Rocca Imperiale-11/08/2013:«Il sequestro dell’anima» (di Pino Affuso)
«Il sequestro dell’anima» è un romanzo che ha al suo interno molte anime, e per questo motivo può essere letto su più livelli; praticamente ci sono varie chiavi di lettura con cui ci si può apprestare alla lettura di questa nuova e interessante opera di Pino Affuso.
C’è un primo livello, immediato ed evidente, (che è poi comune ad ogni libro di narrativa), e riguarda lo svolgimento della trama: il lettore segue la vicenda, gli avvenimenti che si susseguono, le azioni dei protagonisti.
Da questo punto di vista, il libro affronta una tematica forte, il sequestro di persona a fini estorsivi e da lì si sviluppa portando a tutta una serie di situazioni complicate, ricche di stravolgimenti e di suspense, ma anche di situazioni tragicomiche che sfiorano il grottesco. Già da quanto detto si può apprezzare la flessibilità della scrittura di Affuso, che dal racconto di un dramma passa a circostanze comiche, avventurose, che poi si tingono di noir, attraversando i diversi stati d’animo dei personaggi.
La protagonista, la persona che subisce il sequestro, è una donna dalla vita invidiabile: è ricca, bella, di buona famiglia, con un portamento distinto, dotata di discrezione; una persona che fino a certo punto della sua vita non era mai entrata in contatto con realtà squallide e perverse.
Insomma aveva tutto ciò che ogni persona desidera, e da questa condizione privilegiata inizia man mano la sua discesa agli inferi, vivendo sulla propria pelle situazioni che abbrutiscono l’anima. Conoscerà le nefandezze di cui sono capaci alcuni uomini.
C’è poi una lettura più profonda, a livello più alto, simbolico. Per esempio, a suggerirci molte cose della protagonista è il suo stesso nome, Anna La Sorte. Anna è un nome di origine ebraica che significa «grazia», ma anche «graziosa»; un nome che quindi ben aderisce al personaggio che l’autore ci ha descritto per la sua delicata femminilità, eleganza, nobiltà d’animo, e che fisicamente somiglia più ad una bellezza nordica (ha discendenze scandinave, luoghi dove questo nome è abbastanza diffuso). Ma gli indizi più importanti ce li suggerisce il cognome La Sorte. In quel cognome è sottinteso molto della vita di Anna. La sorte è intesa, per buona parte del libro, come una forza non gestibile perché è più forte della volontà di un individuo e ne condiziona l’esistenza, perché governa le vicende delle persone e le cose. A questo proposito, in un passo del romanzo, il protagonista maschile afferma: “Le cose devono seguire il percorso rigato dal destino, non ci sono assolutamente dubbi su questo”.
La Sorte sembra rappresentare inizialmente l’imprevedibilità nella sua accezione positiva, è un sinonimo di Fortuna, come dimostra questo stralcio che ci parla dell’esistenza di Anna prima del sequestro: “La natura era stata benigna con lei, le aveva dato intelligenza; forza contro le negative vicende della vita; bellezza interiore ed esteriore; possedeva un immenso patrimonio, amava i suoi studi, le lettere e l’economia”. Dall’iniziale significato positivo, si passa rapidamente ad un significato negativo: la sorte assume il significato di sortilegio, maleficio, portando nella vita della donna eventi dolorosi, la violenza fino al arrivare al sequestro.
E i ribaltamenti del destino non si fermeranno qui, e ce ne saranno altri nello sviluppo della trama che cambieranno per sempre la vita della protagonista.
Anna, quindi, ha dovuto subire i capricci del destino, è stata vittima degli eventi che si sono introdotti nella sua vita e contro questo non ha potuto opporre resistenza. Anna, almeno all’inizio, non è l’artefice del proprio destino, ma lo subisce, è costretta a vivere una situazione che si rovescia inspiegabilmente: come abbiamo detto, da una vita invidiabile allo squallore.
