Amendolara-30/04/2018: Primo capitolo de:”Il cocchio alato del tempo”, un romanzo di Salvatore La Moglie

Salvatore La Moglie

 

Il cocchio alato del tempo, un romanzo di Salvatore La Moglie

Rubrica letteraria a cura di Salvatore La Moglie 

 

A partire da questo mese, la Redazione de La Palestra  ha deciso di proporre, a puntate, ai propri lettori,  il romanzo di Salvatore La Moglie  Il cocchio alato del tempo (Calabria Letteraria Editrice, 2000) che tanto successo ha avuto soprattutto nel mondo della scuola, dove il nostro Autore ha, tenuto numerosi incontri con gli studenti e gli insegnanti. Dopo quasi venti anni il libro è stato premiato in due concorsi letterari e questo dimostra che si tratta di un’opera che ha ancora qualcosa da dire.

Il libro è dedicato: A mio padre, figura indimenticabile. Ma anche a tutti i padri, in una società ormai senza padre e il frontespizio è arricchito da alcuni pensieri di grandi autori sul tema del tempo: «Una parte del tempo ci è strappata un’altra ci è sottratta, un’altra ci sfugge», Seneca; «Noi viviamo veramente solo una piccolo parte della nostra vita, tutto il resto, infatti, non è un vivere ma un passare il tempo», Seneca; «Il tempo fugge con la massima velocità… Mentre siamo intenti alle cose presenti, non ce ne accorgiamo, tanto lieve passa nella sua corsa precipitosa… Affrettati perciò a vivere… e considera ogni giorno come una vita intera», Seneca; «Fugge frattanto, fugge il tempo irrecuperabile», Virgilio; «Un dio vela con caliginosa notte l’irreparabile scorrere del tempo», Orazio; «Il tempo che divora tutto»; Ovidio; «Il tempo è la cosa più preziosa che un uomo possa spendere», Teofrasto; «Vassene ‘l tempo e l’uom non se n’avvede», Dante; «L’acqua che tocchi de’ fiumi è l’ultima di quella che andò e la prima di quella che viene. Così il tempo presente», Leonardo; «Il tempo è la cosa più importante: esso è un semplice pseudonimo della vita stessa», Gramsci e, infine, Foscolo : «E quando il tempo con (le) sue fredde ale spazza fin le rovine…».

Insomma, si tratta di un romanzo-saggio ricco di riflessioni sulla vita e il mondo, la stupidità e la saggezza dell’uomo, ecc. avendo sempre presente il valore insostituibile della cultura, che deve essere il faro che deve guidare gli uomini nel cuore di tenebra del nostro complesso e difficile mondo in cui viviamo. Dunque, buona lettura con il primo capitolo.

 

«Questa immensa e folle ambizione di capire che porto in me… non potrebbe un giorno essere soddisfatta interamente, e di colpo?», J.L. Borges.

 

«Se vedi un uomo che ti dice quello che devi evitare, che cerca di correggere i tuoi difetti, un uomo intelligente, seguilo come se ti conducesse alla scoperta di un tesoro», Buddha.

 

Prima di entrare diedi due leggeri colpi con la nocca del dito medio della mano destra sulla porta color noce manganica. Sapevo che quando stava chiuso in mezzo ai suoi diecimila libri detestava essere distolto per cose che, in genere, si rivelavano quasi sempre futili e banali.

Con lui non ‘parlavo’ da anni, ormai. Un po’ perché non c’era stato tempo, un po’ perché non si era mai cercato – soprattutto da parte mia – un momento per mettere in piedi quel dialogo, quella comunicazione che ora desideravo più di ogni altra cosa. Si erano persi tanti anni senza un vero dialogo, senza che tra padre e figlio si dicessero le cose importanti della vita che il più giovane, il più inesperto vorrebbe sentire. Mi ero diplomato, poi avevo fatto il militare, infine avevo conseguito una laurea: tappe di vita e, quindi anni, tanti anni, trascorsi senza ‘parlare’. Adesso era venuto il momento: il momento di rompere il silenzio, il momento di porre fine a questa assenza di parola, il momento di porre fine a una situazione che era diventata normale. Occorreva uscire da questa normalità e occorreva pur prendere un’iniziativa. E toccava a me prenderla. Non tanto perché io fossi più giovane di lui ma quanto perché mi sentivo un po’ in colpa e, quindi, in dovere di farlo. Una volta – prima che io partissi per andare all’università – lui ci aveva provato a parlarmi: voleva darmi dei consigli, dei suggerimenti che potevano servirmi nella vita. Io, però, con l’orgoglio dei giovani che pensano di essere già abbastanza adulti da non avere bisogno di nessuno, io rifiutai di parlare con lui. Ricordo che ci restò molto male. Con la saggezza dei suoi settant’anni, mi disse: “Va bene… Quando crederai che il momento opportuno sia arrivato, bussa leggermente alla porta e ti sarà aperto. Sai dove trovarmi». Negli ultimi tempi avevo riflettuto spesso su queste parole e usare leggermente: non perché lui si disturbasse, ma per non disturbare i suoi cari interlocutori antichi e moderni. Il giorno importante era venuto. Stavo per entrare nel suo tempo e mi sembrava quasi profanarlo. Non vi nascondo che in quel momento, in quella giornata quasi calda di marzo, ero molto emozionato.

«Entra, entra pure», rispose con voce decisa.

«Posso?», domandai con una certa timidezza.

«Vieni, ragazzo mio. Entra. Siediti. Tu non mi disturbi mai, sappilo», rispose togliendosi gli occhiali dal naso e appoggiandoli sul grande tavolo sommerso di libri, riviste e giornali.

