Trebisacce-20/12/2019: Profilo di Gaetano Filangieri: un illuminista d’avanguardia, utopista e visionario di dimensione internazionale (di Salvatore La Moglie)
Rubrica letteraria a cura di Salvatore La Moglie
Profilo di Gaetano Filangieri: un illuminista d’avanguardia, utopista e visionario di dimensione internazionale
di Salvatore La Moglie
Presentiamo qui di seguito il profilo del filosofo e giurista Gaetano Filangieri scritto da Salvatore La Moglie ai primi di novembre del 2019 per un progetto dell’ITCG di Trebisacce caldeggiato dalla Dirigente scolastica Brunella Baratta e diretto alla rivalutazione e riscoperta di un grande intellettuale meridionale che tanta influenza ebbe nell’Età dei Lumi e nell’età delle rivoluzioni francese e americana (la Redazione de La Palestra).
Su lodevole iniziativa della Dirigente Scolastica, prof.ssa Brunella Baratta, l’ITCG di Trebisacce ha messo in atto un progetto diretto alla riscoperta e alla valorizzazione del filosofo e giurista Gaetano Filangieri, della cui intestazione l’Istituto si pregia e si sente onorato. Dopo la delineazione di un ragionato profilo diretto alla più accessibile conoscenza del grande pensatore da parte dell’utenza scolastica ma anche di quella pubblica, esterna alla scuola, costituita dai genitori dei discenti e da tutti gli altri cittadini che vorranno conoscere la straordinaria figura del Filangieri, seguirà un dialogo a due voci, tra il Filangieri e Beniamino Franklin tratto dall’appassionato carteggio che i due grandi personaggi ebbero a suo tempo (1781-1787) e in cui si discuteva dei grandi principi e dei grandi valori-ideali (primo fra tutti il diritto alla felicità) su cui bisognava fondare le moderne Costituzioni e le moderne società delle nuove realtà statuali che stavano sorgendo dopo la Rivoluzione Industriale inglese e dopo la Rivoluzione Francese che avevano dato una forte accelerazione alla Modernità e che, pertanto, erano destinate a cambiare il volto del mondo e la vita degli uomini.
PROFILO DI GAETANO FILANGIERI
Gaetano Filangieri è una figura che, dopo più di due secoli dalla sua morte, merita indubbiamente di essere riscoperta e valorizzata. Ha scritto, giustamente, Adriano Giannola, professore di Economia Bancaria all’Università Federico II di Napoli, che: «Filangieri è una figura di primo piano nell’Europa della seconda metà del Settecento: riceve a più riprese Goethe e intrattiene rapporti con il fior fiore dell’intellettualità europea. I suoi lavori vengono tradotti in molte lingue straniere (Venturi 1962). La sua opera principale, La scienza della legislazione, è una costruzione intellettuale lucidamente utopica e al contempo tecnicamente raffinata e moderna; tra l’altro, essa mette in rilievo l’interdipendenza delle leggi della politica e dell’economia, delinea un’analisi del sistema economico di impronta fortemente fisiocratica, aperta alla concorrenza e al libero scambio, e individua per l’Europa e per Napoli l’urgenza di una radicale riforma agraria».
Nato a Cercola (Napoli) il 18 agosto del 1752 da nobile famiglia (il padre principe e la madre duchessa) e spentosi per tisi a soli 36 anni l’11 luglio del 1788, il Filangieri, giovanissimo, mal sopportava la pedanteria dei suoi insegnanti (allora si diceva: precettori), tanto che i genitori dissero, rassegnati, al precettore Luca Nicola De Luca, un ecclesiastico aperto alle novità, «che poco o nulla curato si fosse di lui, poiché dimostrava sì poca inclinazione alle lettere, che altra speranza non rimanea che di consegnarlo a Marte». Il precettore, però, rimase impressionato dalla vivace intelligenza e dalle grandi potenzialità dell’allievo.
In seguito, il Filangieri fu avviato alla carriera militare ma da essa si dimise per dedicarsi completamente alle discipline giuridico-economiche. Il suo spiccato spirito riformista e soprattutto le sue aspirazioni in tal senso subirono una forte delusione quando, nel 1776, il ministro Bernardo Tanucci fu esautorato. Il disagio che il Filangieri provava negli ipocriti ambienti di corte fu tale che, in una lettera a Friedrich Münster del 1787 scrisse con amarezza: «La mia vita molto ritirata non mi garantisce del contatto degli ippocriti e de’ malvagi di professione». Non solo ma, nel 1782, in una missiva, manifestò all’amico Benjamin Franklin l’idea-volontà di lasciare Napoli per andare a vivere in Pennsylvania, a Filadelfia, l’utopistica città dei fratelli: il suo sogno è di partecipare alla creazione di quell’ordine ideale-utopistico che è alla base della sua maggiore opera La Scienza della legislazione. Il suo spirito riformista e il suo utopismo lo portava ad andare al di là della realtà effettuale (come direbbe il Machiavelli) per guardare in avanti e oltre, tanto che fu tra gli ispiratori, in Calabria, di una nuova Filadelfia sulle rovine del villaggio di Castelmonardo, che era stato distrutto nel 1783 da un terremoto. Si trattava (come ha scritto il Cuomo) di una grande avventura massonica (e, sarebbe meglio dire, illuministica) nella quale antropologia, politica e urbanistica si trovavano a convergere per realizzare, nella Magna Grecia, una città dei fratelli gemella di quella fondata da William Penn nel Nuovo Mondo.
