Trebisacce-21/11/2021: I RICCHI: Una commedia dialettale di Vincenzo Laschera – Il dialetto, la “roba” di Verga e la situazione sociale dei nostri paesi.

una scena

NOTIZIARIO dell’ALTRA CULTURA

 

I RICCHI: Una commedia dialettale di Vincenzo Laschera – Il dialetto, la “roba” di Verga e la situazione sociale dei nostri paesi.

 

Sono stato gentilmente invitato ad assistere a una commedia in dialetto trebisaccese scritta dall’amico Vincenzo Laschera, rappresentata  per l’Associazione UNITRE, domenica pomeriggio 14 novembre 2021, presso l’ex sede INAM di Trebisacce. L’ampio salone era pieno di attenti ascoltatori.

Questo è il primolavoro teatrale di Laschera, che ne cura anche la regia. La commedia è intitolata “D’i ricch”, perché è imperniata non solo sulla classe dei benestanti o di quelli che si credono tali, ma sulla loro concezione della vita umana. Più o meno, rivediamo i vecchi  “galantuomini” di Vincenzo Padula.

Ci sarebbero tante cose da dire su questo spettacolo del teatro popolare.  Il primo pregio è che la manifestazione culturale non è stata lunga e noiosa.  A me è piaciuta e l’ho seguita con tutta la mia attenzione. Anch’io mi interesso di dialetto e di tradizioni popolari, ma qui non intendo parlare da critico teatrale. Da semplice ascoltatore, vi ho colto degli spunti che ritengo abbastanza originali, forse interessanti per tutti quelli che non hanno mai rinnegato la memoria del proprio paese, senza scadere nel deleterio e solito campanilismo del “mio paese è il più bello”.

La trama e i temi della commedia: i ricchi, i piccoli possidenti che, con sacrifici del lavoro umano, e anche con l’emigrazione nelle Americhe, sono riusciti a tornare in famiglia per accrescere la proprietà. I beni più preziosi dei trebisaccesi sono la “vigna” (l’agrumeto), la terra con gli ulivi e i mandorli, la casa nel centro abitato, i figli e le figlie bene collocati. Sì; ci sono stati anche gli emigranti che non sono riusciti a fare “l’America”, cioè a tornare con la “vùrsa” piena. Altri si sono persi e non sono più tornati in patria (come il suocero dell’attore Vincenzo). Ma Trebisacce è anche il paese dei pescatori e dei commercianti, giunti da lontano: Campania, Puglie, Sicilia. E’ il paese dei tanti scambi di matrimoni tra le famiglie più agiate per non disperdere la roba.

Gli attori: sono autentici. Autentici nella recita, nella parola e nella gesticolazione. Anche se non tutti di origine trebisaccese, sono comunque radicati nella parlata e nei vecchi costumi locali: perché Trebisacce è stata sempre un porto d’approdo dei paesi più lontani: per ragioni di lavoro e di professioni del terziario. Gente arrivata da tutta l’Italia, anche dalla Francia: prendi il caso di Giovanni Gouvernier, suocero del dott. Pasquale Ferrari. Ma  c’è stata soprattutto la massiccia “discesa” dai paesi gravitanti nelle zone interne e montane dell’Alto Jonio. Qualcuno non voleva esagerare che “Trebisacce è la capitale dell’Alto Jonio”: sicuramente voleva dire che questa cittadina della costa jonica è stata veramente un sicuro posto di residenza e di convivenza.

La signora Maria Sansone (madre della ragazza), ha straordinariamente impersonato la cosiddetta “mamma paesana”; Vincenzo Tucci (padre) ha interpretato la cura della “roba”, ha criticato l’emigrante fallito e ha scelto il genero più congeniale; Annamaria Folda (la ragazza da maritare) s’era invaghita  di un uomo elegante ma poco promettente e pure sospetto di un “irreparabile”; Tonino Granata (pretendente trebisaccese) ha mostrato ancora le sue capacità teatrali; Vincenzo De Paola (fidanzato della ragazza) ha saputo attirare le simpatie della ragazza e soprattutto di mamma Sansone; infine, la comare forestiera Caterina Rocca, l’unica a non parlare in trebisaccese, conciliava perfettamente con la mamma della ragazza. Ottima la scenografia di Annamaria Folda; ancora più coinvolgente la musica del maestro Antonio De Paola: ha fatto da colonna sonora; il testo della canzone è della signora Sansone.

La considerazione più importante. Noi siamo figli di una società precaria. C’è da ridere nel dialetto e nelle battute (tutte riuscite) della commedia di Laschera ?  Questa società precaria non è sola quella di Trebisacce, ma di tutti i paesi del Mezzogiorno d’Italia: il più noto Sud del  “familismo amorale”, studiato più dai sociologi stranieri che dagli italiani: vedi il saggio (molto discusso) di Edward C. Banfield su Chiaromonte in Lucania.

Qui, il marito “virtuoso”  si cuoce la pelle sotto il sole d’estate, prende i reumatismi e la pleurite nelle abitazioni umide, soffre il freddo del rigido inverno, si danna per costruirsi la casa, per mandare i figlioli a scuola (ma c’è stato anche un diffuso analfabetismo), per fare la dote alla figlia da sposare un onesto e laborioso marito. La mamma, ottimamente rappresentata dalla signora Sansone, è maestra di concertazione. Sono state tutte così, le nostre mamme. Forse  ce ne sono ancora. La “roba”, prima di tutta la roba. “Ci vone’i fasùle !”, dice una vecchia nonna che impone al futuro consuocero del suo nipote,  in una commedia del prof. Piero De Vita, che è accreditato ricercatore del dialetto e di altre tradizioni popolari, nonché conoscitore della vecchia società di Trebisacce. Quindi, c’è da ridere e da divertirsi, ma bisogna fare anche un’analisi sociale delle nostre comunità dell’Alto Jonio.(Giuseppe Rizzo)

 

Nota di Giuseppe Rizzo, foto di Pino Genise