«Mi dispiace aver interrotto la tua lettura…», dissi una volta seduto sulla poltrona che stava alla destra del tavolo.

«Non preoccuparti, ero quasi alla fine. Tra poco mi sarei concessa una pausa», rispose con un mezzo sorriso e aggiunse: «Si ha bisogno di pause e non solo di riflessione».

Quell’uomo di settantacinque anni, quell’uomo che aveva mezzo secolo di vita e di esperienza più di me; quell’uomo alto e robusto, con i capelli ondulati ma ormai bianchi, con gli occhi castano chiari e un viso ancora bello per la sua età: quell’uomo era mio padre. Un uomo di vasta cultura, dotato di un’intelligenza e soprattutto di una lucidità non comuni. Di quest’uomo che aveva letto tanti libri, che ne aveva scritti anche alcuni senza mai pubblicarli (chissà perché… era una cosa che prima o poi gli avrei chiesto), di quest’uomo così solitario, che nella sua vita aveva trasmesso il sapere a tanti giovani che gli erano stati sempre grati e riconoscenti: di quest’uomo io avevo sempre rifiutato la parola, la sua saggia parola. Ora ero cambiato e mi ero avvicinato alla fonte. Avevo bisogno della sua saggezza e della lucidità. Avevo bisogno di mio padre. Ad un certo punto della nostra vita sentiamo il bisogno del padre.

«In cosa posso esserti utile?», mi domandò subito dopo con espressione seria.

«In tutto», gli risposi brevemente. Poi aggiunsi: «Papà, noi non abbiamo mai veramente parlato, non c’è stata la possibilità di avere un vero colloquio. Lo so, non è stata colpa tua: è stata colpa del mio orgoglio di ragazzo che, compiuti i diciotto anni, crede di sapere tutto del mondo e degli uomini. Ecco di cosa è stata la colpa…».

«Non fartene un cruccio, figlio mio. A tutto c’è rimedio e, del resto, come dicevano i latini, tutto ciò che è differito non è perduto».

«È vero, ma sono passati anni senza aver imparato niente da te. Invidio i tuoi ex alunni…», conclusi con una punta di amarezza.

«Non essere triste, Sandro, ne hai di tempo per imparare…», rispose con dolcezza.

«Lo so, ma il tempo passa… Oh, se il tempo si potesse fermare!…», dissi guardando attraverso la finestra che dava sulla strada.

«Il tempo… Già, il tempo…», ribatté con il tono di chi rimpiange. Subito aggiunse: «Sono vecchio, ormai. Non so quanto ancora mi resta da vivere… Eppure mi sembra di aver avuto vent’anni solo ieri…».

«Papà», dissi guardandolo bene negli occhi, «abbiamo perso tanto tempo senza parlare, senza conoscerci: ora bisogna recuperare».

«Recuperare il tempo perduto… Già…», disse e, dopo una brevissima pausa, aggiunse: «Sai, sto leggendo e rileggendo tutti gli autori che hanno parlato del tempo, di questo tiranno… Ma adesso non voglio parlarti del tempo. Del tempo sarebbe meglio non parlarne».

«Per noi due», dissi, «si tratta di recuperarlo per poter stabilire quel rapporto che io non ho fatto che sognare in questi ultimi mesi». Quindi, con tono serio continuai: «Ho letto parecchi libri, ho conseguito una laurea ma mi sembra di non sapere niente e di avere le idee poco chiare su tante cose importanti, decisive della vita. Questo mondo che marcia così velocemente, questo mondo che ha fatto tante scoperte e tanti progressi mi sembra che, sotto certi aspetti, sia più brutale e più crudele di mille anni fa. A volte mi sento confuso, disorientato, smarrito e la realtà mi spaventa. Mi sento insicuro ed incerto in un mondo che non sembra dare tante certezze. Non sai dove inizia la verità e dove finisce la menzogna. In tutto questo, la televisione e i giornali danno l’impressione di non fare niente o comunque poco per stabilire la verità e la chiarezza delle cose. Sembra che nessuno voglia più salvare il mondo… Io», conclusi, «voglio parlare di  tante cose. So che da te potrò avere le risposte a tutti i miei dubbi, e perciò non ti mollerò: ti voglio tutto per me!».

Mio padre mi osservò attentamente. Aveva ascoltato con interesse le parole che gli avevo appena dette e, attraverso il suo volto sereno, potevo capire che era contento. Era contento che finalmente mi ero deciso a parlare con lui della vita, dei valori, dei sentimenti, delle passioni… Era contento che – dopo aver educato non solo alla cultura ma anche ala vita centinaia di giovani – adesso poteva educare me, cioè il figlio, proprio colui che si era sempre, orgogliosamente e stupidamente (solo ora lo capivo!) sottratto e ribellato.

Dopo avermi guardato così profondamente, con un leggero sorriso sulle labbra, alla fine disse: «Quando incominciamo?».

Per un momento rimasi stupito. Non mi aspettavo che facesse quella proposta. Dopo un po’ risposi: «Domani mattina».

«Perché domani e non oggi? Se è vero che il tempo vola e tu vuoi bruciare le tappe… Come dice il Divino Poeta? Che perder tempo a chi più sa più spiace…».

«Va bene, papà. Allora ci rivediamo dopo pranzo. Ora esco e vado in edicola a comprare un po’ d’informazione».

«Vorrai dire ‘un po’ di disinformazione’?… Va bene, va’. Intanto finisco di rileggere Proust», ribatté e subito aggiunse: «Sai cosa diceva Proust?».

«No».

«Che la letteratura è la sola vita pienamente vissuta».

«È un pensiero molto bello e profondo, su cui meditare».

«Sì, su cui meditare».

Quindi uscii e andai dal giornalaio.