Trebisacce-26/07/2020: Due nuove pubblicazioni di Salvatore La Moglie: i “Profili letterari del Novecento” e “La stanza di Pascal”

Salvatore La Moglie

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Due nuove pubblicazioni di Salvatore La Moglie: i “Profili letterari del Novecento” e “La stanza di Pascal”

 

Sono appena uscite dalle stampe le nuove edizioni di due importanti lavori di Salvatore La Moglie. La prima riguarda la riedizione, con Macabor editore, dei “Profili letterari del Novecento”, e la seconda quella del primo romanzo, edito nel 1998 da Pellegrini, “La stanza di Pascal”, con Edizioni Setteponti di Arezzo. Si tratta di due grandi libri che hanno avuto entrambi un notevole successo e, crediamo, che continueranno ad averlo.

Qui di seguito proponiamo ai lettori la prefazione che l’editore Bonifacio Vincenzi ha fatto ai Profili ricordando le vicende che hanno portato all’idea di produrre dei profili di autori del Novecento per i periodici “La colpa di scrivere” e “Il Fiacre N.9”; subito dopo la Nota che Salvatore La Moglie ha scritto per la nuova edizione del romanzo “La stanza di Pascal”. Buona lettura e complimenti e auguri al nostro Autore.

 

Prefazione di Bonifacio Vincenzi ai Profili

 

Per poter scrivere libri come questo di Salvatore La Moglie bisogna essere, prima che scrittori, lettori sensibili, curiosi, esigenti e possedere delle capacità intuitive notevoli. Queste ultime sono fondamentali perché i problemi che una serie di opere di uno stesso autore sollevano sono molteplici e il clima, per una riflessione seria, necessariamente non può prescindere dall’approccio guidato da una sensibilità particolare, edificata, soprattutto, su un incondizionato amore verso la letteratura.

Sbagliare l’approccio significa distaccarsi dalla bellezza e dalla razionalità dell’insieme. Significa allontanarsi dal riflesso di un’assenza, quella dello scrittore o del poeta che, se collegata alla sensibilità pura del lettore, diventa una guida occulta per una piacevole esplorazione delle possibilità espressive dell’opera.

D’altronde, come scriveva Michel Foucault, “i confini di un libro non sono mai netti né rigorosamente delimitati: al di là del titolo, delle prime righe e del punto finale, al di là della sua configurazione interna e della forma che lo rende autonomo, esso si trova preso in un sistema di rimandi ad altri libri, ad altri testi, ad altre frasi: il nodo di un reticolo. E questo meccanismo di rimandi non è omologo: la sua unità è relativa e variabile; perde la sua evidenza non appena lo si interroga; incomincia ad indicarsi e a costruirsi soltanto a partire da un campo complesso del discorso”.

Bisogna sottolineare che questi profili di Salvatore La Moglie descrivono un livello di omogeneità molto significativa perché forte dell’ identità di due riviste di letteratura “gemelle”: «La colpa di scrivere» e «Il Fiacre n. 9», tra l’altro, entrambe dirette da me.

La breve vita de «La colpa di scrivere» è circoscritta in un periodo che va dal gennaio 2005 al n. 8 dedicato a Stefano D’Arrigo che in pratica nel dicembre 2006 ne segna la chiusura.

Due anni intensi, otto volumi in cui c’eravamo occupati, nella parte monografica, dei maggiori poeti e scrittori del Novecento letterario italiano.

 

La rivista, oggettivamente, è durata poco. All’interno del collegio di direzione c’erano due correnti di pensiero: una che ne sosteneva le decisioni finali di chi poi la rivista la dirigeva, l’altra che aveva idee diverse il più delle volte in totale disaccordo con le decisioni del direttore editoriale. Alla fine ogni riunione si trasformava sempre in un campo di battaglia.

Questo non deve far pensare che la linea della rivista, in questa continua diatriba, fosse poco stabile e poco solida; tutt’altro, le liti erano la naturale conseguenza per una difesa, almeno da chi la dirigeva, di una linea che sin dall’inizio era apparsa forte e vincente.

Le continue tensioni richiedono un prezzo prima o poi da pagare. La gestione del gruppo diventava di mese in mese sempre più difficile e, inevitabilmente, si arrivò alla chiusura.

Tuttavia non bisogna mai credere che la frattura presupponga sempre una sorta di grande deriva generale che accompagni in un tempo morto in cui le idee poi vanno a spegnersi.

Il desiderio di continuare, in alcuni di noi fedeli alla linea della rivista, era forte. E qualche mese dopo sarebbe nata, con il primo numero dedicato a Carlo Emilio Gadda, la rivista “gemella” «Il Fiacre n. 9» che intendeva rimanere fedele totalmente alla linea editoriale de «La colpa di scrivere».

La vita di questa nuova rivista sarebbe stata un po’ più lunga: cinque anni per nove numeri, con la relativa interruzione nel 2012 per mancanza di risorse economiche per continuare a sostenerla, interruzione che poi sarebbe diventata definitiva.

