Rocca Imperiale-31/07/2016: Il Fascismo in Italia e a Rocca Imperiale: 2^ parte 1937 – 1945 (di Vincenzo Manfredi)

Il  Fascismo in Italia e a Rocca Imperiale:  2^ parte  1937 – 1945

La fascistizzazione del paese incominciata con le leggi fascistissime del 1926 proseguì negli anni fino al 1940, anno dell’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania.  Nei programmi delle scuole di ogni ordine e grado si introduce una nuova disciplina obbligatoria, la cultura fascista, ma tutta l’azione degli insegnanti è informata alla teoria del Regime; si licenziano i maestri e i professori non “inquadrati; i dissidenti, se sopravvivono alle violenze degli squadristi, saranno inviati al  confine.

Il regime curava i giovani più promettenti e d’estate li inviava ai campeggi  in località balneari o montane,[1], i quali poi facevano da istruttori ad altri giovani nelle frequenti adunate che, istituzionalizzate il 6 luglio 1935, si svolgevano obbligatoriamente il sabato fascista.

Il consenso al fascismo è ancora alto: il regime nel 1937 assegna agevolazioni alle famiglie numerose ( il 2 ottobre il podestà di Rocca Imperiale delibera l’erogazione di lire 200 a favore di  Roberto Ferrara per “premio di natalità” per la nascita del sesto figlio).

La Germania, continuando la politica del carciofo (vedi n. precedente), invade con l’impiego di carri armati e di aerei  il 1^ settembre 1938 la Polonia,che capitola subito: è la guerra-lampo.  La  Francia e l’Inghilterra finalmente  decidono di rispettare i loro impegni con l’alleata Polonia e dichiarano guerra alla Germania: è l’inizio della seconda guerra mondiale.   Nel maggio successivo le divisioni tedesche invadono il Belgio, l’Olanda e il Lussemburgo e attaccano  la linea Maginot francese.  Mussolini che aveva dichiarato la non belligeranza, perché sapeva che l’Italia non era preparata a un conflitto, ora pensando che la guerra lampo finisse subito e volendo  partecipare al  bottino, il 10 giugno 1940, dichiara guerra all’ Inghilterra e alla Francia.  Dopo pochi giorni, il 14, i tedeschi sono a Parigi, e il 22 giugno il maresciallo Pétain firma l’armistizio. Sembra veramente che la guerra stesse per finire, ma non è così: sarà lunga e sanguinosa.  Gli inglesi, nonostante i massicci bombardamenti subiti ad opera dell’aviazione tedesca,  eroicamente e orgogliosamente resistono, tanto che Hitler si rassegnò  a rinunciare al progetto di invadere l’isola

L’Italia,  dopo pochi mesi dall’entrata in guerra, perdette le colonie dell’Africa Orientale (Somalia, Eritrea e Abissinia).                 Una svolta decisiva a questo sanguinoso conflitto fu data dalla scesa in campo degli Stati Uniti con il  loro enorme potenziale bellico ed economico: l’8 novembre 1942 sbarcano in Marocco e Algeria, il 10 luglio 1943 gli anglo-americani sbarcano in Sicilia e comincia a la risalita della nostra penisola mentre i tedeschi si ritirano verso il nord.                                                                                                                            Il consenso nel Paese alla politica del duce si era notevolmente  indebolito.  La notte tra il 24 e il 25 luglio 1943 il Gran Consiglio del fascismo invitò il re  ad assumere il comando delle forze armate;  Vittorio Emanuele  fece arrestare Mussolini confinandolo sul Gran Sasso e. conferì l’incarico di guidare il nuovo governo al Maresciallo Pietro Badoglio,  il quale iniziò subito trattative segrete con gli anglo-americani  e il 3 settembre fu firmato a Cassibile l’armistizio, il cui annuncio fu dato per radio l’8 settembre. Ciò  provocò l’immediata reazione tedesca. Il re e Badoglio fuggirono da Roma per Brindisi. L’Italia era spaccata in due. Quel che rimaneva del nostro esercito si trovò senza direttive, si sbandò, ognuno decise da sè: chi cercò di tornare al proprio paese, chi non potendo divenne Partigiano o  fu costretto ad unirsi ai tedeschi e  aderire al governo della Repubblica di Salò che Mussolini, liberato dai tedeschi, formò nel nord, ormai in balia dell’ ”alleato“  tedesco. Il fascismo era praticamente finito in gran parte dell’Italia meridionale. Ebbe la fine indecorosa al nord con  l’insurrezione della popolazione  il 25 aprile 1945 e  l’uccisione di Mussolini ad opera di partigiani il 28 aprile ?1945.

