, per il momento, non parlava. E quando più ho posato l’occhio (lo sguardo) su di lui (man mano che si avvicinava), l’ho visto che sedeva sul gradino più alto, (ed era) così splendente nel volto da non riuscire a guardarlo (non poteva sopportarne la vista in quanto abbagliava); e (ho visto) che aveva in mano una spada sguainata (simbolo della giustizia divina), che rimandava verso di noi i suoi raggi così splendenti, che io invano cercavo di guardare (di rivolgere lo sguardo, perché non riuscivo a vedere niente, tanto forte era la sua accecante, abbagliante luce).

L’angelo ha cominciato a dire: Dite, dal luogo dove vi trovate (da dove siete, senza fare altri passi): cosa volete (cosa desiderate)? Dov’è la vostra guida (che dovrebbe accompagnarvi fin qui)? Badate che il salire qui sopra non vi rechi danno (dispiacere, non vi nuoccia, insomma: A quale titolo siete qui? Chi vi ha autorizzato? Ma l’angelo dovrebbe conoscere la volontà e le decisioni divine e tuttavia deve procedere con i formalismi del caso…).

Virgilio replica così: Una donna che sta in Cielo (Lucia), esperta in queste cose (cioè, sa chi può o non può passare per questi luoghi), appena poco fa ci ha detto: Andate là: qui c’è la porta (oppure: questa è la porta).

(Alla parola sottintesa di Lucia, l’Angelo-portiere-sacerdote, prima un po’ burbero e sopettoso, adesso diventa gentilissimo e dolce: Ed ella (Lucia) faccia avanzare i vostri passi (nel vostro cammino)  verso la via del bene (vi aiuti a proseguire felicemente). Venite, dunque, avvicinatevi ai tre gradini.

Noi siamo giunti lì; e il primo scalino (gradino) era di marmo bianco così (liscio) pulito (nitido) e lucente, tanto che io mi sono specchiato in esso (mi sono visto così come sono; nella simbologia del rito, esso rappresenta il primo momento del sacramento della penitenza e cioè la cosiddetta contritio cordis, l’esame di coscienza, con la sincera contrizione del cuore che deve avere il fedele, il penitente; come in uno specchio, Dante, fa l’esame di coscienza e si avverte ben pulito dentro). Il secondo gradino era di colore scuro (nerastro) fatto di una pietra ruvida e arsa, crepata in ogni sua parte, direzione (rappresenterebbe il secondo momento della penitenza, cioè la confessio oris, la confessione orale, l’accusa dei peccati, per cui si manifesta il pentimento dei peccati; ma secondo altri rappresenterebbe ancora la contrizione del cuore, del cuore contrito). Il terzo gradino, che sovrastava (si posava, poggiava, stava sopra) gli altri due compattamente, con tutto il suo peso, mi sembrava di porfido così fiammeggiante, come sangue che esca (sprizzi, zampilli, sgorga) da una vena (esso rappresenta la satisfatio operis, la soddisfazione delle opere, cioè l’ultimo momento della penitenza che deve ardere d’amore e di carità, per soddisfare Dio).

Sopra quest’ultimo teneva entrambi i piedi (stava poggiato ben fermo) l’angelo di Dio, sedendo sulla soglia della porta, che mi sembrava come la pietra di un diamante (simboleggia la fermezza del sacerdote nel dare l’assoluzione o la penitenza). La mia guida (Virgilio) mi ha tratto su per i tre gradini molto volenteroso (volenteroso, cioè ben disposto, è Dante, sulla via della salvezza), dicendo: Chiedi umilmente (con umiltà) che apra la serratura (della porta, perché gli deve chiedere di svolgere per lui il sacramento della penitenza e confessione dei peccati).

(Dante, che è ben pronto per il rito, dice che:) Devotamente mi sono gettato (inginocchiato) ai piedi sacri (santi dell’angelo); ho chiesto (che avesse, che facesse un atto di) misericordia e che mi aprisse (chiede di essere assolto dai peccati), ma prima mi sono battuto tre volte il petto (in segno di accusa e di pentimento: mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa, così è detto nel Confiteor). (L’angelo) mi ha segnato (inciso) sette volte la P (p come peccato…) sulla fronte con la punta della sua spada (simbolo dei sette peccati capitali che saranno espiati nelle sette cornici, e che Dante, da parte sua, deve meditare ed espiare con la penitenza, lui che simboleggia l’umanità peccatrice), e ha detto: Cerca di lavare (cioè purificare definitivamente con la giusta e piena espiazione nonchè con la rafforzata volontà di operare con virtù per il bene)  con queste ferite (o piaghe) quando sei là dentro (nel Purgatorio).