A questo punto, occorre storicizzare, contestualizzare questo spirito riformista e utopistico del Filangieri. E qual è il contesto storico-culturale in cui vive e opera il grande giurista? Il contesto è quello dell’Illuminismo ovvero dell’Età dei Lumi o della Ragione che vide più di un cosiddetto despota illuminato (Federico II di Prussia, Caterina la Grande di Russia, Maria Teresa d’Austria) chiamare a corte i più grandi illuministi del tempo, i philosophes, presso le loro corti per farsi consigliare in merito alle riforme necessarie nell’amministrazione dello Stato moderno e nelle sue più importanti istituzioni. Lo Stato in cui visse e operò il Filangieri era il Regno di Napoli (poi Regno delle Due Sicilie) governato assolutisticamente dal re Ferdinando IV di Borbone, uno Stato in cui dilagava la corruzione, nel quale erano ancora forti i residui di feudalesimo e nel quale erano profonde le disuguaglianze socio-economiche dei sudditi e grande la separazione, la distanza tra élite al Potere e popolo, tra quello che, con linguaggio moderno, si definiscono paese legale e paese reale. Il liberaldemocratico e antischiavista Filangieri si rendeva perfettamente conto che uno Stato del genere andava profondamente riformato perché una generale riforma nei vari settori della vita politica e amministrativa era nell’interesse del popolo ma anche dello stesso sovrano, in quanto uno Stato ben amministrato secondo giustizia ed equità ha come risultato finale il buon rapporto di fiducia (la fiducia pubblica) tra governanti e governati, facendo sì che i governati si riconoscano nello Stato e nelle sue istituzioni e non si sentano, invece, estranei e indifferenti nei confronti di una realtà vissuta come ostile. Posizione, questa, assolutamente moderna come moderno era tutto il pensiero di Filangieri che è certamente da considerare uno dei padri del diritto e della legislazione moderna.
Dunque, spirito riformista, quello del Filangieri, e spirito utopisticamente illuminista. E che cos’era l’Illuminismo, del quale il Filangieri fu uno dei massimi esponenti italiani? Era un movimento culturale che aveva le sue radici filosofiche in Inghilterra, nell’empirismo di Locke e Hume e nel razionalismo francese (Cartesio) e che ebbe il suo centro di maggiore sviluppo e di irradiazione nella Francia intorno alla metà del ‘700. Si proponeva di liberare gli uomini dall’ignoranza, dalla superstizione e dall’oscurantismo attraverso i lumi della ragione. Per il filosofo tedesco Kant l’Illuminismo era l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità dovuto a se stesso per non aver usato la ragione, l’intelletto. Perciò il motto degli illuministi doveva essere: Sapere aude, cioè abbi il coraggio di usare l’intelletto, la ragione, la sola che può consentire di poter camminare con le proprie gambe e far diventare l’uomo maggiorenne. Gli illuministi, nelle loro indagini, partivano dal mistero e dall’oscurità per giungere, attraverso i lumi della ragione alla verità e a rivelarla.
L’Illuminismo era una filosofia ottimista e quindi esaltava la ragione umana, il dato concreto e positivo, la filosofia, la scienza (scientismo) e non si poneva problemi di tipo metafisico, cioè astratti; esaltava, inoltre, il progresso, la felicità, l’eguaglianza, la libertà, la fratellanza, la tolleranza; il filantropismo, cioè l’amore per il proprio simile; l’uomo e il suo essere al centro del mondo; la visione laica della vita; la diffusione del sapere, che doveva essere utile a un pubblico più vasto possibile; lo spirito critico e la ricerca della verità, per cui prevaleva lo spirito di demistificazione e dissacrazione, di smascheramento e denuncia. Gli illuministi riprendevano il discorso iniziato dagli intellettuali del Rinascimento e della Rivoluzione Scientifica (tra 1500 e 1600) basato sul dato concreto, sull’esperienza e il metodo induttivo. Le loro idee saranno contestate dai romantici in nome dei diritti della fantasia, dell’immaginazione, del sogno, dei sentimenti ecc. e saranno, invece, riprese e sviluppate dai positivisti a partire dalla metà dell’800.
In campo culturale prevaleva la volontà di divulgare, diffondere il sapere e quindi si trattava di una concezione democratica ed egualitaria della cultura. Altri caratteri della cultura e dell’intellettuale illuminista furono l’enciclopedismo, l’eclettismo e anche il relativismo culturale, per cui si guardava con tolleranza e rispetto a chi la pensava diversamente.
Con l’Illuminismo si affermò un tipo di cultura militante. Pertanto, in merito al ruolo dell’intellettuale, si tendeva a sottolineare il carattere impegnato dei philosophes cioè l’impegno politico, sociale, civile. Per l’Illuminismo la ragione era facoltà naturale presente in ogni uomo, nel dotto e nell’ignorante, nel bambino come nel selvaggio. Di qui la concezione democratica ed egualitaria del sapere. La pubblicazione della grandiosa Enciclopedia, diretta da Diderot e d’Alembert, fu funzionale a questa complessa visione del mondo e della cultura e proprio per la divulgazione del nuovo e rivoluzionario sapere. Infatti, la letteratura era concepita non come accademica ma come strumento di propaganda, di lotta e di liberazione al servizio della libertà, della verità, della giustizia e del progresso. Non mezzo di evasione dalla realtà, dunque, ma qualcosa di attivo, calato nel reale, nella vita di tutti i giorni; una letteratura svincolata dai valori obsoleti della mentalità aristocratica e capace di interpretare invece i nuovi ideali e valori della borghesia in rapida ascesa.
Nasceva, si affermava allora la satira di costume: castigat ridendo mores. Il teatro satirico si proponeva di correggere i costumi deridendoli (Jean de Santeuil). Non va dimenticato che fu nei decenni in cui dominarono le idee illuministiche che nascevano, in Inghilterra per prima, il romanzo moderno, il giornalismo e i primi giornali e, quindi, quella chiamiamo opinione pubblica.
In economia prevalse il liberismo (dottrina della libera iniziativa privata, della libera circolazione di merci, della limitazione dell’intervento dello Stato nella direzione economica, basata sul laissez-faire, laissez passer, si dirà, poi, nell’800) e la fisiocrazia (dottrina liberista che faceva consistere la ricchezza di un paese nell’agricoltura, nella terra, nella natura). In politica, invece, si facevano strada le idee liberali e democratiche (il liberalismo e la democrazia che si affermeranno nell’800).
L’Illuminismo fu l’unico movimento culturale e filosofico che, dopo lo Stoicismo greco, fece del tema della felicità uno dei suoi punti fondamentali, tanto che Denis Diderot affermava che: Non vi è che un solo dovere: quello di essere felici. E il Filangieri affermò, con forza, dal canto suo, il diritto alla felicità per gli esseri umani. L’Illuminismo, come lo Stoicismo, era per il cosmopolitismo, cioè concepiva il mondo come patria degli uomini e l’uomo doveva sentirsi cittadino del mondo, la sua unica e vera patria e il Filangieri si sentiva cittadino del mondo e concepiva il mondo come la vera patria degli uomini.
