Trebisacce-16/12/2015:IL COMBATTIMENTO IN TERMINI DI VIA MARZIALE
IL COMBATTIMENTO IN TERMINI DI VIA MARZIALE
Quando si parla di Kung Fu Tradizionale non ci si può esimere dal parlare del Maestro Raffaele Bernabei, grandissimo esperto di Shaolin e di tutto ciò che è connesso alla filosofia orientale ed alle tecniche “interne”, nonché grandissima persona dal punto di vista etico ed umanla certezza che troverà o, capace di profondere affetti e valori che, oggigiorno, pare siano andati scomparendo.
Ci pregiamo della sua preziosa amicizia e del suo immenso affetto ormai da tantissimi anni e quotidianamente viviamo in simbiosi nel rispetto dei princìpi atavici , coniugati con quelli moderni, delle Arti Marziali.
Desideriamo condividere un suo splendido pensiero con la consapevolezza che troverà riscontro in quanti vedono le discipline orientali nel modo più profondo.
“Il combattimento è la meta prefissa da ogni arte marziale.
Ogni artista marziale, a prescindere dal metodo, anela a questo risultato ed ognuno si immerge nella pratica per ricevere da essa una maggiore sicurezza per affrontare in modo più determinante tutto il proprio campo esistenziale, compreso la possibilità di doversi difendere.
Nel caso del Kung Fu cinese, il fenomeno della segretezza ha fatto sì che le metodiche sviluppatesi nel campo esperienziale dei maestri cinesi, venisse trasmesso a livello di massa in modo più formale che pratico.
Inoltre la tendenza cinese alla spettacolarità, inibisce maggiormente l’aspetto del combattimento che raramente si manifesta come atto spettacolare.
Per ricercare una gestualità qualitativa in relazione al combattimento, si necessita andare oltre l’esuberanza dello spettacolo. Quindi, la ricerca della validità tecnica nei confronti del combattimento prevede l’acquisizione dell’essenziale e da qui il combattimento di livello.
Per essere veramente tale, un arte marziale deve presentare un complesso tecnico multiforme ed omogeneo, tramite il quale le funzioni fisiche e mentali soggettive vengono stimolate fino allo sfociare in un rinnovamento delle funzioni globali dell’individuo.
Nella mia scuola di Kenpo Kung Fu, tale approccio fa da supporto alla tecnica pratica vera e propria, favorendo l’atto inconscio senza il quale l’esito del combattimento a proprio favore è impensabile. Non di meno l’aspetto pratico delle tecniche è altrettanto importante in quanto la condizione di stress presente nel combattimento reale, non lascia spazio a nessuna forma di artificio e necessita al corpo di muoversi nel modo più sobrio possibile. Al tempo stesso, necessitano metodiche di allenamento a contrasto.
Così come la filosofia orientale propone di guardare oltre l’illusoria apparenza delle cose, in un’arte marziale questo significa andare oltre all’illusione di essere in possesso di chissà quale potere; ciò sarebbe nutrimento dell’ego.
Invece un’arte marziale praticata nei suoi intenti più profondi, tende a smussare quest’ultimo dei suoi aspetti più grossolani. Un compagno di allenamento che ci contrasta, ci aiuta a capire e a superarli. Ciò sfocia in modo naturale nella simulazione reale. In un contesto sociale moderno e civile, la propria soggettività tende ad un eccesso di inibizione ove gli istinti primordiali come quello della sopravvivenza, tende ad essere represso. Ciò crea un squilibrio esistenziale fra il soggetto e il campo vissuto. La rimozione delle problematiche represse, “tramite una pratica primordiale come un’arte marziale”, ristabilisce un equilibrio fra il soggetto ed il suo ambiente vitale. E’ da questa condizione di equilibrio relativo ristabilito che il praticante si indirizza verso i meandri più profondi della sua condizione esistenziale. Ecco perché nella mia scuola di Kung Fu, gli allievi interessati, sono indirizzati da me nello studio della filosofia di stampo principalmente chan (zen) e taoista così come nelle pratiche respiratorie in piedi e sedute.
Inizia così un lavoro introspettivo esigente quanto appagante.
In queste pratiche, la rimozione e la sublimazione dei fattori emozionali soggettivi, già in atto nella fase realistica dell’allenamento tecnico, si scontrano e si confrontano con le risonanze più sottili del nostro essere. A scapito della mente ordinaria, ci si apre un altro registro percettivo. Si tratta dunque di un’immersione ad un altro livello qualitativo nella realtà della vita.
Ci si chiede a questo punto cos’altro l’arte marziale cinese abbia ancora da offrire riguardo all’autorealizzazione; offre il combattimento inteso in termini di via marziale (wudao).
A questo punto il combattimento trascende il concetto di autodifesa e si presenta invece come un riferimento di verifica sul nostro avanzare nella via.
In termini filosofici orientali seguire la via significa aprire la mente alla dimensione universale nella quale distinzioni come migliore o peggiore, creazione e distruzione, vita e morte, non trovano posto.
In pratica l’abbattimento di ogni dualismo, la libertà assoluta, l’entrata nel dao.
Ecco da qui l’importanza del combattimento inteso in termini di wudao.
Immersi in questo campo esperienziale di combattimento, riemergono facilmente concetti dualistici come vincere, perdere, nemico…..nella vita ciò è nefasto in quanto ci spinge a prendere rifugio nella ricerca della nostra felicità, nei fenomeni esterni, che altro non sono che un processo in atto in continuo mutamento.
Nel combattimento ci rende vulnerabili all’avversario che capta il turbamento del nostro spirito causato dai nostri desideri.
Ecco che invece, se lo spirito del praticante è in una condizione di armonia, farà l’esperienza “dell’atto non intenzionale” che, in combattimento, scaturisce da una condizione di vuoto (wushin) da ogni forma di egocentrismo. Ciò per il praticante è conferma del giusto avanzare nella via.
Questa vittoria interiore raggiunta, guida il soggetto in tutte le sfaccettature della sua esistenza, compreso nella sua fluttuazione del divenire nella morte.
Il concetto di “non due” spinto al massimo, considera vita e morte come due facce della stessa medaglia. La coscienza soggettiva continua la sua avventura nel mondo delle apparenze anche oltre la vita, solo che avviene ad un livello più sottile. Così, se il soggetto ha imparato a dominare “l’attrazione verso le preferenze” in vita, il principio assoluto gli si manifesterà in tutto il suo splendore e non avrà paura, coronando di successo il momento più fulgido dell’esistenza”.
RAFFAELE BURGO