La cenere o la terra che si scava da un terreno arido, che si estrae da una cava, sarebbe dello stesso colore grigio del suo vestito (della sua veste, insomma: il vestito dell’angelo era dello stesso grigio della cenere o della terra che si estrae da una cava: ed è simbolo della penitenza e dell’umiltà con cui il sacerdote-confessore deve esercitare il proprio compito, ufficio); e da sotto (la sua veste) ha estratto (tirato) fuori due chiavi. Una era d’oro e un’altra d’argento (le due chiavi sono il simbolo dell’autorità conferita da Dio a San Pietro: quella d’oro rappresenta l’autorità divina che consente al sacerdote di assolvere, mentre quella d’argento la sapienza, saggezza necessaria per valutare i peccati); prima con la bianca (quella d’argento) e poi con la gialla (quella d’oro) ha agito sulla serratura della porta (cioè l’ha aperta), tanto che io ne sono stato felice (perché ha esaudito, soddisfatto il mio desiderio). L’angelo ha detto a noi: Ogni volta che (ogniqualvolta, tutte le volte in cui) una di queste chiavi fallisce, non girando bene nella toppa, la porta non si apre (fallisce nel suo compito, cioè la via che conduce all’espiazione è come impedita, sbarrata: affinchè tutto proceda bene, affinchè la confessione abbia valore, occorre che essa poggi bene sulla dottrina, cioè sulla sapienza del sacerdote, sull’autorità di chi confessa, che viene conferita dal papa). Una (quella d’oro) è più preziosa (perché simboleggia, rappresenta l’autorità che Dio conferisce al sacerdote); ma l’altra (quella d’argento) implica (esige, richiede) molta esperienza e intelligenza prima che possa aprire (la porta), perché essa è quella che scioglie il nodo dei peccati (che tiene come avviluppata, bloccata la coscienza del peccatore-penitente). Le ho ricevute da San Pietro; il quale mi ha detto che è meglio (è preferibile) sbagliare nell’aprire la porta (essere indulgente) piuttosto che tenerla chiusa, purchè chi si presenta si inginocchi (si prostri, si getti) ai miei piedi (appaia realmente umile e contrito e chieda perdono). Poi ha spinto il battente della sacra porta, e ha detto: Entrate, ma vi avverto che chi guarda indietro (cioè, se qualcuno dovesse avere dei ripensamenti sui propri peccati e pensa ancora, con rimpianto, ai beni, alle cose della vita terrena) poi dovrà (uscire) tornare fuori (perché perderebbe la grazia ottenuta, conquistata con il perdono, ritornando misero peccatore).

E quando gli spigoli (i puntoni, i perni) di quella porta sacra, che sono di metallo robusto e sonante, hanno girato (pesantemente) sui cardini, (ebbene) hanno fatto un così grande rumore (più stridore e asprezza nel suono, tanto è poco aperta e utilizzata per l’espiazione, perché sono pochi quelli disposti…) che non abbia fatto (la porta della rupe) Tarpea, quando è stato tolto di mezzo (per opera di Cesare) il valoroso (tribuno della plebe Lucio Cecilio) Metello (che si era assunto il compito di guardiano e difensore del tesoro di Roma, portato poi via da Cesare con la forza e la violenza, per poter pagare i suoi soldati, che ne avevano favorito la scalata al Potere), per cui (per la qual cosa Roma) sarebbe rimasta impoverita (magra).

Io ho rivolto la mia attenzione al primo fragore (rumore) fatto dalla porta (che si apriva), e mi è sembrato di udire (che si cantasse l’inno ambrosiano di ringraziamento al Signore) il Te deum laudamus, con parole miste a un dolce (soave) suono (per alcuni esegeti si trattrerebbe di un canto a più voci, di una polifonia). Ciò che io udivo (sentivo) mi dava appunto (proprio) l’impressione che si ha di solito quando si stia ascoltando un canto accompagnato dal suono di un organo; e (le parole) ora si capiscono (intendono) e ora no (cioè quando sì e quando no, perché il suono dell’organo le copre)…

Per distruggere lo stato di  peccato, il poeta deve ottenere da Dio la remissione della colpa, e restaurare la sua unione con Lui, cancellando quell’impronta che il male ha impresso nell’anima. Il fuoco del sogno si è fuso con l’idea della grazia, che purifica, come è detto da profeta Malachia (III, 2-3) nella Scrittura, e dà all’uomo la possibilità di offrire sacrifici di giustizia. Ora è necessario un rito penitenziale… Così chiosano i già citati Fallani e Zennaro e Dante-umanità-peccatrice si sottopone umilmente al rito penitenziale perché ci vuol dimostrare che se noi seguiamo il suo percorso, il suo esempio, se noi, insomma, lo imitiamo, possiamo salvarci, possiamo aspirare alla salvezza eterna e quindi alla beatitudine. Tutta la Commedia ha per sottofondo, come leitmotiv, dichiarato e implicito allo stesso tempo, questo straordinario messaggio diretto a creare un uomo nuovo e una nuova umanità.