Si afferma che l’Illuminismo fu antistoricista: gli illuministi pensavano che il passato, la Storia che c’era stata fino a quel momento bisognava, diciamo così, azzerarla, bisognava fare tabula rasa e ripartire daccapo perché era solo allora che sarebbe iniziata la Nuova Storia. È in questo senso che possono essere definiti antistoricisti, perché se è vero che la Storia è progresso, svolgimento, continuo divenire allora essi non furono contro la storia: volevano solo che iniziasse un nuovo grande capitolo della Storia dell’umanità, con un homo novus che avrebbe operato in base ai valori e agli ideali illuministici che, a ben vedere, sono anche dei sentimenti. Per questo non è giusta l’affermazione più volte ribadita secondo cui l’Illuminismo sacrificò i sentimenti al realismo materialista e anche ateo (si pensi, per es., ad Holbach). Se la felicità, il benessere degli uomini era uno dei cardini del pensiero degli illuministi come si fa a negare che esso, oltre ad essere un ideale, è anche un sentimento? La stessa cosa si potrebbe dire per il forte senso della libertà dell’individuo che avevano i philosophes: la libertà è un valore, un ideale ma è anche un sentimento, un sentire. Lo stesso vale per grandi valori-ideali come fratellanza, tolleranza, uguaglianza (termine carissimo al Filangieri) e filantropismo, l’amore per gli esseri umani. Del resto, a sostegno, potremmo far notare come uno dei più grandi illuministi, Jean-Jacques Rousseau fu anche uno dei più grandi pensatori preromantici, cioè di quelli che esaltavano i sentimenti da opporre alla imperante ragione illuminista.
Molte delle idee dell’Illuminismo saranno alla base della Rivoluzione Francese del 1789, destinata a cambiare il volto dell’umanità insieme alla Rivoluzione Industriale inglese e a far deflagrare la Modernità, con tutte le conseguenze che poi ci saranno nel bene e nel male.
Un’ultima annotazione. L’Illuminismo italiano fu essenzialmente milanese (i fratelli Pietro e Alessandro Verri, Cesare Beccaria per citare i più famosi) e napoletano. A Napoli i più importanti furono Antonio Genovesi, Ferdinando Galiani e, appunto, Gaetano Filangieri. Altri saranno quelli che pagheranno anche con la vita per aver aderito al sogno-utopia di una rivoluzione alla francese per la creazione di una Repubblica Napoletana basata sui principi dell’Illuminismo e di quelli esposti dal Filangieri, come, per es., Mario Pagano.
E, dunque, lo straordinario Filangieri ebbe durante tutta la sua breve vita pochi ma essenziali, fondamentali punti, ovvero principi, valori, ideali che non sono altro che sentimenti irrinunciabili, quelli per i quali si può e si deve anche morire per vederli realizzati: la felicità, l’uguaglianza, la fratellanza, la libertà e la giustizia che può derivare da un sistema e da un’organizzazione statuale fondata su quei principi. Il Filangieri ne era profondamente convinto e lo scrisse e ribadì con forza nelle sue opere: Riflessioni politiche su l’ultima legge del sovrano, che riguarda la riforma dell’amministrazione della Giustizia, Morale de’ legislatori e, soprattutto, nel suo capolavoro cioè La scienza della legislazione. Con quest’opera il Filangieri ebbe un’enorme influenza sulle idee dei rivoluzionari francesi del 1789, soprattutto in merito ai principi della Costituzione che poi scriveranno e consegneranno alla Storia e, prima di loro, sui rivoluzionari americani che avranno presenti il suo pensiero quando andranno a vergare gli articoli della loro Costituzione, la quale (ed è cosa, questa, che non tutti sanno) è stata la prima di carattere illuminista. La prima Costituzione basata sui principi dell’Illuminismo non fu quella francese, come spesso si è creduto e si crede, ma quella americana. E non è un caso che gli illuministici avanzati pensieri del Filangieri furono fatti propri dai padri della patria americana, primo fra tutti Beniamino Franklin con il quale il Nostro ebbe un importante e appassionato carteggio. Si dice che l’ultima missiva dell’amico americano era accompagnata da una copia della Costituzione degli Stati Uniti, ma il Filangieri non ebbe la fortuna di vederla con dentro i suoi utopistici pensieri perché era appena venuto meno e, dunque, a Franklin rispose la vedova.
Essendo vicino alla Massoneria, al Filangieri fu dedicata, dopo la sua morte, una messa massonica dalle logge napoletane di rito inglese. Nel 1799, il 1° giugno, verso la fine della generosa Repubblica Napoletana, alla memoria del Filangieri venne dedicata una solenne messa nella Sala di Istruzione, ma questo episodio sarà pagato caro dalla sua famiglia. Infatti, le autorità borboniche la costrinsero all’esilio in Francia. Qui, nell’ottobre del 1800, i figli e la vedova furono adottati dalla Repubblica e Napoleone Bonaparte, primo console, rese omaggio al Filangieri definendolo «ce jeune homme, notre maître à tous», maestro di tutti noi. Una frase che ci fa capire quanto, già allora, il Filangieri – «ape operosa» come lo definì l’abate camaldolese Isidoro Bianchi – fosse stimato e rispettato nella Francia illuminista e rivoluzionaria.
La Scienza della legislazione
La Scienza della legislazione, pubblicata per la prima volta in due tomi nel 1780, era nata, illuministicamente, come un’opera che intendeva essere d’ausilio all’attività del ministro–filosofo Bernardo Tanucci, uomo aperto alle novità e alle riforme, e per il Filangieri la sua opera doveva essere, in sostanza, «la filosofia in soccorso de’ governi»: il pensatore della scienza giuridico-economica si poneva generosamente al servizio del potere politico del regno dei Borbone per il nobile fine di svecchiarlo, riformarlo nell’amministrazione e nelle istituzioni più importanti per uno Stato moderno per poterlo rendere, in tal modo, più funzionale e soprattutto più giusto per gli amministrati, cioè per i sudditi che, per il Nostro, sono dei cittadini che hanno, illuministicamente, diritto alla felicità e all’uguaglianza.
