Rocca Imperiale-05/09/2016:I rocchesi e il ”loro” castello (di Vincenzo Manfredi)
I rocchesi e il ”loro” castello
L’11 agosto scorso in occasione dell’inaugurazione dell’Ala Nord del Castello ho notato con piacere la grande partecipazione di pubblico e il grande interesse dei rocchesi per il castello. Ma non è stato così nel passato. Per circa 600 anni, fino agli inizi dell’ottocento, i rocchesi non si interessavano del castello. e accettavano gli ordini di chi vi abitava.
I nostri primi antenati avevano contribuito insieme ad operai e maestranze provenienti dai paesi circonvicini (Nocara, Bollita, Roseto, Oriolo, … , preesistenti al nostro) alla costruzione dell’imponente rocca per volere di Federico II. Fin dal secolo XIII, quindi, guardavano al castello come a un baluardo sicuro per difendersi dai pirati, dai turchi che fin d’allora facevano scorrerie nel nostro territorio. Ed erano rassegnati perciò a contribuire alla sua conservazione e pagare la decima, cioè la decima parte dei prodotti della terra, ai feudatari di turno (i Sanseverini, i Perroni, i Raimondi, i Crivelli).
Nel 1717 dai Raimondi il feudo e il castello passarono ai duchi Crivelli di Milano, i quali avevano deciso di abitare nel castello e cominciarono perciò l’edificazione della parte superiore, spesso costringendo con la forza i cittadini a prestare gratuitamente la manodopera, e ne fecero una piccola reggia, capace di ospitare personaggi illustri, tra cui nel 1734 Carlo III. E crearono pure la via ducale, che partendo dalla Marina porta al castello attraverso Ronzino e il ciglio di Salaberno
Le vertenze che i rocchesi ebbero con i Crivelli riguardavano la terra di cui si erano impadroniti, ma non il castello. Che interesse potavano avere essi cui mancava di che vivere ? Dopo alcuni decenni, però, per le mutate situazioni politiche ( la rivoluzione francese, la repubblica napoletana) e sociali (la lunga vertenza con i Rocchesi circa i beni demaniali), i Crivelli decisero di vivere in Napoli dove si trasferirono e abbandonarono il castello che cominciò così a degradarsi. I tempi erano cambiati specialmente dopo le leggi antifeudali del 1806. Cosichè i Crivelli che avevano intuito il corso dei nuovi eventi cominciarono a vendere i terreni, comprati in gran parte dai Pitrelli e Toscani; ma il castello non interessava davvero a nessuno, nemmeno a costoro E così cominciarono svendere, dopo gli arredi, anche la travatura, gli infissi , le inferriate.
E allora si svegliò l’interesse dei rocchesi non però per appropriarsi del castello ma perchè cominciarono ad avvertire i danni alle loro abitazioni causati dallo smantellamento delle copertura e temevano umidità e crolli. Se lo tenesse pure il feudatario purché non arrecasse danni provocati dall’abbandono e provvedesse a ripristinare il castello così come era poco tempo prima, e in tal senso presentarono ricorso i sindaci Failla nel 1826 e Orlando nel 1829 al re di Napoli perché imponesse al Crivelli il ripristino. E prevedendo la cosa impossibile per le lungaggini legali e burocratiche, in alternativa si andò alla ricerca di documenti per dimostrare l’occupazione abusiva del castello da parte del duca Crivelli e che quindi il forte era di proprietà dello Stato: ma nemmeno lo Stato di allora aveva interesse a riappropriarsene per le ingenti spese per ripristinarlo e quelle di manutenzione e di guardianeria. Allora non si parlava di beni culturali e di turismo: termini anacronistici duecento anni fa. Continuò così il degrado del castello che divenne cava per la costruzione di tante case del paese.
Nessun acquirente dunque, cosi che alla fine dell’ 800 il duca deciso di disfarsene comunque e di non aver noie con i rocchesi, vendette (atto del notaio Angelo Gallo dell’11 gennaio 1871) a Pietro Antonio Vitale (allora arciprete di Rocca) e ad Antonio Spanò di Pasquale il “castello or diruto, retaggio dei distinti maggiori(= antenati), non meno che di patrie tradizioni …. ed ora desiderando che ritorni in vita, e si salvi da ulteriori ingiurie del tempo e da altri attacchi di mani illegali e rapaci, non potendosi da esso duca riparare perché domiciliato altrove e fatalmente non più possessore di queste tenute che formavano il feudo dei suoi maggiori ….” . Il prezzo di vendita stabilito fu di i lire 250 (duecentocinquanta !!!) da pagare entro un anno. Ma gli acquirenti dopo l’anno non soddisfecero agli impegni e perciò il rudere ripassò ai Crivelli che alla fine se ne disfecero vendendolo al vescovo di Anglona e Tursi Carmelo Puja per adattarlo a seminario, il quale per mancanza di sufficienti vocazioni ( siamo in periodo post-risorgimentale con i laici e garibaldini) nel 1913 lo vendette all’esattore comunale Nicola Cappa che vi apportò modifiche per renderlo abitabile per se e i suoi familiari che vi dimorarono fino agli anni 50-60. Negli ultimi 50 anni era in rovina e minacciava il crollo. Occorrevano grosse somme per il recupero e il restauro.
Il Comune entrò in possesso di parte del Castello nel 1979 (sindaco l’avv. Nicola Gallo) per atto di donazione della Signora Adelina Clelia Iolanda Cappa in Acinapura della sua quota legittima. Il Comune acquistò dagli altri eredi la rimanente parte negli anni 80.
Tutti i Sindaci succedutisi (Tarsia, Palmieri, Franco, Marino) si sono impegnati presso gli organi provinciali regionali e centrali per ottenere fondi e salvare dalla rovina la storica struttura. Un primo intervento diretto al consolidamento della parte più pericolante (lato sud – sud ovest) fu effettuato dalla Soprintendenza e dal Comune (sindaco Giuseppe Di Leo), poi i lavori subirono un’interruzione: tempi burocratici lunghi e complessi e danaro mancante. Negli ultimi anni sono ripresi e portati avanti per l’impegno del Sindaco dott. Ferdinando Di Leo, così che il 10 dicembre 2007 è stato possibile aprire ai rocchesi e ai turisti la cospicua parte recuperata del Castello; i lavori sono continuati sebbene a rilento per i fondi sempre insufficienti e man mano si sono offerti alla comunità nuovi ambienti. Oggi, per l’impegno dell’attuale sindaco avv. Giuseppe Ranù che ha inaugurato l’Ala Nord, buona parte della grandiosa struttura è visibile dai turisti che restano ammirati per la grandiosità del maniero e stupiti per il panorama che dai suoi spalti si gode: abbraccia tutto il golfo di Taranto e il retroterra con le colline, le valli fitte di vegetazione. Ci auguriamo che l’impegno dell’attuale Amministrazione Comunale proseguirà per restituire nella sua integrità questo gioiello alla comunità.