Rocca Imperiale e Trebisacce-21/08/2020: Viaggio alla scoperta delle oasi agrumicole di Rocca Imperiale e Trebisacce di Andrea Bignardi
Viaggio alla scoperta delle oasi agrumicole di Rocca Imperiale e Trebisacce
di Andrea Bignardi
Il Sud è una terra di sorprese, capace spesso di sfatare
miti e stereotipi consolidati nell’immaginario collettivo.
Il patrimonio di biodiversità che offre è tale, grazie ad
una miriade di microclimi tutti davvero invidiabili, da
far offrire alla terra un paniere di prodotti che non ha
eguali al mondo. Eppure, muovendosi da un versante
all’altro della penisola e passando dal Tirreno allo
Jonio, dalla Campania alla Calabria, si nota che non
mancano tante analogie che, per noi campani amanti
del buon mangiare e del buon bere, possono farci
sentire, in un certo senso, “a casa”. Il limone Igp di
Rocca Imperiale è una di queste: variante del femminello
comune, per alcuni aspetti simile allo sfusato amalfitano,
e forse ancor più al “limone ‘e pane” coltivato sull’Isola
di Procida (ma non meno pregevole in termini di ca‐
ratteristiche organolettiche), si coltiva da cinquecento
anni sulle pendici del primo borgo della Calabria che
si incontra entrando dalla Basilicata, dopo aver attra‐
versato la Piana del Metapontino, sovrastato da un ca‐
stello edificato a partire dal 1213 per volontà di
Federico II di Svevia. Di medie dimensioni, dal peso
variabile tra 100 e 160 grammi, è un limone particolare
per il giusto equilibrio tra sostanze aromatiche e
acidita’ del succo e la totale assenza di semi, che lo ac‐
comuna, per l’appunto, al limone procidano. La sua
maturazione tende ad essere tardiva (tra la fine del‐
l’inverno e l’inizio della primavera). E proprio in questa
zona, a pochi chilometri più a sud, dopo aver attraversato
Roseto Capo Spulico ed Amendolara (in cui si producono,
rispettivamente, ciliegie e mandorle de.co.) la bella
stagione porta con sè le arance di Trebisacce (note
tecnicamente come “biondo tardivo” proprio per via
della loro raccolta che avviene tra aprile e giugno).
Coltivate in appena centotredici ettari, nei “Giardini”
che cingono la città antica, sono davvero una perla ri‐
cercatissima. L’impiego di questi due frutti, solo re‐
centemente riscoperti e valorizzati, è ovviamente molto
variegato, e spazia dalla produzione di liquori e conserve
‐ acquistabili direttamente dai piccoli produttori ‐ alla
cucina. Che, trovandoci lungo la fascia costiera jonica,
non potrà che essere di mare, con prodotti come la
sardella piccante e le aragoste della secca di Amendolara
‐ secondo alcune ipotesi storiche la mitica Ogigia ‐ a
fare da padroni. Paradossalmente, gli indirizzi dove
gustare una cucina marinara pienamente fedele alle
tradizioni del territorio e capace di valorizzarne al
tempo stesso i suoi agrumi sono pochi, ma di certo
non mancano: potrà essere piacevole fare un salto, tra
gli altri, alla “Rotonda”, alla “Trattoria del Sole”, all’”Alice”
o “Da Lucrezia” di Trebisacce oppure ai “Due Scogli”
ed alla “Trattoria dei Poeti” di Rocca Imperiale.
Fonte:L’Ora di Cronache