Abbiamo già detto che il Filangieri era un illuminista d’avanguardia e che il suo spirito riformatore era tipico dell’Illuminismo. E, come tutti i più grandi illuministi, era un sognatore, un visionario, un utopista che, pur operando in uno Stato assolutista come quello del Regno di Napoli, riuscì a guardare oltre e a proiettare il suo sguardo verso il futuro, verso i decenni e i secoli a venire. Egli aderì alla massoneria di rito inglese ed ebbe il ruolo di Gran maestro e questo gli consentì di entrare in una notevole rete di relazioni in Europa e nel Nuovo Mondo. Importante fu la relazione epistolare con Beniamino Franklin, il quale ricevette, a più riprese, l’opera del suo amico tramite Luigi Pio, segretario dell’ambasciata del Regno di Napoli in Francia. Franklin considerava il lavoro del Filangieri una vera e propria ricchezza, un testo-base a cui ispirarsi sia per la stesura della legislazione criminale in Pennsylvania sia per quella più importante che riguardava l’elaborazione dei principi fondamentali della Costituzione federale degli Stati Uniti d’America, la quale – come si è rilevato – fu la prima della storia a fondarsi sui grandi valori e ideali dell’Illuminismo.
Il capolavoro del Filangieri, essendo troppo in anticipo con i tempi, fu avversato dagli ambienti più retrivi e conservatori del Regno di Napoli (feudatari, nobili ed ecclesiastici) e fu condannata nel 1784 dalla Congregazione dell’Indice come un libro da proibire. Fu, però, apprezzata all’estero e in Italia dalla cultura illuministica più lungimirante e militante come lo era il nostro autore. Infatti, ottenne testimonianze di grande apprezzamento da parte di autorevoli contemporanei come il già citato Bianchi e Pietro Verri che scrisse di aver «sentito la voce di Ercole nelle pagine della Scienza della legislazione». In Europa l’opera guadagnò l’encomio della Società economica di Berna (che era un noto centro di cultura fisiocratica) e fu tradotta in tedesco nel 1784, in francese nel 1786, in spagnolo e, in versione parziale, anche in russo e svedese.
Per renderci conto della modernità e dell’assoluta novità del progetto filangieriano per l’oggi e per il domani e per ogni Stato, vediamo cosa scriveva nell’Introduzione al libro I della sua opera: «Quali sono i soli oggetti che hanno fino a questi ultimi tempi occupato i sovrani di Europa? Un arsenale formidabile, un’artiglieria numerosa, una truppa ben agguerrita, […] calcoli […] diretti […] alla soluzione di un solo problema: trovar la maniera di uccidere più uomini nel minor tempo possibile […]. È più di mezzo secolo che la filosofia declama contro questa mania militare […]. La scena si è mutata […], le buone leggi sono l’unico sostegno della felicità nazionale […]. Il popolo non è più schiavo, ed i nobili non ne sono più i tiranni […]. Per questo fine la filosofia è venuta in soccorso dei governi […]. Tutto è mutato. […] L’Europa […] per undici secoli il teatro della guerra e della discordia […] oggi è divenuta la sede della tranquillità e della ragione […] ma niuno ci ha dato ancora un sistema compiuto e ragionato di legislazione, niuno ha ancora ridotta questa materia ad una scienza, unendo i mezzi alle regole, e la teoria alla pratica. Questo è quello che io intraprendo di fare in quest’opera, che ha per titolo La Scienza della Legislazione».
Basta con gli arsenali di guerra, sembra dire il Filangieri, basta con il pensare soltanto alla reciproca distruzione da parte degli Stati attraverso il perfezionamento degli strumenti di morte: nell’epoca dei Lumi e della Ragione la Filosofia cessa di essere qualcosa di astratto e, in opposizione all’ideologia della morte e della forza militare che tutto annienta, si mette al servizio delle nazioni, dei governi e dei popoli per la loro felicità, perché essi non siano più schiavi ma liberi. Oggi, però, l’Europa vuol essere un luogo di serenità e di razionalità e non più di irragionevole guerra e discordia tra i popoli. Per questa nuova Europa che vuole la felicità e il benessere dei suoi popoli occorre, pertanto, un nuovo razionale e ben definito sistema di legislazione, una vera e propria scienza giuridica ben fondata in cui forte sia il nesso tra mezzi, regole e teoria e pratica. Ed è questo grandioso sistema che finora è mancato che io intendo realizzare con la mia opera…
Sembra incredibile ma nelle parole appassionate del Filangieri a noi pare che sia racchiusa la visione di un’Europa dei popoli che sarà quella che i padri dell’Europa del Novecento hanno sognato nel Secondo Dopoguerra. Quindi, con due secoli di anticipo, il Filangieri sognava un’Europa in cui i popoli fossero governati da leggi razionali fondate sui principi liberaldemocratici diretti al benessere, alla felicità e all’uguaglianza sociale. Il suo progetto si articolava in sette libri: Regole generali, Leggi politiche ed economiche, Leggi criminali, Educazione, costumi e istruzione pubblica, Religione, Proprietà, Patria potestà e buon ordine delle famiglie. Il tutto svolto su base scientifica e su principi che rappresentano «la base dell’edificio che si vuole innalzare», ovvero il principio di conservazione e di tranquillità: «questo è il primo dato e questo e non altro è l’oggetto unico ed universale della scienza della legislazione» (libro I, 1780, Piano ragionato dell’opera. Libro I). Perché, secondo il Filangieri, uno Stato che si regge su buone leggi dirette ad accrescere la felicità dei governati finisce per ottenere il duplice obiettivo del consenso del popolo e della continuità del potere statuale nella tranquilla e nella sana conservazione, evitando, in tal modo, possibili scosse, ovvero possibili sommosse popolari e sconvolgimenti sociali e politici. Dunque, Filangieri ricercava e fissava i principi universali, validi per tutti e ovunque, e, nello stesso tempo, capiva che ogni situazione, ogni contesto statuale è a sé, per cui ci può essere la bontà relativa di una legge: «distinguere la bontà assoluta […] dalla bontà relativa» imponeva una regola fondamentale ovvero quella di distinguere «l’armonia che deve avere la legge co’ principi della natura, dal rapporto che essa deve avere con lo stato della nazione alla quale si emana […] sviluppando i principii più generali che deve avere ogni legge» (libro I, 1780, Piano ragionato dell’opera. Libro I).