Proprio quest’ultimo aspetto, ci introduce un altro livello di lettura del testo, un livello più vicino all’aspetto accademico e alla critica letteraria. Affuso dimostra di saper utilizzare con maestria e padronanza le tecniche narrative, riuscendo a coinvolgere il lettore nel proseguimento della lettura, appassionandolo alle vicende narrate. Ci sono tanti colpi di scena. Uno di questi è proprio il cambiamento di fortuna nel suo contrario. È una tecnica narrativa molto importante per la vivacità della storia. Si tratta della peripèteia che ribaltando le situazioni, porta ai cambiamenti dei sentimenti di un personaggio, con il sostanziale cambiamento anche delle sue azioni.
Personalmente credo che questo espediente narrativo sia un aspetto molto interessante, perché ci permette di seguire la protagonista mentre affronta le avversità, di notare come il personaggio cambia e di seguirne l’evoluzione.
A parte i sequestratori e un altro balordo, Pasquale Vitti, che potremmo paragonare a dei monoliti, per il fatto che restano invariati dalla prima all’ultima pagina della narrazione, dalla personalità rozza e irrecuperabilmente votata al male, Anna e Antonio, che è il protagonista maschile di questa storia, ci mostrano aspetti inediti del loro carattere, a seconda delle circostanze che si troveranno ad affrontare. I due personaggi mostrano nel corso della narrazione diverse sfaccettature. Molte sono positive. Anche il personaggio maschile, Antonio Melisi, è un uomo colto, un professore liceale, un filosofo che riflette spesso sul senso della vita, che ha nobiltà d’animo. Ma, accanto alle qualità, entrambi presentano i loro lati oscuri, il lato nero della loro anima, tant’è che risulta davvero difficile capire quale sia la loro vera personalità.
I due sembrano subire un processo inverso: mentre Antonio cerca durante tutta la narrazione di rimediare agli errori commessi, e quindi persegue una purificazione interiore, Anna, dal canto suo, dopo aver sperimentato il male, il dolore, ne sarà sporcata per sempre: il suo, come ci dice lo stesso titolo, è molto più che un sequestro a fini estorsivi, è un sequestro dell’anima, di un’anima che ha perso il suo candore.
Emblematica a questo proposito è l’immagine di copertina, che ci mostra la donna, di cui ancora si possono apprezzare i bei lineamenti, con lo sguardo inanimato di chi ha perso la gioia di vivere, dove la luce degli occhi si è spenta. Per non parlare dei capelli, non più biondi ma neri, proprio a rappresentare simbolicamente questa trasformazione, questo lutto dell’anima.
Nel libro emerge anche l’ambiguità dei rapporti umani, dove i protagonisti si rapportano tra loro facendo ricorso a delle maschere, nascondendo alcuni aspetti della loro personalità, vivendo a volte nella finzione perché non hanno il coraggio di mostrarsi per quello che sono realmente. I personaggi principali sono camaleontici, si rimodellano in continuazione adattandosi alle circostanze esterne che cambiano di continuo.
C’è un grande dinamismo negli eventi narrati, in queste pagine succede di tutto, e alcuni fatti innescano delle reazioni a catena. Viene spontaneo, a lettura conclusa, porsi interrogativi su grandi questioni: possiamo giustificare le azioni negative se queste sono una risposta a soprusi e iniquità? Fino a che punto il fine giustifica i mezzi?
Da quanto detto appare evidente che questo libro possa essere incluso tra i thriller psicologici, con sfumature noir, per la sua caratteristica di enfatizzare il percorso interiore dei personaggi, senza tuttavia trascurare la trama. Emerge da queste pagine una visione pessimistica dell’uomo, perché ci viene presentata la natura umana attraverso i suoi limiti, la sua fallibilità, e anche la bestialità (come ben espresso dalla nota espressione di Hobbes, homo homini lupus)
Ma ci sono anche pagine romantiche, con slanci sentimentali.
È anche un romanzo ironico. L’ironia è una caratteristica naturale nonché predominante della scrittura di Affuso, ed è il suo maggior pregio. È un’ironia tagliente che è sempre presente a prescindere dalle tematiche trattate e dona fluidità al racconto. Dona leggerezza, (una qualità imprescindibile della buona scrittura, secondo Italo Calvino), dona spontaneità a una scrittura che comunque sa coniugare fluidità e ricerca.