Ora bisogna precisare una cosa: il rapporto di Salvatore  La Moglie con le due riviste è stato costante; dei 17 numeri complessivi in ben 16, nella loro parte iniziale, ne ha curato il profilo dello scrittore o poeta a cui, nella parte monografica, era dedicato il fascicolo. Il suo contributo alle riviste è stato fattivo. Per sua natura, lontano dalle polemiche, appartato come ogni studioso spesso lo è, alle discussioni interminabili ha sempre preferito l’incontro con i libri e il misurarsi con le loro realtà, per assumerle.

Nessuna lettura dissipa il segreto o l’enigma delle molteplici voci dei vari libri di uno stesso autore, questo Salvatore La Moglie lo sapeva bene; tuttavia, al di là delle innumerevoli vie iniziali e future della scrittura di un libro c’è una zona franca in cui germina non tanto la decifrazione di un testo, quanto la capacità di saper incontrare e condividere i fatti, le emozioni, gli entusiasmi, ma anche le perplessità delle varie vite di un’opera in rapporto al tempo in cui è stata creata, alle vicende della vita dell’autore nel momento in cui l’ha scritta e, magari, valutarne quanto poi il tempo abbia compromesso, nel corso degli anni, la sua resa espressiva. Senza tralasciare i confronti del pensiero dei vari critici che nel corso del tempo si sono occupati dell’opera di quel determinato autore.

Ogni scrittore, si sa, che in un’opera metta in mostra tutta la realtà che lo circonda o finanche la negazione totale di ogni realtà intorno a lui, poco cambia. Facendo nostra la lezione di Blanchot, necessariamente, dobbiamo concludere che anche l’irrealtà comincia col tutto perché “l’immaginario non è una strana regione situata al di là del mondo, è il mondo stesso, ma il mondo come insieme, come tutto”.

Salvatore La Moglie che si occupi della vita e dell’opera di autori come Calvino, Campana, Landolfi, D’Arrigo o di altri, che hanno una concezione della letteratura completamente diversa, come Caproni, Gatto, Gadda, Maraini, non indietreggia mai, pur essendo consapevole dei rischi ai quali va incontro, davanti al loro straordinario mondo. Questo lo può fare perché dispone di considerevoli risorse intellettuali e umane.

Per cui, dalla straordinaria lettura che questo libro invoca, il lettore, forte di una guida sicura, potrà attraversare gran parte del Novecento letterario italiano, cogliendone gli aspetti salienti e, attraverso l’analisi letteraria, l’anima e la sensibilità di un’epoca, che ogni autore, qui presentato, ha saputo cogliere.

 

Nota di Salvatore La Moglie a “La stanza di Pascal”

La novità di questa nuova edizione de La stanza di Pascal, dopo ventisei anni dalla stesura e dopo ventidue dalla pubblicazione da parte della Casa Editrice Pellegrini di Cosenza (1998), consiste nella completa rivisitazione, praticamente nella riscrittura del testo, scritto, appunto,  nel 1995. Il cuore del racconto è sempre lo stesso, ma riproposto al lettore con i nomi dei personaggi cambiati, alcune aggiunte e, soprattutto, consistenti tagli alle parti che ho ritenuto non necessarie e con i capitoli ridotti solo a sei macrocapitoli invece di diciotto. 

Può uno scrittore riscrivere, ricreare una propria opera? Il compianto Umberto Eco non avrebbe avuto dubbi. Del resto, il grande Manzoni non ha riscritto e rivisitato per anni il suo capolavoro, I promessi sposi?

Dunque, ripropongo ai lettori un romanzo psicologico basato sulla difficile convivenza di due giovani decisi a sfidare tutta una mentalità e tutti i reciproci pregiudizi e le reciproche diffidenze che tuttora dividono quelli del Nord da quelli del Sud. Ma non c’è solo questo ne La stanza di Pascal: ci sono il tema della felicità, il più delle volte resa impossibile dalla pesante e anche infernale ingerenza degli altri; quello degli affetti familiari e dei difficili rapporti tra consanguinei; quello della crisi della coppia e della separazione con tutte le sue conseguenze; quello del bene e del male di cui può essere capace l’uomo e, last but not least, quello della relatività, dell’instabilità e della mutevolezza incredibile e paradossale della realtà e dello stesso animo umano per cui, dopo l’incanto, subentrerà un amaro e disperato disincanto che costringerà il protagonista maschile a rinchiudersi, in pirandelliana solitudine, nella metaforica stanza di Pascal da dove era uscito per vivere e per realizzare un progetto di felicità con una donna che non avrebbe mai immaginato così psicologicamente fragile e inconsistente. Alla fine, dopo aver perso compagna e bambino nato, nonostante tutto, egli guarda alla porta di quella stanza ancora con fiducia e ricorda che da piccolo, quando perdeva il pallone tra i tetti delle case, come il bambino di una poesia di Montale, non voleva rinunciare, dopo il pianto, a recuperare il pallone perduto e riprendersi così la vita e provare ancora ad essere felice.

Insomma, voglio offrire al lettore il racconto di una storia come l’avrei scritta oggi, con tematiche sempre attuali, più snello e incisivo e anche di più rapida lettura che, credo, certamente apprezzerà.

 

La Redazione de La Palestra