Trebisacce-27/08/2012: Intotolazione della Piazzetta a Giovanni Laviola ( di Andrea Petta)

 

In esecuzione di una Deliberazione di...
Andrea Petta 27 agosto 18.27.58
In esecuzione di una Deliberazione di Consiglio Comunale del gennaio 2012, si è svolta sabato sera la cerimonia di intitolazione della c.d piazzetta Lungomare a Giovanni Laviola.
Il Prof. Laviola, nato a Spezzano Albanese il 3 settembre 1915 e deceduto a Corigliano Calabro il 27 febbraio 2008, è stato per tantissimi anni Preside della Scuola media di Trebisacce.
Ma oltre ad essere stato educatore esemplare ed austero, Giovanni Laviola è stato, altresì, studioso appassionato di cultura e storia locale, uno studioso che ha dedicato la propria vita alla ricostruzione di vicende di cronaca di e di storia dell’Alto Jonio cosentino, svolgendo le sue ricerche e le sue indagini con scrupoloso e puntuale rigore scientifico, “un combattente della cultura – per dirla con le parole di Giuseppe Selvaggi – nella difficile trincea meridionale, al quale dobbiamo essere grati tutti quelli che qui torniamo a risentirci culturalmente (cioè moralmente) vivi”.
Trebisacce gli deve, in particolare, la monumentale monografia TREBISACCE. STORIA-CRONACA-CULTURA, nella quale l’autore ha ricostruito con puntiglio, con dovizia di dati ed informazioni, con un’analisi dei fatti e delle vicende particolarmente attenta e rigorosa, la storia della nostra città.
Ma al di là dell’elencazione dei suoi numerosi lavori e saggi, giovano ancora di più, secondo me, per ricordarlo, le riflessioni fatte dal dott. Antonio Raimondi in occasione di una sua visita medica al Preside…
«… Sempre sprofondato tra le sue “sudate carte”, il Professore di letteratura vive in meditazione nella sua traboccante biblioteca. La maggior parte di noi lancia ai propri libri occhi di diffidenza, lui, con i suoi, ci parla anche a tarda notte. Appartiene ad una classe d’età che ha alle spalle una storia di ideali e sacrifici. Uomini, che hanno creduto alla purità e all’onestà, cultori del valore della verità, della morale e della coscienza professionale…
Spirava da tutti i mobili, dai tappeti, dalle tende, dagli scaffali zeppi di libri quell’odore particolare delle case antiche, in cui la vita si era consumata tra studi e ricerche storiche: il respiro d’un altro tempo. Vive a tal punto di cultura e di studi,che trascura perfino i bisogni del suo corpo, compresa la sua salute. Accetta di farsi visitare da me, solo per avere l’occasione di parlarmi delle sue amate ricerche storiche…E mi raccontò di sé e di una nostra passeggiata. E io lo ascoltai affascinato, anche se a tratti intercalava con naturalezza una frase latina, una “arbresh” ed una lettura-recitazione dei suoi famosi epigrammi. Durante il breve viaggiò mi sottolineò le condizioni tristissime dei nostri paesi dell’interno…Non ha paura della morte, di quel limite assegnato alla vita umana, di quella “struttura” del tempo che avanza…Per tanti anni e tanto cammino aveva sfuggito l’assalto di questa nostra compagna invisibile ed era consapevole della tremenda necessità d’incontrarla.
Parlammo della solitudine dei contadini e massari di quelle contrade sperdute, degli olivi saraceni, di quel maestoso pino, il primo ad indorarsi al sole al mattino. Si stagliava maestoso sul ciglio dell’aia, con la punta rivolta all’azzurro tenue del cielo. Il Preside aveva, allora come adesso, un’aria limpida del volto, una nobiltà gentile ed altera del portamento, una dolcezza mesta dello sguardo e del sorriso arricciato, quella soavità di voce che aveva insegnato a tanti giovani l’amore per lo studio.
“Sai” mi disse mentre lo visitavo, “porterò sempre con me, un giorno, quella malinconia profonda di quei sentieri percorsi. Quell’aria satura di fragranze, di prugnole,di mentastri, di salvie, di ginestre. La visione di quegli alberi antichi…Anche i corbezzoli selvaggi…sognavano quella solitudine cosmica e quell’armonia della natura, condivisa da tempo immemore col popolo degli alberi amici (…un pezzo di musica ed un albero hanno qualcosa in comune…Cechov 1888).Tutto si accordava soavemente con i discorsi e con i nostri animi, vagheggianti i versi immortali di Omero, Virgilio, Dante e Manzoni. Sembrava li declamasse ad una immaginaria classe di alunni sui banchi di scuola!!
Coglievo, nel contempo, sul suo volto di discendente di Skanderberg il trasognamento per quella terra calpestata e offesa dall’incuria di amministratori ottusi, la tristezza infinita per quegli alberi piantati dai loro padri ed ora abbandonati. Una riconoscenza per quegli “uomini-autori “antichi, assorti nel loro sogno perenne di sopravvivenza atavica alle fatiche della terra, da cui il vento, che dialogava col fumo delle loro case di pietra, cercava invano di scuoterli. E pensò alle sue creature pubblicate con affetto tenerissimo e profondo, come fedeli testimoni della sua memoria e delle sue idee. Ad esse avrebbe affidato la sua immortalità di studioso! Da tempo lontano dalla vita degli uomini, chino sugli amati libri, riusciva meglio a percepire la voce dei venti e del mare vicino, lo sfavillio delle stelle lontane e le blande carezze lunari nelle sue notti insonni…
Capita a volte…di cadere addormentati in un sogno, quando un’amicizia e la stima che ne consegue assume la densità dell’olio di prima spremitura, o del mosto prima che diventi vino. Una densità inusuale che ti fa cambiare la percezione del tempo, quando l’intensità delle emozioni di un dottore “studente” e degli eventi vissuti con il “Maestro” dilata le ore del nostro tempo quasi all’infinito.