Secondo il Filangieri il progresso del sistema delle leggi e, quindi, di un’efficace legislazione, avrebbe portato all’incremento della felicità della nazione e dei singoli individui, obiettivo che doveva essere il fine principale dei governi fondati sulla giustizia sociale. E per realizzare tutto questo il Filangieri comprendeva bene che occorreva che i governi si liberassero definitivamente da ogni residuo di feudalesimo e che si aprissero alle novità e alle riforme. La generosità e l’egualitarismo filangieriani erano certamente originali e disdegnavano il modello inglese del diritto alla proprietà (che per lui era sinonimo di egoismo) e, pertanto, la sua proposta – altamente etica – del diritto alla felicità spiccherà nella Dichiarazione di indipendenza americana del 1776 insieme agli altri grandi principi-ideali di libertà, uguaglianza e fratellanza.
Per Filangieri le leggi della politica erano strettamente legate a quelle dell’economia e i loro oggetti principali erano la popolazione e le ricchezze che, se ben ridistribuite da chi governa, finiscono per realizzare la felicità nazionale. Egli sottolineava che «tutto è inutile per incoraggiare la popolazione quando non si tolgono gli ostacoli» per una sua adeguata crescita che deve essere accompagnata da una «equabile», cioè equa, distribuzione delle risorse (libro II, 1780, cap. XXXV).
Insomma, il Filangieri, dall’interno della sua classe, quella aristocratica, fece una coraggiosa e corrosiva analisi del sistema socio-economico del Regno di Napoli che solo liberandosi dal feudalesimo, dai privilegi dei nobili e degli ecclesiastici e dall’arretratezza che ne conseguivano avrebbe potuto diventare un vero Stato moderno aperto alle novità che si stavano facendo strada con la Rivoluzione Industriale inglese che stava smantellando ogni residuo, ogni scoria di feudalesimo. Al Regno di Napoli, però, mancava una classe borghese come quella inglese e di questo certamente si avvide il Filangieri il quale, tuttavia, cercò, disperatamente, di smuovere le menti più aperte alle novità con la sua straordinaria opera nella quale al centro della riflessione c’era il sistema statuale, politico-economico da riformare radicalmente se si voleva uscire dal feudalesimo, dal mercantilismo che aveva dominato per più di due secoli e aprirsi alle nuove dottrine liberiste basate sulla libera concorrenza e il libero scambio delle merci, alla fisiocrazia che imponeva una coraggiosa riforma agraria che avrebbe dovuto far aumentare i proprietari e farla finita con l’infruttuosa grande proprietà fondiaria e latifondista.
«Individuati gli ostacoli, è compito della legislazione trovare i mezzi per superarli e far fiorire, insieme all’agricoltura, l’industria, il commercio, il lusso, le arti […] divenuti i più fermi appoggi della prosperità dei popoli. […] Da che le ricchezze non corrompono più i popoli, poiché esse non sono più il frutto della conquista, ma il premio di un lavoro assiduo, […] le ricchezze, e i canali che le trasportano, sono con ragione divenuti il primo oggetto della legislazione: […] bisogna ben ripartirle, equabilmente diffonderle», (libro I, 1780, Piano ragionato dell’opera. Libro II). Così scriveva il visionario e utopista Filangieri che aspirava generosamente a una «libera filantropia in libero mercato» sempre, ossessionato, dal tema della felicità dei singoli individui e di quella della nazione che rende uno Stato degno di questo nome.
Si potrebbe continuare ancora e per molte pagine ma l’economia di questo lavoro non lo consente. Preferiamo concludere con un pensiero del nostro autore che sembra racchiudere perfettamente tutto il suo spirito illuministico, riformatore, utopistico e visionario che fa di lui uno dei più grandi pensatori di tutti i tempi: «Finché i mali che opprimono l’umanità non saranno guariti; finché gli errori ed i pregiudizi che li perpetuano troveranno de’ partigiani; finché la verità conosciuta da pochi uomini privilegiati sarà nascosta alla più gran parte del genere umano; finché apparirà lontana dai troni; il dovere del filosofo è di predicarla, di sostenerla, di promuoverla, d’illustrarla. Se i lumi che egli sparge, non sono utili per il suo secolo e per la sua patria, lo saranno sicuramente per un altro secolo e per un altro paese. Cittadino di tutti i luoghi, contemporaneo di tutte le età, l’universo è la sua patria, la terra è la sua scuola, i suoi contemporanei ed i suoi posteri sono i suoi discepoli», (La scienza della legislazione, libro II, 1780, cap. XXXVIII).
“DIALOGO” TRA FILANGIERI E FRANKLIN
2 Dicembre 1782: Filangieri esprime a Franklin la sua situazione e gli rivela il suo “sogno americano”: il sogno di lasciare il Regno di Napoli e di andare a vivere, un giorno, a Filadelfia e, soprattutto, quello di essere tra gli autori della Costituzione degli Stati Uniti d’America:
Io sono un cadetto della mia famiglia, il lustro della quale è molto maggiore delle sue ricchezze. Il barbaro sistema de’ maggiorati, e de’ feudi fa, che io sia anche più povero di quello che lo è la mia famiglia. La mia situazione nella corte è molto onorevole, ma poco analoga al mio carattere. La presenza d’un re, ed il contatto de’ cortigiani m’imbarazza, e mi tormenta. Io non so procurarmi i favori del primo, e disprezzo troppo gli altri per rendermeli o amici, o indifferenti. Voi non dovrete stentar molto a persuadervi, che io non sono sicuramente nel mio centro, e che tutti i miei voti son diretti a ritrovare una situazione più analoga al mio carattere, e più tranquilla. Fin dall’infanzia, Filadelfia ha richiamati i miei sguardi. Io mi sono così abituato a considerarla come il solo paese ove io possa esser felice, che la mia immaginazione non può più disfarsi di questa idea. Una recente causa anche fortissima si unisce alle antiche, per farmela desiderare con maggiore impazienza. Una dama, che io amo fino all’eccesso, e dalla quale sono ugualmente amato; una dama, le virtù della quale la farebbero distinguere nella Pensilvania istessa, ha risoluto di sposarmi. L’unico ostacolo è la mia povertà.