A Rocca Imperiale si ebbero 25 morti, la maggior parte poco più che ventenni, e tre mutilati.  Erano combattenti sui fronti di Africa, di Russia e d’Italia.  Molti altri finirono prigionieri nei campi di concentramento in America, in Africa e persino in India.  Le lettere che scrivevamo dai fronti sono pervase di nostalgia per i familiari, per gli amici e per il paese, e raccontano di sofferenze e di privazioni, mentre  sperano in un non lontano ritorno a casa.                             Tempi di mestizia, di ansia, di paura  Si stava trepidanti con le orecchie attente ai bollettini di  guerra  trasmessi dai pochi apparecchi radio esistenti in paese, che cominciò a riempirsi di sfollati: famiglie intere, soprattutto donne, anziani i bambini che  provenivano da Taranto, i più, ma anche dalle provincie di Siracusa, Catania, Messina, Reggio Calabria, a cui il Comune corrispondeva un sussidio.                                                                                                                        La paura dei  rocchesi crebbe ancora di più quando un aereo mitragliò anche la nostra stazione ferroviaria; da allora, temendo che gli aerei potessero colpire anche il paese, ad ogni rombo di aereo che nella notte si percepiva, in  molti (compresi noi giovanetti), con fagotti e coperte, abbandonavamo  le case per andare sveltamente al Murorotto verso la Massariella di Ciccio Castrovillari, all’aperto cioè e lontani da eventuali crolli.                                                                                                                                                                         

I viveri scarseggiano.  Scarseggiano soprattutto caffè, zucchero, indumenti, cuoio per confezionare scarpe.  Chi può si rivolge alla “borsa nera”che prospera. Nascono così i nuovi ricchi, cioè trafficanti di ogni genere (olio, farina, fave, ceci, cuoio, soda … ) intraprendenti e spregiudicati perché rischiano talvolta la galera. Nel 1942 compaiono le “tessere annonarie individuali” .   La razione giornaliera di pane era di 200 grammi a persona.                                                               Dopo il commissario prefettizio Cav. Giuseppe Aloia, che nel 1933 subentrò al podestà Cosentino, si avvicendano dal gennaio 1934  a capo dell’Amministrazione del Comune personaggi che restano in carica da un mese al massimo due anni. Si tratta di incarichi politici, ma in effetti  la vita amministrativa era diretta dal “Fascio”,  la Camera del Fascio (ubicata all’ultimo piano del Palazzo Gavazzi),  dai suoi segretari-gerarchi: erano i Cosentino (i figli del commendatore  tutti fascistissimi)  i veri protagonisti di quegli anni,  presenti e attivi  nel bene e nel male, coloro che tessevano le fila della vita rocchese fino al 25 luglio 1943.

Subito dopo l’armistizio, i tedeschi in ritirata verso il nord fecero scoppiare le mine poste in prossimità del Monastero,  per fortuna senza  provocare danni alle persone, ma solo spavento e paura.  Lasciarono però quelle poste sul ponte del canale Salso e spostarono le pietre che consentivano  la loro localizzazione . Il pericolo perciò era grande e incombente: bisognava agire senza indugi. Nel tentativo di disinnescare le mine,  alle ore 8.30 del 17 settembre 1943 un forte boato: le mine non costituivano più un pericolo ma il nostro Francesco Mesce e altri quattro Militari non erano più tra noi.

La corrispondenza, specialmente quella diretta ai soldati, era soggetta a censura.   Nel 1942-43 a  Rocca vi erano diversi confinati politici, tra i quali il prof. Tarcisio Poni, che faceva  con discrezione propaganda antifascista, e fu Commissario prefettizio dal novembre al dicembre 1943.

Molti  iscritti al Partito  all’indomani dell’amnistia si tolsero il distintivo  dall’asola della giacca, altri, nel timore di vendette da parte di coloro che ritenevano  non finito il fascismo,  continuarono ancora per alcuni giorni a tenerlo per poi abbandonarlo definitivamente;  per le strade del paese si cominciano e sentire canti antifascisti  e  Bandiera rossa che trionferà  … .

Per le vicende più dettagliate di tutte le notizie qui in sintesi riportate, vedi il nostro Rocca Imperiale nei secoli, da pag. 218 a pag. 239.

[1] In Sila, a Camigliatello, ad esempio nel luglio 1929  vi andò Alfredo Di Leo e in agosto l’avanguardista Giuseppe Fiore e così negli anni seguenti; nel 1937 vi andò anche mio fratello Antonio.

Vincenzo Manfredi