Rocca Imperiale-04/03/2020: Quando mi sento uguale non sono felice.

Iannarelli

Quando mi sento uguale non sono felice.
I libri mi aiutano a capire ed amare l’Unicità dei “diversi” da me.
Certo esprimere un’idea della diversità è compito arduo, perchè essere diversi può significare
un’infinità di cose.
Essere diversi forse vuol significare appartenere ad una particolare specie animale o sfera sessuale,
come anche può rientrare nel concetto di razza umana o nella più semplice ideologia politica o
religiosa.
Ecco dunque, forse l’orrore in cui si ricade oggi come nel passato risiede nell’associare il termine
“diverso” al termine “minaccia”.
Siamo infinitamente piccoli e inermi dinanzi alla grandezza di quanto ci circonda, eppure siamo
capaci di alzare barriere e rinchiuderci in nicchie di pensiero e ideologie al cui interno erigiamo il
nostro stato di onnipotenza e superiorità.
A tal ragione, intendiamo il diverso come un qualcosa sul quale dominare ed imporre la nostra idea
di superiorità, sia questa, dettata dalla sfera sessuale, dal concetto di razza, dall’ideale politico o
religioso, dalla prestanza fisica che vuole l’essere fisicamente e mentalmente abile “sano”, superiore
al soggetto diversamente abile.
Siamo perciò più portati a vedere nel “diverso” un qualcosa di negativo, di inferiore e, non un
qualcosa di “Unico”, che, per quanto riguarda la logica del mio pensiero è il solo termine che può
essere associato al concetto di “Diverso”, finchè il genere umano non imparerà a riconoscersi
nell’unicità individuale e non nella uniformità delle masse.
Molto spesso, nella lettura dei libri, mi sono imbattuto in storie e personaggi, che, per accadimenti e
gesta, si sono rivelati unici ed irripetibili.
Ora, pensiamo a cosa potrebbe significare, o meglio, ha già storicamente significato, la censura
nell’ambito letterario e giornalistico, sia dettata questa, da una idea o visione politica autarchica o
anche dal più banale bigottismo religioso.
allora non posso far altro che immaginare un mondo senza lettura, come un mondo ormai prossimo
all’autoestinzione.
Ho letto tantissimi libri, sovente, penso magari all’esistenza di Leone Ginzburg raccontata ne “Il
tempo migliore della nostra vita” da Antonio Scurati.
Leone Ginzburg, uno dei più grandi Letterati, uomo di cultura di cui la nostra Nazione può vantare
l’appartenenza, eppure nella nostra Nazione quest’uomo ha conosciuto il confino, l’esilio, la censura,
il martirio dell’essere diverso, dell’appartenere ad una “razza diversa” considerata pericolosa,
inferiore e quindi condannata all’estinzione alla distruzione totale, la morte.
Durante gli anni del fascismo, più precisamente nei primi anni della seconda guerra mondiale,
Ginzburg, confinato con la famiglia in un piccolo paese dell’Appennino abruzzese, lavorava alla
correzione di bozze, eccellente traduttore, consegnava alla Einaudi una delle più belle traduzioni di
“Guerra e Pace” di Lev Tolstoj.
Negli stessi anni, gennaio del 1942, nell’Italia fascista impegnata al fianco della Germania nazista
nel conflitto armato, Goffredo Coppola, grecista dell’università di Roma, scrive sul “Popolo
d’Italia”, giornale di Mussolini, giudicando la Einaudi colpevole di pubblicare libri di autori russi,
nazione in conflitto con il nostro stato, contestando come persino il nome dell’autore non sia stato
italianizzato in “Leone Tolstoi”, evidente la conoscenza di Coppola che a tradurre l’opera fosse stato
Ginzburg, anche se ufficialmente il suo nome non appariva da nessuna parte, data la censura
imposta dal regime, per cui il nome di autori ebrei non poteva figurare sui libri.
Sempre nel gennaio del 1942, la Einaudi da alle stampe il romanzo “La strada che va in città”
dell’Autrice Alessandra Tornimparte, nome dietro il quale si cela l’identità della vera autrice, Natalia
Ginzburg, costretta a nascondersi dietro ad uno pseudonimo, perchè “diversa” perchè di razza ebrea.
Le notizie storiche che ho riportato, le ho imparate leggendo “Il tempo migliore della nostra vita” di
Antonio Scurati, come questo, esistono centinaia di migliaia di altri volumi, in ogni uno c’è
qualcosa di “diverso” da leggere, da imparare, da accettare.
Il nazismo, come il fascismo, condannarono all’estinzione gli ebrei, confinarono ed internarono
politici che avevano un pensiero diverso, omosessuali, tossici, malati di mente o fisicamente
menomati.
Oggi,sempre più, la nostra società è attratta da modelli ideologici e culturali, votati alla
denigrazione del diverso da noi, la riluttanza al confronto, di qualsivoglia natura essa sia, politica o
religiosa ecc., sta spingendo le nostre comunità a perseguire la cultura dell’isolamento di coloro che
vedono le cose in maniera diversa dal modello predominante.
Non è raro, soprattutto in politica, imbattersi in soggetti che perseguono modelli inclini con estrema
naturalezza ad avallare politiche di”isolamento” di “quarantena”nei confronti di chi pensa e vede le
cose in maniera “diversa”.
Eppure tanto grandi ed onnipotenti, oggi, citando un esempio, dinanzi ad un piccolissimo virus
quale il “covid- 19”, possiamo imparare che ogni uno di noi possiede delle qualità che lo rendono
unico, ma non diverso.
Il virus attacca l’uomo in quanto lo riconosce come unica specie, sia questo, di sesso maschile o
femminile, etero o omosessuale, di carnagione nera o bianca o gialla, di religione cattolica, buddista
o musulmana, di ideologia politica di destra, centro o sinistra, ed anche chi ha potere sugli altri
esseri non è immune dal contagio.
É bastato poco per passare da paese che chiudeva ai voli provenienti da zone di contagio, a paese
che si è visto chiudere le frontiere perchè contagiato, cosi come la storia e i libri ci insegnano che
basta poco per passare dall’esterno all’interno di un campo di concentramento, non so quanti di voi
abbiano letto “Il bambino con il pigiama a righe” di John Boyne, tutto si è consumato nell’innocenza
del gioco di due bambini.
Giuseppe Iannarelli