Io non potrei vivere con lei nel mio paese senza espormi alle derisioni che l’opulenza suol fare così spesso cadere sulla miseria. Una pensione di 3600 lire tornesi che il re mi ha accordata, unita alle 2000 che formano il mio livello, basteranno, io spero, per farci menare in Filadelfia una vita ugualmente lontana dal fasto, che dall’indigenza. Ma come abbandonare il proprio paese, senza un motivo ragionevole d’addurre? Caro, e rispettabile Franklin, chi più di Voi potrebbe facilitarmi quest’impresa! I miei lavori sulla legislazione non potrebbero forse determinarvi di invitarmi per concorrere al gran codice, che si prepara nelle Provincie Unite d’America, le leggi delle quali devono decidere della loro sorte non solo, ma della sorte anche di tutto questo nuovo emisfero? Qual motivo potrei io addurre più ragionevole di questo per giustificare la mia partenza? Giunto che sarei in America, chi potrebbe più ricondurmi in Europa! Dall’asilo della virtù, dalla patria degli eroi, dalla città dei fratelli potrei io desiderare il ritorno in un paese corrotto dal vizio e degradato dalla servitù? La mia anima abituata alle delizie d’una libertà nascente, potrebbe adattarsi più allo spettacolo d’una autorità onnipotente depositata nelle mani di un solo uomo? Dopo aver conosciuta ed apprezzata la società dei cittadini, potrei io desiderare il consorzio de’ cortigiani e degli schiavi? Toglierete da una corte uno schiavo inutile per farne un cittadino virtuoso… Gaetano Filangieri
Franklin a Filangieri:
Con riferimento al vostro progetto di trasferirvi in America, sebbene sia sicuro che una persona di grande sapienza, di giusti sentimenti e di utili talenti come voi sarebbe un acquisto di gran valore per il nostro paese, non posso incoraggiarvi ad intraprendere con fretta un tale viaggio, poiché per un uomo l’espatrio è un affare molto serio, e dovrebbe essere preso molto bene in considerazione, specialmente quando la distanza è così grande e il costo di un trasferimento familiare con un eventuale ritorno nel caso di un mancato adattamento nel nuovo paese sarebbe pesante.
Non ho nessun ordine o autorità di nessun tipo per favorire l’ingresso di stranieri con aspettative di impiego dal nostro governo, né il potere di esserlo a qualsiasi costo per trasportarli qui, sebbene il nostro paese sia aperto a tutti, un paese dove gli stranieri possono stabilirsi e presto diventare cittadini rispettati in base alla loro condotta. Gli uomini lo sanno perché sentono i disagi della loro situazione attuale, ma se dovessero cambiare condizione, non saprebbero i nuovi problemi che potrebbero affrontare. Benjamin Franklin.
Filangieri a Franklin, Napoli 24 agosto 1782
Dopo molti mesi, finalmente, ho ricevuto il vostro dono che io considero uno dei più grandi premi che abbia ottenuto dai miei lavori. Per mostrarvi la mia riconoscenza, ho spedito al Sig. Pio segretario dell’Ambasciata della Corte di Napoli, alcune copie della mia opera con l’incarico di consegnarvene una e di pregarvi di accettarne altre per i vostri amici più cari. Sono quasi alla fine del terzo libro sulle leggi criminali che consisterà di due volumi: uno sul sistema della procedura e l’altro sul codice penale. La novità delle mie idee sull’uno e l’altro oggetto mi spaventa. In un secolo nel quale si è scritto e pensato tanto sopra tutto ciò che riguarda la pubblica prosperità, nelle opere relative a questi oggetti l’originalità è molto facile che sia unita alla stranezza. Questa riflessione mi turba e qualche volta mi opprime. Per superarla io non faccio altro che dire a me stesso: “Se tu avessi ripetuto le idee degli altri, quale beneficio avrebbe potuto l’umanità ottenere dalle tue produzioni? Se le tue idee sono strane, saranno rifiutate, ed in questo caso nessun male ne risentiranno gli uomini; ma se, essendo nuove sono ragionevoli, applicabili, opportune, se potranno diminuire i mali d’un solo popolo, se potranno prevenire una sola ingiustizia, non dovrai tu forse applaudirti d’averle manifestate; non dovresti forse pentirti d’averle nascoste per un sentimento vile d’incertezza, e di timore di vederle”.
Sono quasi al termine dell’opera e ho l’onore di comunicarvi che sarete la prima persona a giudicarla. Quando avrò il vostro giudizio su questa parte della mia opera, io vi farò un progetto sulla mia persona. Voi solo potete fare la mia felicità, e potete rendermi uno strumento utile ai miei simili. Permettetemi, che vi nasconda un arcano, che mi riserbo di palesarvi, quando avrò da voi ottenuta la promessa di non comunicarlo a persona alcuna. Vi bacio la mano con quell’ossequio, che m’ispirano i vostri talenti, e le vostre virtù, e mi dico Vostro devotissimo servitor vero il cavaliere Gaetano Filangieri
Franklin a Filangieri
La lettera che ho avuto onore di ricevere lo scorso Agosto, mi è pervenuta quando ero malato, affetto da due gravi malattie che mi hanno isolato per tre mesi e che mi hanno costretto a rinviare molta della mia corrispondenza. Ieri ho ricevuto una seconda lettera da parte vostra e ora senza ulteriore ritardo mi siederò e risponderò ad entrambe. Ho letto con molta cura i due primi volumi del vostro eccellente lavoro che mi ha consegnato il Sig. Pio. Essi hanno ricevuto anche una grande stima da alcune persone sagge a cui li avevo prestati. Sarei stato contento di ricevere un’altra copia per uno di questi amici che era molto desideroso di leggere ma suppongo che quelle menzionate da voi e spedite al signor Pio non siano arrivate. Mi ha fatto piacere conoscere che state elaborando le leggi criminali. Sono quelle che hanno più bisogno di riforme perché sono in grande disordine, e tanta ingiustizia è stata commessa nelle applicarle che sono stato incline ad immaginare che esisterebbe molto meno giustizia al mondo se non ci fossero tali leggi, e la punizione di tali ferite sarebbe stata lasciata al risentimento privato. Sono contento anche del fatto che non siete rimasto deluso dalle obiezioni e dalle apprensioni , e che presto potremo avere la soddisfazione di vedere realizzati i due volumi su questo argomento che voi avete in stampa.
