Trebisacce-24/12/2020: Rubrica letteraria a cura di SalvatoreLa Moglie Due racconti da brivido di Salvatore La Moglie Per gentile concessione dell’autore, proponiamo ai lettori de La Palestra due racconti da brivido, ovvero Due passeggiate col fantasma dell’amico ispirati a due storie vere. Buona lettura. La Redazione de La Palestra Prima storia vera. Passeggiata col fantasma dell’amico
Rubrica letteraria a cura di SalvatoreLa Moglie
Due racconti da brivido di Salvatore La Moglie
Per gentile concessione dell’autore, proponiamo ai lettori de La Palestra due racconti da brivido, ovvero Due passeggiate col fantasma dell’amico ispirati a due storie vere. Buona lettura. La Redazione de La Palestra
Prima storia vera. Passeggiata col fantasma dell’amico
Si raccontava una volta dalle miei parti che ogni sera, quando faceva buio, per le strade di campagna, a un paio di chilometri dal paese, faceva le sue apparizioni lo spirito o, se si vuole, il fantasma di un uomo morto durante la seconda guerra mondiale in Africa: tutte le sere verso le otto e mezza d’estate, verso le sette e mezza di primavera, verso le sei e mezza d’autunno e verso le cinque e mezza d’inverno. Tutti i contadini e i braccianti del luogo, per via di questa storia che circolava ormai da tempo, cercavano di evitare di ritrovarsi per una certa strada e proprio in un certo punto dove più il fantasma si confondeva con gli alberi e i cespugli. Si diceva che appariva come in carne ed ossa chiuso nel suo lungo e pesante cappotto da soldato e berretto militare in testa e che, il più delle volte, sembrava un uomo come tutti gli altri, tanto che non riuscivi a distinguere se era un corpo o un’anima. Una sera d’autunno Antonio Ruggeri, agricoltore da una vita, con una torcia in mano, camminava per quella strada di cui si è detto. Erano quasi le cinque e mezza. A un certo punto si sentì chiamare: «Antonio!…Antonio!…». Il pover’uomo ebbe un brivido nella schiena e si raccomandò in fretta a Dio e a tutti i santi. Il fantasma gli apparve tutt’a un tratto in carne ed ossa, chiuso nel suo cappotto verde-scuro ma non sembrava affatto un fantasma. Riprese le forze e anche il coraggio, Antonio gli chiese: «Non ti vedo bene… Ma chi sei?».
Il fantasma gli rispose: «Se punti meglio la tua torcia sul mio volto, certamente mi riconoscerai».
Antonio diresse la torcia sul viso dello sconosciuto e, dopo un po’, disse: «No, non è possibile!… ma tu sei Michele! Ma che ci fai qui da queste parti e a quest’ora?!… Sono più di vent’anni che non ci si vedeva… Sai, per un po’ non mi hai fatto prendere un bello spavento!… pensavo di avere di fronte il fantasma del soldato di cui si parla in paese… Ma tu, pure, vai in giro vestito da soldato!…».
«Ma, sai… mi sono affezionato a questo vestiario e, del resto, questo cappotto tiene ben caldo… È da anni ormai che lo indosso…».
«Capisco…», replicò Antonio. Adesso camminavano per ritornare a casa e, camminando camminando, gli chiese: «Dimmi Michele, ma tu cosa hai fatto in questi anni… dove stai… dove vivi… cosa fai di bello?… Io lavoro i campi».
«Io, invece, sono a giornata… dove capita… e vado da chi mi chiama… So fare un po’ tutto…».
«Ah, mi fa piacere… Così, se ho bisogno, puoi venire a lavorare anche da me…».
«Certo! Come no!…».
«Allora… siamo quasi arrivati… M’ha fatto piacere averti rivisto dopo tanti anni…».
«Anche a me».
«Beh, ci si rivede ancora. Buona notte e a presto», gli disse Antonio allungando la mano per potergliela stringere ma, non appena cercò il contatto, il suo vecchio amico scomparve come nel nulla.
Antonio divenne bianco come un lenzuolo. Comprese subito che aveva parlato con il fantasma del soldato e che questo fantasma era il suo vecchio amico Michele, di un paese vicino al suo, morto in guerra ma di cui nessuno aveva mai saputo più nulla. Erano stati insieme per due anni in guerra ma poi il destino li aveva separati e non si erano più rivisti.
Il mistero del fantasma del soldato era ormai risolto e da allora non sarebbe più apparso a nessun altro. Forse la sua apparizione per quella strada di campagna – così veniva spiegato il mistero dalla gente del luogo – era legata al fatto di poter rivedere, almeno una sola volta, un suo vecchio amico di guerra. E questo era capitato proprio ad Antonio Ruggeri. Il quale, ogniqualvolta raccontava ai paesani quel suo incontro con il fantasma, era costretto a vedere gente che se la rideva sotto i baffi ma anche apertamente, mentre qualcun altro diceva con un certo sarcasmo: «Speriamo che non chiudano mai i manicomi!…». Lui, però, per tutta la vita, continuò a raccontare – facendo venire a qualcuno dei brividi o facendo scuotere più di una testa – che lui aveva realmente visto il fantasma del soldato e che ci aveva anche parlato.
