Trebisacce-04/09/2022: DANTE, IL CANTO XIX DELL’INFERNO E IL SUO DISAPPUNTO PER I SIMONIACI di Pino Cozzo

DANTE, IL CANTO XIX DELL’INFERNO E IL SUO DISAPPUNTO PER I SIMONIACI

di Pino Cozzo

 

Ancora buio e ancora fiamme. Questa volta, dalla pietra, si intravedono dei fori, dai quali spuntano piedi che sprigionano fiammelle di fuoco. Vengono qui castigati coloro che, abusando e facendosi forti della loro carica ecclesiastica, si diedero al commercio di oggetti sacri, barattandoli per oro e per argento: sono i simoniaci. Sono infilati in quei buchi, con la testa all’ingiù e i piedi ardenti di fuori, e scalpitano, perché il dolore li tormenta. La fantasia, ma soprattutto l’ira del poeta è manifesta, perché non accetta che uomini di Dio, che dovrebbero mirare alla carità e al perdono, si possano comportare in siffatta maniera. I papi Niccolò III, Bonifacio VIII e Clemente V sembrano i protagonisti del canto, ma di fatto è Dante a rubare la scena, con i suoi epiteti lanciati verso persone così abbiette. Le “cose di Dio” devono essere colme di bontà e di amore; la Sposa di Cristo, la Chiesa, deve essere ammantata di belle cose e di nobili intenzioni. Essa non fu fondata sullo spargimento di sangue e di lacrime, non nacque per dividere i cristiani e spronarli all’odio e alla cattiveria, non fu creata per mercanteggiare falsi privilegi e comode poltrone, ma doveva essere guidata e custodita da buoni Pastori, che la preservassero dalla fame e dalla cupidigia di lupi affamati. Si assiste ad un magistrale insegnamento religioso, che è quello di dare ascolto alla voce del Signore e ai Suoi dettami, attraverso le tante attuazioni della verità, della libertà, della bellezza, della pace, della natura, per praticare la vocazione dell’uomo, quella dell’amore e della fratellanza, con un’attenzione particolare agli ultimi.  La Chiesa e i suoi pastori, con la luce della vita evangelica, dovrebbero rischiarare l’orizzonte dei secoli, ed illuminare l’umanità, assetata di verità e di vero amore, e con la testimonianza della loro vita, offrire una parola di speranza e di fiducia che attinga forza dal Vangelo, verità eterna. Guardare a tutta la gioventù, che cerca, attraverso le vie più disparate, di realizzare sé stessa e guidarla verso quella pienezza di vita che solo Cristo può e sa dare. Dare conforto e speranza a chi è verso il tramonto della vita e fagli sentire che nulla è perduto, quando ancora rimane il desiderio di ricominciare da capo per fare meglio e per essere più buoni, e benedire Dio che ci ha creati per il suo amore. Dante confessore raccoglie le problematiche manifestate post mortem dai peccatori, li mortifica, li irride. E la complicità e il sostegno di Virgilio completano il quadro, poiché il Vate, non solo asseconda il comportamento di Dante, ma addirittura lo incita, arrivando perfino a momenti di buon umore, cosa rara ed insolita per l’ambiente infernale in cui si trovano. Tutto si conclude con un tenero abbraccio tra i due Poeti, commovente per l’affetto e la compiacenza e l’intesa che esprime e sottende. “Egli mi prese con tutt’e due le braccia, mi sollevò sopra il suo petto e risalì il sentiero da cui era sceso, e non si stancò di tenermi a lui stretto, ma volle portarmi fin sopra la quarta bolgia, e lì mi adagiò a terra delicatamente, poiché si doveva attraversare un irto e ripido scoglio, difficile da percorrere, e di là si scorse un’altra valle”.