Con riferimento al vostro progetto di venire in America, voi sareste un acquisto di gran valore per il nostro paese, ma non posso incoraggiarvi ad intraprendere con fretta un tale viaggio, poiché per un uomo l’espatrio è un affare molto serio, e dovrebbe essere preso molto bene in considerazione, specialmente quando la distanza è così grande, e il costo sarebbe pesante.
Non ho nessuna autorità o ordine per favorire l’ingresso di stranieri con aspettative di impiego dal nostro governo, né il potere di esserlo a qualsiasi costo, sebbene il nostro paese sia aperto a tutti, un paese dove e gli stranieri possono stabilirsi e presto diventare cittadini rispettati in base alla loro condotta. Gli uomini lo sanno perché sentono i disagi della loro situazione attuale, ma se dovessero cambiare condizione, non saprebbero i nuovi problemi che potrebbero incontrare.
Vi auguro di poter vedere e visitare la mia patria da soli prima di condurvi la vostra sposa a cui vi unirete in matrimonio. Avrete così la possibilità di crearvi un vostro giudizio su quanto possa essere vantaggioso un trasferimento qui in questa terra. L’Inghilterra ha acquisito la nostra indipendenza e la sovranità del nostro governo. Molti stati europei, pensando ad uno scambio commerciale fruttuoso, stanno preparando ad inviare dei ministri. E possibile stabilire anche uno scambio commerciale vantaggioso tra I regni di Napoli e l’America. La vostra corte sarà certamente di questa opinione e penserà di inviare qualcuno a visitare i nostri stati e prendere informazioni sulle nostre produzioni, le nostre necessità e la natura del nostro commercio, e voi sareste la persona più adatta pere una tale missione. Vi riserverei tutta l’assistenza possibile nel mio potere verso questa esecuzione e con ciò il vostro viaggio non solo non sarà a vostre spese ma vi porterà del profitto. Con grande e sincera stima ho l’onore di essere il vostro obbediente e umile servitore.
Benjamin Franklin.
Filangieri a Franklin, 14 luglio 1784
Signore,
Per non mancare alla promessa, che vi ho fatto, vi mando per posta il terzo volume della mia Opera, e da qui a pochi giorni vi manderò il quarto. Vi prego di non giudicare dell’uno senza aver letto l’altro. Tutti e due questi volumi contengono il terzo libro della mia Opera, che ha per oggetto la parte criminale della scienza legislativa. Non attribuite ad una vana pompa d’erudizione l’uso, e l’esame, che io fo delle antiche e moderne legislazioni. Io ho creduto necessario di premettere l’esposizione di quel che si è fatto all’esame di quel che si dovrebbe fare. La lettura di questa parte dell’opera, vi mostrerà i motivi, che mi hanno indotto a serbar questo metodo. Non voglio trascurare di parteciparvi il mio ritiro in una solitaria Campagna, dove le mie letterarie produzioni saranno accelerate dalla tranquillità, e dal silenzio. Da qui a sei giorni io sposerò Md.lle Frendel, che da se sola basterà a riempiere quel vuoto, che la lontananza dagli amici, dei parenti, e della società intera potrebbe lasciare nel mio spirito. La sola situazione, che potrebbe allontanarmi da questa solitudine sarebbe il Ministero dell’ America, che Voi mi proponeste. Quando sentirò, che la mia Corte ha risoluto di mandare un Ministro alle Provincie Unite Americane, non lascerò di dar quei passi, che convengono per esserne incaricato. Il mio maggior piacere in questa destinazione sarebbe quello di potervi manifestare a viva voce quei sentimenti di venerazione, e rispetto, coi quali passo a dirmi Napoli 14 di Luglio del 1784,
Vostro devot.mo ed Ob.mo Servitore
Gaetano Filangieri
Filangieri a Franklin, 27 Ottobre 1783
Signore,
Mentre adempio al mio dovere ringraziandola dell’onore, che mi ha recato coll’inviarmi il Codice delle costituzioni Americane, degna del paese, dei tempi, delle circostanze, e degli uomini, che ne sono stati gli autori, in questo momento stesso io gli ricordo il mio rispetto, e la mia venerazione col sottoporre al suo giudizio il quarto volume della mia Opera, nel quale si contiene la seconda parte delle leggi criminali. Leggendolo potrà vedere, che non ho risparmiata diligenza alcuna, né fatica. Ho voluto avere sotto gli occhi le legislazioni di tutti i popoli, e di tutti i tempi. Non ho voluto privarmi dei soccorsi, che 1’esperienza offre alla ragione. Ho adottato quel che mi è parso ragionevole, ed ho contrastato senza parzialità e senza riguardi, ciò che mi è sembrato inutile, o pernicioso. Il mio sistema sulla procedura richiedeva il nuovo sistema, che io propongo sul codice penale. L’uno non poteva reggere senza il soccorso dell’altro. Spero che questo mio lavoro voglia incontrare la sua approvazione. Questo è il maggior premio che io potrei ottenere, come la mia maggior ambizione è di esser da lei considerato per quel che mi dichiaro
Suo Devot.mo ed Ob.mo Servitore
Gaetano Filangieri
Filangieri a Franklin, 21 Marzo 1784
Illustrissimo signore e padrone colendissimo, due sono i motivi, che mi han fatto fino a questo momento ritardare la risposta al venerato foglio di vostra signoria illustrissima in data del 2 del corrente mese. Ho dovuto scrivere in Napoli per avere il foglio, che mi ha commesso, e son passati vari giorni prima, che qui mi venisse. Quando mi venne il foglio, mi sopraggiunsero alcuni dolori colici, de’ quali conservo ancora qualche reliquia. Questi sono i motivi della ritardata risposta. Passo alle commissioni. Vostra signoria illustrissima troverà qui incluso il foglio del 3° volume segnato colla lettera V. Se mai il signor Nicola d’Andria glielo mandasse, la prego di rimandarlo in dietro, affinché non mi resti una copia intera inutile per la mancanza di un foglio. Circa le notizie, che mi chiede del fu Grimaldi, non posso dirle altro fuori di quello, che è a tutti noto. La nostra amicizia non fu mai così intrinseca dal poter essere istruito di ciò che riguardava la sua