Seconda storia vera. Passeggiata col fantasma dell’amico
Una calda sera d’estate, Gugliemo Stoppa camminava per la strada in salita che portava al suo paese. Era stato in città per sbrigare alcune faccende e adesso ritornava a casa. Il vecchio torpedone lo aveva lasciato dalle parti del cimitero e, dunque, c’erano ancora un paio di chilometri di fare. A un certo punto vide sbucare da una viuzza il suo grande e insostituibile amico di una vita: Oreste Benevento. Si conoscevano da quando erano bambini, avevano sempre giocato insieme e, da grandi, si erano sempre aiutati l’un l’altro e, insomma, erano, come due fratelli. Erano inseparabili e la sintonia era stata sempre perfetta. «Neanche due fratelli!…», dicevano al paese. Avevano anche la stessa età: settant’anni.
«Ehi, Oreste, qual buon vento ti porta da queste parti?!…», disse Guglielmo ad alta voce e con un sorriso affettuoso.
«Niente di particolare. Stavo facendo due passi… Sai camminare fa bene, forse pure ai morti se potessero…», replicò Oreste sorridendo.
«A te piace sempre scherzare…», disse Gugliemo.
«Dove sei stato, in città?».
«Sì, avevo delle faccende da risolvere… sai quelle cose burocratiche che ti fanno perdere giornate intere e ti infastidiscono talmente tanto che preferiresti morire… Sto scherzando pure io, adesso…».
«E sì, la burocrazia è una malabestia… Anche morire è difficile… ci vogliono un sacco di documenti, soprattutto se uno muore fuori paese… e anche tanti soldi… Morire costa… in tutti i sensi…».
«Beh, vogliamo cambiare discorso?… Sì che siamo vicino al cimitero… però… Cosa hai fatto oggi di bello?».
«Ma… niente di particolare… Tu non c’eri e così mi sono messo a dormire… ho dormito tanto…».
«Tu dormivi e io a sbattere la testa con scartoffie e burocrati che Dio ne liberi!… Bell’amico!…».
«Su, non te la prendere!…».
«Ma sto scherzando!… Non sono arrabbiato… Figurati!…».
«Ma, sai… a dire il vero, sono piombato come in un sonno profondo… di quelli che sembra non ti debba più svegliare…».
«Addirittura!… Beh, grazie a Dio, ora sei ben sveglio, vivo e vegeto…».
«Intanto, parla parla… siamo arrivati alle nostre case…».
«Io, adesso, mangio qualcosa e poi vado a letto a riposarmi… È stata una giornata pesante…».
«Sì, riposati, amico mio, perché ne hai bisogno. Quanto a me, non so se mangerò qualcosa… Certamente dormirò ancora…».
«E sì, non t’è bastato, no?, tutto il sonno di oggi…», replicò Guglielmo sorridendo. Subito dopo aggiunse: «Ti, saluto, caro Oreste. A domani, se Dio vuole».
«A domani, caro Gugliemo».
Una volta a casa, Gugliemo si trovò davanti le facce tristi e addolorate della moglie e delle sue due figlie.
«Dio mio, ma cosa è successo?!», domandò Guglielmo con tono fortemente preoccupato.
«Guglielmo… ascolta… Non avrei mai voluto darti questa terribile notizia…», disse la moglie.
«Dimmi, cos’è successo?».
«Questa mattina… questa mattina è morto Oreste…».
«Ma sei pazza o è uno scherzo?…».
«No… purtroppo no…».
«Ma è impossibile!… Io c’ho parlato poco fa… abbiamo fatto insieme la strada dal cimitero fin qui… Abbiamo pure scherzato… Non può essere!…».
Mentre diceva queste parole, Gugliemo cominciò a sentirsi male. Mise la mano destra sul cuore e, lasciandosi scivolare sulla poltrona che gli era più vicina, disse con un filo di voce: «Ecco perché mi ha detto che oggi aveva dormito tanto… e che ancora avrebbe dormito… E, allora, io ho passeggiato e ho parlato col fantasma del mio amico!… Sto morendo… Mi vuole con lui… Ecco perché ha detto che ci saremmo rivisti domani… a Dio piacendo…».
Dopo aver detto queste parole esalò il suo ultimo respiro in mezzo all’immenso stupore dei suoi familiari che, proprio, non riuscivano a credere a quello che avevano sentito con le loro orecchie. Forse – pensavano piangendo – era troppo stanco e il caldo aveva fatto il suo deleterio effetto… Nessuno avrebbe mai creduto a quella storia. Eppure, nel paese, ancora se ne parla e fa venire i brividi.