gioventù, e la sua educazione. Posso dirle soltanto, che la sua probità era a tutti nota, che egli era di quel ramo della famiglia Grimaldi il più prossimo a quello de’ Grimaldi di Monaco. Che egli era tenero sposo, e miglior padre, e che era autore delle seguenti opere. D’un Opera di Giurisprudenza sulle successioni legittime, della Vita d’Ansaldo Grimaldi, della Vita di Diogene, dell’Ineguaglianza degli uomini, e degli Annali del Regno di Napoli. Quest’ultima opera è rimasta imperfetta, e non potrei dirle con precisione l’anno al quale è giunta. Non è a mia notizia alcun manoscritto inedito. Son già tre anni, che egli fu scelto per assessore del ministro della guerra, ed il pubblico è mostrato molto contento della sua onestà, e del suo zelo nell’ esercizio di questa carica. Siccome il momento nel quale egli ne fu decorato fu quello stesso o nel quale io lasciai di frequentarlo, così non posso darle alcuna notizia anecdota sulla sua amministrazione. Potrà vostra signoria illustrissima prendere più distinte informazioni da altri. Non mi è riuscito neppure di vedere il segretario del Re di Svezia, del quale vostra signoria illustrissima mi parlò con tanto vantaggio nella prima sua lettera. Dirigendolo al confessore della regina, non lo diresse sicuramente al maggiore mio amico, e protettore. Potrà fargli le mie scuse nel suo ritorno in Firenze. Mi onori de’ suoi venerati comandi, e mi consideri per quel che mi dichiaro, di vostra signoria illustrissima, Dalla Cava 21 Marzo 1784
Devotissimo obbligatissimo servitore ed amico vero,
Gaetano Filangieri
Filangieri a Franklin, 21 Aprile 1784
Signore,
la pubblicazione di tre altri volumi della mia Opera mi offre una nuova occasione da manifestarvi il mio rispetto, e la mia dovuta attenzione. Il vostro sì glorioso ritorno in America, e l’immensa distanza, che ci separa, ben lungi dall’esimermi da questo dovere, non fanno che renderlo più meritevole per gli ostacoli, e le difficoltà, che si debbono superare per adempierlo. Io non vi mando, per ora, che una sola copia di questi tre volumi, giacché non so, né ho potuto sapere il numero di questi esemplari e darmi la direzione della persona, alla quale dovrei dirigere la spedizione in Francia, per ottener subito il corrispondente numero degli esemplari di questi tre volumi recentemente pubblicati. Questi tre volumi contengono il quarto libro dell’ opera, che ha per oggetto le leggi, che riguardano 1’educazione, i costumi, e l’istruzione pubblica. Le mie idee a questi oggetti relative sono sicuramente nuove; ma sono esse sensate? Ecco ciò, che si appartiene a Voi più, che ad ogni altro di decidere. Godete, Signore, degli allori, che i vostri talenti, e le vostre virtù vi han fatto meritare. Un solo popolo immenso, che benedice il vostro nome, e` il solo premio che possa corrispondere all’autore della sua libertà, al vendicatore de’ suoi torti. Faccia Iddio, che i vostri anni si moltiplichino a seconda de’ voti, e degli interessi di questo popolo, e che la vostra vecchiezza non v’impedisca di rassodare, di perfezionare, e d’eternare colla sapienza delle leggi l’opera del risentimento, e del valore.
Ho 1’onore di dirmi Signore
Devot.mo Ob.mo Servitor Vero
Gaetano Filangieri
L’ultima lettera, datata 14 ottobre del 1787, fu inviata da Franklin alcuni giorni dopo la proclamazione della Costituzione Americana. Filangieri la ricevette poco prima della sua morte, avvenuta a Vico Equense il 21 luglio 1788. A rispondere a Franklin è la vedova Charlotte Frendel:
Franklin a Filangieri, 14 Ottobre 1787
Filadelfia 14 ottobre 1787.
Caro Signore,
pensando che potrebbe essere per voi oggetto di curiosità sapere cosa succede in questa parte del mondo riguardo la Legislazione, vi mando in allegato una Copia della nuova Costituzione federale proposta da una Convenzione di stati. Siamo così lontani che è difficile mantenere una corrispondenza regolare tra di noi ed è passato molto tempo da quando ho avuto il piacere di avere vostre notizie. Alcuni dei libri che mi avete inviato non mi sono pervenuti e ciò che vi chiedo è di avere nove copie del volume 3, e otto copie dei volumi 4,5,6,7 per completare ciò che sono in mio possesso e sarei contento di ricevere otto copie se altri volumi della vostra inestimabile opera saranno pubblicati . Il Sig. Grant, il mio banchiere, pagherà la fattura dell’edizione. Con la più grande stima , ho l’onore di essere, Signore, il vostro servitore più obbediente. Benjamin Franklin Presidente dello Stato di Pennsylvania
Charlotte Frendel, vedova del Filangieri, a Franklin 27 Settembre1788
Napoli 27 Settembre 1788
Caro Signore,
attribuite questo mio lungo ritardo al mio dolore e condividete le mie giuste scuse. Il cavaliere Gaetano Filangieri, mio Sposo e mio amico non c’è più, una malattia crudele se lo è portato via il 21 luglio nel fiore della sua età e con lui tutta la mia felicità. Ha lasciato tre bambini senza altra fortuna che quella del ricordo delle sue virtù e della sua reputazione. La lettera che gli avevate inviato in data 14 ottobre 1787 gli è stata recapitata il 1 luglio, che era il primo giorno della sua malattia, e lui si sarebbe certamente affrettato a scrivervi, Signore, e ad inviarvi le copie della sua Scienza della Legislazione che gli avevate richiesto. Eseguirò io ciò che avrebbe fatto lui e voi riceverete per mezzo di quanto indicato tutto ciò che voi desiderate. Il poco che ci resta della sua opera immortale sarà stampato e sarà mio dovere inviarvela non appena sarà disponibile e a ciò invierò anche la storia della sua vita e tutto ciò che ci sarà di meglio della sua composizione su questo triste avvenimento. Vogliate gradire, Signore, le mie assicurazioni dell’alta considerazione e del sincero rispetto che vi è dovuto ad ogni titolo con cui io ho l’onore di essere, Signore, la vostra più umile e obbediente servitrice,
Charlotte Filangieri Frendel